L’eredità di John Lennon e l’immortalità dei Beatles

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Lo Strawberry Fields Memorial, l’aerea all’interno del Central Park di diecimila metri quadrati a forma di lacrima inaugurata il 9 ottobre del 1985, giorno del quarantacinquesimo compleanno di John Lennon e a lui dedicata, con il suo mosaico bianco e nero su cui campeggia la scritta Imagine, ci fa riflettere su come la voce di Lennon sia riuscita a valicare il tempo e lo spazio, nonostante siano trascorsi quarantatré anni dalla sua morte.

Tutto ce lo ricorda: un recente articolo pubblicato lo scorso 6 dicembre dall’editorialista del Guardian Us, Margaret Sullivan, la recente release di Now And Then, Paul McCartney che con il suo Got Back tour duetta virtualmente ogni sera con il suo amico in I’ve Got Feeling e la sua voce, ma soprattutto quel mosaico realizzato dall’artista partenopeo Antonio Cassio. Imagine.

È anche grazie a John Lennon se in testa abbiamo quelle sane utopie di immaginare un mondo pervaso dalla fratellanza, dall’unione di intenti, dal vivere l’oggi e di pensare il mondo come un’unica entità dove non ci sia posto per la cupidigia, la brama. Ciò che a tutt’oggi fatichiamo ad immaginare è come a Mark Chapman sia venuto in mente di assassinare John Lennon, aspettarlo all’esterno del complesso residenziale new yorkese del Dakota Building e scarellargli i cinque colpi del suo Revolver.

Ci costa fatica provare a pensare come un artista, all’alba della sua ritrovata serenità grazie alla seconda paternità ed il rientro sulle scene con Double Fantasy sia stato assassinato. Aveva superato il baratro della crisi psicologica, della dipendenza dalle droghe, aveva ritrovato l’amore e l’amicizia con McCartney per poi essere ucciso dal suo fan numero uno Mark Chapman. Altrettanta fatica ci costa immaginarlo a suonare ancora in giro per il mondo con Macca e Ringo, ma forse alla fine neanche troppa: saremmo tutti lì ad ascoltarlo, anzi ad ascoltarli.

Come ci suggerì qualche anno fa Danny Boyle con la sua pellicola Yesterday, è difficile immaginare un mondo senza le canzoni dei Beatles, perché tutti noi abbiamo bisogno di ricordare quanto la semplice genialità di quattro ragazzi -più uno grazie a George Martin- provenienti da Liverpool siano riusciti a cambiare il mondo e la concezione della musica. Dall’utilizzo dello studio di registrazione -con le loro intuizioni, la capacità di creare dei loop in maniera analogica alterando la velocità di riproduzione dei nastri-, agli artwork dei loro dischi -emblematico quello di Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band che si apriva a libretto e al suo interno conteneva i testi delle canzoni- l’utilizzo dell’orchestra in un brano pop, l’elevazione del concetto di popolare rendendolo artistico come pochi altri sono riusciti nella storia della musica.

I Beatles e John Lennon ci danno la possibilità di immaginare tutto questo, ma allo stesso tempo di sorprenderci come nonostante di anni ne siano passati quarantatré, la magia della sua voce, e delle composizioni realizzate con gli altri tre compari, siano al di là di ogni immaginazione, ora come allora.

Imagine.