Oppenheimer: una bomba inesplosa

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L’ultima volta che ho visto un cinema preso d’assalto avevo sette anni. Era in un paesino sperduto, l’unica sala nel raggio di chilometri, piena di fumo e contadini che si trascinavano le sedie da casa. Avevano riempito ogni spazio, compresa la via per il bagno o per l’uscita. Adesso sono in una cittadina con un multisala e al posto delle sedie qualcuno stringe una borraccia. Il carico umano però è più o meno lo stesso di quella volta. La coda per i biglietti arriva in strada bloccando il traffico, il rumore dei clacson risuona all’interno dove una statuetta degli Oscar formato gigante sta per piangere lacrime di gioia. Sembra di essere a un concerto, siamo schiacciati l’uno contro l’altro e si avanza tenendosi per mano. Palate e palate di nachos e pop-corn scoppiettano profumando l’aria di burrosa attesa. Ho infranto alcune regole e sorvolato su ogni paranoia per essere qui. Stringo il biglietto e penso che sono le 21:30, di solito non entro mai dopo le 18. L’usciere mi indica la direzione: sala uno, quella dei grandi film, tutti doppiati e riservati alle produzioni Marvel a cui ho giurato vendetta. Un amico in ritardo mi scrive: “Biglietti finiti”, ecco l’ennesima regola calpestata, al cinema ci vado da solo e mi metto all’ultimo posto in alto a sinistra, rispondo di provare un’altra sala dato che tre sale su sette sono per Oppenheimer, “sono tutti finiti” dice. È martedì sera, salgo verso il centro di una sala che tra poco si riempirà di possibili sgranocchiatori, chiacchieroni, tossitori, pomicioni e telefonomaniaci, eppure sono tranquillo, nessuna sudorazione a freddo, nessuna ansia, stringo le Pip che ho in tasca e fisso i miei due compagni, che bello.

Finalmente mi siedo, indosso gli occhiali e sono felice, non vedo l’ora che si spengano le luci. Nolan è quel tipo di regista dove in linea di massima sai che ci sarà da divertirsi e da spremere le meningi. Gli elementi principali dell’equazione sono: una produzione da cento milioni di dollari, Cillian Murphy (peccato che il grande pubblico lo associ alla brutta copia di Boardwalk Empire e non a Il vento che accarezza l’erba) come protagonista e soltanto cinquantacinque giorni di riprese. Ieri Radio3 riferiva che l’India è arrivata per prima nella zona polare meridionale della luna, una missione costata la metà di Interstellar. Oppenheimer a confronto rimane pur sempre un blockbuster, ma in miniatura. Allo stesso tempo quando si va a vedere il lavoro di un regista del genere, una decina di milioni il costo di Memento, l’aspettativa non è sicuramente bassa, anche se si tratta di un biopic, l’ennesimo biopic, ma almeno non è un supereroe, più o meno.

L’inizio immediato della pellicola mi lascia confuso, non sono sicuro che sia il film o se per errore stiano trasmettendo il trailer. La sala dove mi trovo in genere non dispone della solita carrellata pubblicitaria prima degli spettacoli, e per questo gliene sono grato. Ma da subito i flash e la musica ci fanno capire che la narrativa adottata è quella di un trailer. Le linee temporali come al solito sono molteplici, principalmente tre, una distinta da una bellissima pellicola in bianco e nero, le altre intrecciate in modo confuso, e le didascalie fissione e fusione sembrano buttate lì frettolosamente quasi quanto il titolo del libro: Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato di Kai Bird e Martin J. Sherwin. Si parte con il botto in tutti i sensi: fuoco, pipa e cappello, tutti gli elementi ci esplodono in faccia insieme al primo nome illustre: Niels Bohr, e in sala alcuni studenti drizzano la schiena. Mi volto verso mio fratello e leggo la tensione attraverso le lenti degli occhiali, si aspetta Enrico Fermi e non è sicuro che si faccia vivo. Le citazioni continuano ma passano svelte e dalle bocche di questi escono purtroppo solo frasi a effetto e aforismi. Alcuni eventi vengono distorti o del tutto capovolti, come quello sulla mela avvelenata suggerito dalle gomitate del mio amico, ma nessuno si aspettava o pretendeva un fedele documentario.

La fotografia di Hoyte van Hoytema è sapiente ma non per questo sempre gradevole, soprattutto nei primi piani e nei giochi di fuoco, ripetuti e claustrofobici. Un po’ come la colonna sonora di Ludwig Göransson: onnipresente se non fosse per la scena dell’esplosione. Un compositore con una filmografia che parla da sola e non in senso positivo. Nessuna inquadratura o movimento degno di nota, tolta quella in cui Oppenheimer appare nudo durante l’interrogatorio. Uno spropositato utilizzo di flash con stucchevoli effetti sonori. Dialoghi enfatici e retorici con un vocabolario troppo asciutto per un film dove la metà delle inquadrature è piena zeppa di fisici. Si passa dal troppo al troppo poco senza mai sfiorare l’equilibrio. La sensazione di una parodia, non solo per l’effetto trailerMaccioCapatonda, ma anche per ruoli didascalici come quelli interpretati da Matt Damon ed Emily Blunt. Come se non bastasse la figura di Oppenheimer è esplicitamente accostata diverse volte a quella di un Dio. Un cast tristemente ingordo di attori, alcuni di questi ridotti a figurazioni o cameo. Il montaggio di Jennifer Lame, ovviamente non per sua scelta, si sforza così tanto di rendere la trama avvincente da risultare confusa. Gli effetti sonori sono così ripetitivi ed enfatizzati da essere più fastidiosi della colonna sonora che spesso copre addirittura i dialoghi. Tra le poche note che non stonano ci sono sicuramente i costumi e la scenografia.  

Durante il film diversi fari telefonici segnalavano la presenza di alcuni scogli demografici, senza dubbio la storia insegna che il colossale lavoro pubblicitario che ha preceduto l’uscita del film, vedi New York completamente Oppenheimerizzata, doveva essere un forte campanello d’allarme. Percorro il corridoio verso l’uscita e non sono più così sicuro che non fosse un film sui supereroi, incrocio qualche sbadiglio ma il linguaggio del corpo generale sembra positivo anche se provato, l’impressione è quella di essere circondati dal pubblico Marvel e molte magliette purtroppo lo confermano, naturalmente ad anni luci di distanza. Immagino Nolan che gira Oppenheimer vestito da Batman, che successivamente capisce l’errore, troppo tardi per rimediare. Dopo Tenet c’era bisogno di aggiustare qualcosa e di andare avanti, ma come per chi cerca di coprire il sudore con il profumo, Nolan decide di sfogare tutta la sua forza produttiva caricando al massimo Scott R. Fisher, con un risultato che puzza ancora di più. Quello che ho visto non è cinema, è intrattenimento da social network, un bombardamento di trailer. Quello che probabilmente sarà il più grande incasso nella storia del regista, oltre che incetta di premi, segnerà forse anche la sua fine artistica. Speriamo di no.  

Avevo sette anni quando andai al cinema e vidi la stessa mole di gente, sullo schermo c’era La vita è bella. L’enfasi di questa informazione nell’articolo è direttamente proporzionale al dialogo finale tra Einstein e Oppenheimer nel film.