Il Mondo al Contrario del Generale Vannacci: il caso editoriale dell’estate

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Molto rumore per nulla, direbbe William Shakespeare. Eh si! Tanto clamore, per un testo mediocre, scontato, per ampi tratti noioso, per nulla scandaloso, espressione del  sacrosanto diritto a far conoscere la propria opinione da parte dell’autore.

Il successo editoriale così clamoroso ha suscitato la mia curiosità “intellettuale”, non di certo politica, per un genere di testo che, altrimenti, non avrei mai letto. La veloce escalation in cima alle classifiche di vendita, addirittura sorpassando la sfortunata e popolare Murgia, unitamente alla carica istituzionale ricoperta dall’autore, hanno rappresentato elementi di attrazione a cui non ho saputo resistere. Mi sono detto che il libro di Vannacci, insomma, andava analizzato come fenomeno sociale. Dopo aver letto i primi roboanti commenti sul web, con frasi estrapolate ad effetto, sia dai detrattori che dagli strenui difensori, mi sono deciso a leggerlo. In relazione al successo editoriale, mi è venuto in mente il caso di Giulia De Lellis, una giovane influencer del web che, pur avendo candidamente confessato “di non aver mai letto un libro in vita sua”, nel 2019 balzò in cima alle classifiche di vendita con il testo “Le corna stanno bene su tutto”, il cui titolo già lascia presagire il tenore del contenuto. Intendiamoci bene, non vorrei essere frainteso: si tratta di un mero paragone di come, molto spesso, personaggi estranei al mondo della cultura possano riscuotere un improvviso, rapido ed inaspettato consenso popolare. Con tutto il rispetto e la simpatia per la De Lellis, nel caso del generale Roberto Vannacci, ci troviamo di fronte ad un alto dirigente dello stato, che può vantare una brillantissima carriera (concedetemi il superlativo di un superlativo) in complessi e delicati teatri operativi, che forse la maggior parte degli esponenti politici (di qualsiasi colore) conosce solo dal punto di vista teorico, od in occasione di visite istituzionali. Ma andiamo con ordine.

Sulla tanto discussa rimozione dall’incarico ricoperto, credo che abbiano pesato le pressioni dell’Amministrazione della città di Firenze, ma trattandosi di un provvedimento discrezionale, non ho elementi di valutazione da esprimere. Riguardo, invece, alle  modalità di espressione del proprio pensiero, l’autore ha esercitato un proprio diritto costituzionalmente garantito ad ogni cittadino e, nello specifico, accordato dalla normativa vigente, ad ogni militare, purchè non siano trattati argomenti attinenti al servizio. A differenza di altre prestazioni lavorative, incompatibili con lo status di militare, per le quali è previsto un particolare iter autorizzativo, per le opere dell’ingegno non vi è alcun limite di sorta, neanche nei proventi che ne dovessero maturare, se non quelli previsti dalla vigente legislazione fiscale. Una circolare della Direzione Generale del Personale Militare prevede solo che dell’opera ne sia data comunicazione al Comandante di corpo. Ora, leggendo il testo del generale Vannacci, non emerge alcun riferimento all’attività svolta in servizio, se non per relationem determinati riferimenti a soggiorni avvenuti all’estero. Si potrebbe discutere sull’opportunità o meno di elaborare un testo di così marcata portata ideologica da parte di un’alta carica della gerarchia militare, istituzionalmente supra partes, ma ciò esulerebbe dalle mie competenze e dallo scopo della presente analisi. Ma andiamo avanti.

La copertina del testo, con la sua raffigurazione cosmologica, farebbe pensare ad un testo apocalittico o, quanto meno, con vocazione apocalittica. La suddivisione in capitoli, poi, rivela in maniera inequivocabile, che si tratta di una raccolta delle opinioni dell’autore e, pertanto, saremmo tentati di collocare il testo nel genere saggistico. Ma la lettura e la stessa onesta introduzione fanno comprendere che siamo di fronte ad un susseguirsi di considerazioni elaborate e ponderate dall’autore, ma di pancia, “quasi si trattasse di  chiacchiere da bar”. La fortuna o la sfortuna del libro, a seconda dei punti di vista, è proprio quella di riscuotere immediatamente consensi o repulsione, senza perdersi in ragionamenti particolarmente profondi che possano indurre il lettore ad una riflessione più circostanziata. E’ un libro privo di sistematicità – ciò risulta anche dalla sequenza dei capitoli- e di ogni malizia editoriale.

Curiosa è la nota iniziale dell’autore. Consapevole della propria posizione, il generale precisa che “non interpreta posizioni istituzionali o attribuibili ad altre organizzazioni statali o governative”. Che vuol dire? Mi risulta che in Italia vi sia un solo Governo legittimo. Poi, “se ne consiglia la lettura ad un pubblico adulto”. Perché? Il libro non è affatto scandaloso. Non credo, inoltre, che il generale  non abbia immaginato che ben presto il pdf del suo libro sarebbe diventato virale. “Si dissocia…..da qualsiasi tipo di atti illeciti possano da esso derivare”. Anche qui da giurista e da scrittore mi chiedo cosa abbia voluto dire. Dal punto di vista giuridico è una clausola senza senso. Se qualcuno leggendo un libro di Stephen King , ne traesse spunto per commettere una strage, oppure leggendo il mio Le tenebre dell’anima/The darkness of the soul, ne cogliesse ispirazione per fondare una setta satanica, ci dovremmo sentire responsabili? No, perché si tratta di storie di fantasia. E allora ci viene il dubbio, anzi quasi la certezza, che l’autore de “Il mondo al contrario”, fosse ben consapevole che il suo libro poteva diventare il compendio/slogan di gruppi politici collocati anche al di fuori dell’arco costituzionale.

Nell’introduzione, comunque, Vannacci precisa che ha elaborato il testo con “l’idea di illustrarli in uno stile semplice ed in forma aneddotica…”. Peccato, poi, che i capitoli siano molto lunghi, non suddivisi in “aneddoti” e pieni di ripetizioni. Già nell’introduzione, come nel seguito del corpus, si nota un’avversione dell’autore nei confronti delle dittature comuniste, a giusta ragione direi, ma nessun accenno alla tragica deriva europea del periodo del nazi-fascismo.

Andando nel vivo del testo, sono rimasto subito spiazzato dal riferimento al brocardo cartesiano”cogito ergo sum”, che l’autore inserisce nel primo capitolo dedicato al “Buon senso”. Non sarebbe stato meglio descrivere il “Buon senso” nell’introduzione, visto  che  il “buon senso”  deve permeare tutte le tematiche successivamente elencate? Perdoniamogli pure questa scarsa sensibilità per i rapporti “genus” a “species” di aristotelica memoria, per le precisazioni già fatte in precedenza. Ma Cartesio cosa ci incastra? Cosa c’entra il problema gnoseologico di Cartesio con il buon senso di Vannacci? Peraltro, il brocardo cartesiano viene definito “fatidico anatema”. Ma che vuol dire? L’anàtema era, nell’antica Grecia, un’offerta votiva, mentre in ambiente cristiano diventa sinonimo di scomunica. Dopo una serie di luoghi comuni, il buon senso culminerebbe in espressioni che noi avremmo dovuto ricevere dai nostri genitori o nonni, tipo “prima il dovere e poi il piacere”, “a casa a fare il mantenuto non ci stai”, “se non ti trovi lavori un lavoro, finisci all’angolo della strada”. Frasi così insomma che, per carità, sono condivisibili, ma di una semplicità disarmante.

Prolissi e ripetitivi sono i successivi due capitoli (il secondo ed il terzo), L’ambientalismo e L’energia, in cui l’autore non nega il cambiamento climatico in atto, ma lo fa rientrare in un susseguirsi ininterrotto del ciclo naturale. L’allarmismo degli ambientalisti sarebbe ingiustificato e termini come Apocalisse ed Armageddon, pur essendo completamente diversi, vengono confusi ed adoperati in maniera intercambiabile. Di certo, alcune opinioni sono ampiamente condivisibili: neanche lo scrivente è un fan delle trovate pubblicitarie della Greta, ormai diventata un personaggio internazionale e sfruttato da alcune lobby, così come concordo sul fatto che il problema energetico italiano ed europeo sia stato affrontato in maniera pessima negli ultimi decenni. Il problema, tuttavia, della visione di Vannacci, è questa sua eccessiva nostalgia delle tradizioni del passato. Nell’intero testo, affronta le varie problematiche, condendole con ricordi personali ed affettuosi riferimenti al nonno, classe 1898. Comprendo e condivido il rispetto, la stima e l’onore che dobbiamo ai nostri avi, soprattutto a livello personale. Ma non stiamo mica parlando dell’età dell’oro! Stiamo parlando di una generazione che si è trovata catapultata verso le due guerre mondiali, il Ventesimo Secolo, l’epoca delle dittature, quella comunista e quella nazi-fascista, il secolo nero della democrazia.

E’ nel quarto capitolo, La società multiculturale e multietnica, che il pensiero di Vannacci comincia a prendere maggiore consistenza. A dire il vero, sono contento di aver letto il testo, perché alcune frasi, come vedremo anche in seguito, sono state del tutto decontestualizzate. Mi riferisco a quella che gira su numerosi tabloid, riportata a pagina 89 del libro: “fu nel 1975, quando con tutta la famiglia ci trasferimmo a Parigi che, per la prima volta, cominciai a venire in contatto quotidianamente con persone di colore. Mi ricordo nitidamente, quanto suscitassero la mia curiosità tanto che, nel metrò, fingevo di perdere l’equilibrio per poggiare accidentalmente la mia mano sopra la loro, mentre si reggevano al tientibene dei vagoni, per capire se la loro pelle fosse al tatto più o meno rugosa della nostra…”. La frase è indicata come esempio di razzismo e di intolleranza verso gli immigrati. Continuando a leggere, ad un certo punto continua: “Bastarono poche settimane e la vista dei neri smise di incuriosirmi. Non era poi così raro, infatti, trovarsi a giocare in gruppi di marmocchi, che includevano anche qualche bimbo di colore, con i quali ci rotolavamo e arruffavamo insieme in qualche parco della capitale..”. Si capisce, pertanto, che il generale non voglia esprimere idee razziste per il colore della pelle, ma voglia sottolineare le differenze che, comunque, sussistono tra le diverse etnie. Si esprime un po’ la meraviglia di un bambino vissuto in un piccolo centro che arriva nella grande metropoli d’oltralpe. Alcune considerazioni appaiono condivisibili: sintomatico è il riferimento all’impudente difesa di un Avvocato che, in relazione ad uno stupro perpetrato da un Africano, cerca di giustificarlo affermando che, magari, in relazione alla sua provenienza, poteva  “non sapere che in Italia il gesto fosse reato”. Come dare torto al Generale? Se vieni nel mio Paese, devi rispettare le mie leggi, devi lavorare, devi pagare le tasse et cetera et cetera. Su questo siamo tutti d’accordo. Il problema dell’immigrazione deve essere risolto. Non vi è alcun dubbio. Ci si aspettava una frenata negli sbarchi ed, invece, con il Governo Meloni , sono addirittura aumentati in maniera esponenziale. Non è che le scelte istituzionali e “politicamente corrette” del Governo, che deve barcamenarsi tra equilibri internazionali ed emergenze interne, hanno scontentato più i suoi sostenitori destrorsi che non gli avversari? Per usare un detto tratto dalla saggezza popolare, così cara al generale Vannacci, “Dai nemici mi guardo io, dagli amici mi guardi Iddio”.

A un certo punto, l’autore elenca alcuni personaggi famosi, di cui ritiene che “con un pizzico di fantasia gli scorra il sangue nelle vene”. Ne cito alcuni: Enea, Romolo, Giulio Cesare, Dante, Leonardo da Vinci, Michelangelo. La citazione, oltre a farmi sorridere, per l’intento così epicamente narrativo, ma così scarsamente intellettuale, mi stimola una serie di  interrogativi. Mi dico: l’autore non è di certo uno sprovveduto, saprà sicuramente che Enea, l’eroe troiano al quale soltanto per fini celebrativi, Virgilio nell’Eneide ricollega la fondazione di Roma, è una figura mitica, come probabilmente anche Romolo. Per giunta Enea è un profugo proveniente dall’Asia Minore, quindi la stessa fondazione di Roma avrebbe origini multietniche. E, inoltre, mi dico, l’autore saprà che Giulio Cesare è famoso per la sua relazione omoerotica con il re di Bitinia, così come su Leonardo da Vinci e Michelangelo la comunità scientifica concorda che avessero il medesimo orientamento sessuale. Su quest’ultimo dubbio, vi darò contezza più avanti.

I quattro successivi capitoli, il quinto, il sesto, il settimo e l’ottavo, La legittima difesa, La casa, La famiglia e La Patria, descrivono altre situazioni di malcontento che attengono alla sfera della sicurezza e del benessere economico, sia individuale che collettivo. Si ripetono alcuni racconti di eventi personali, mentre non si capisce perché una figura storica così discussa come Napoleone Bonaparte, assurga ad esempio da imitare, tanto che l’autore ricorre ad un simpatico espediente narrativo per retrodatarne la nascita al tempo in cui la Corsica era ancora italiana. Che dire? Anche qui, come dare torto al generale: la normativa sulla proporzionalità nella legittima difesa è troppo farraginosa e condizionata dalla eccessiva discrezionalità applicativa da parte dei magistrati. Se qualcuno mi entra in casa, come faccio a capire le sue intenzioni?  Devo cercare in tutti i modi di proteggere me stesso e la mia famiglia e non posso prevedere le mosse dell’intruso. Il ragionamento non fa una piega. Di certo, però, non posso sparare alle spalle di un ladro che ha rubato le mele nel mio giardino e sta fuggendo. Ma in tale contesto, il generale non si abbandona a valutazioni ingenue e, da buon operativo, riesce bene a distinguere la posizione di chi attacca a sorpresa e di chi viene attaccato. Anche nelle considerazioni in merito alla casa, ne condivido il pensiero. E’ possibile che la legislazione italiana, in maniera paradossale, tuteli più l’occupante abusivo che non il legittimo proprietario? Il tema della casa è, giustamente, messo in relazione con quello dell’immigrazione, in quanto la maggior parte degli occupanti sono appunto ROM o di altra etnia straniera. Nell’affrontare l’argomento della Famiglia, riemerge la visione reazionaria dell’autore. Le femministe sono tacciate di essere “le moderne fattucchiere”, portatrici dello slogan “tremate, tremate,le streghe son tornate”. Il movimento per l’emancipazione delle donne è accusato di promuovere istituzioni (avrebbe dovuto scrivere istituti) come il divorzio e l’aborto. Ma che vuol dire? Il divorzio e l’aborto  sono già legali da decenni in Italia. Risulta chiaro, allora, che il generale si fa portavoce di quelle frange oltranziste di destra che vorrebbero eliminare i precitati istituti, anche se non mi sembra che la loro eventuale eliminazione sia nell’agenda dell’attuale Governo. Su queste delicatissime scelte etiche, ciascuno può avere la sua opinione, ma fin quando la legge dello stato di appartenenza lo consente, non si può discriminare nessuno. Ad esempio, io non vedo nulla di eticamente censurabile nel divorzio, mentre sono contrario all’aborto, tranne che in casi eccezionali. Tuttavia, non mi sognerei di chiamare “strega” o “fattucchiera” una donna che segue la via dell’aborto.

Leggendo le pagine dedicate alla Famiglia, non si capisce bene quale sia il modello tradizionale propugnato dall’autore: il marito che lavora e la donna che sta a casa ad accudire i figli? Sembrerebbe di si, visto che si scaglia contro coloro che si avvalgono di asili nido e di baby sitter. E come la mettiamo, allora, con il Presidente del Consiglio, una donna che meritatamente ha raggiunto il vertice della politica? Anche la sua, allora, non è una famiglia tradizionale così come delineato nel libro. Diciamo la verità: i tempi sono cambiati. I valori della famiglia sono sacrosanti: il rispetto degli anziani, la cura dei bambini, la formazione dei giovani, il rapporto con la scuola e così via, ma non possiamo pensare che al giorno d’oggi si possa tornare ad utilizzare modelli ormai superati. Delle tradizioni dobbiamo conservare lo spirito essenziale, ma esse non devono costituire la prigione per il successivo sviluppo della società.  La Patria, uno dei pochissimi vocaboli adoperati con la maiuscola, forse l’unico nel testo ad esserlo con regolare sistematicità, è sicuramente un importante punto di riferimento, sempreché sia collegata ai principi costituzionali di democrazia e di uguaglianza. Non capisco perché quando si usa il termine “paese”, intendendo la nazione, il termine viene indicato in minuscolo, mentre “Patria” in maiuscolo. La “Patria” è l’Italia, è il “Belpaese”, è il nostro “Paese”, non è un concetto astratto. Nella lingua di Dante, così come l’italiano viene definito nel libro, ci vuole coerenza e logica, è un esercizio quasi matematico. Condivido in pieno, e non potrebbe essere altrimenti, il rispetto per la bandiera: ben venga l’introduzione del saluto nelle scuole, ben venga un’intelligente sensibilizzazione all’educazione civica, ma il tutto non sia strumentalizzato da alcune frange estremiste come rievocazione di antichi rituali littori, peraltro banditi dalla nostra Costituzione.       

E veniamo finalmente al capitolo più discusso, il nono, quello intitolato, Il pianeta Lgbt, tacciato sui tabloid di omofobia. In realtà, lo stesso titolo del capitolo esprime la volontà dell’autore di trattare la tematica più che altro in relazione alla tendenza culturale di una minoranza della popolazione e non dell’omosessualità come orientamento in sé. Il generale dimostra di essere consapevole del clamore che susciteranno le sue parole, tanto da affermare candidamente di essere stato dissuaso nell’esprimere opinioni in merito, ma di averle volute, comunque, inserire con coraggio. E di questo gliene diamo merito. La frase che corre sul web “Cari omosessuali non siete normali fatevene una ragione!” è sicuramente decontestualizzata e forse scritta con una certa superficialità da parte dell’autore. Vannacci parte abbastanza bene sul tema, dimostrando di essersi documentato. Definisce, in maniera corretta, l’omosessualità come variante NON PATOLOGICA dell’orientamento sessuale, mutuando la formula dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che, nel 1990, aveva eliminato l’omosessualità dal novero delle deviazioni psicologiche. L’autore, in tale contesto, sostiene di sapere che Leonardo da Vinci e Michelangelo fossero notoriamente omosessuali e sottolinea come l’omosessualità fosse una pratica diffusa e tollerata in epoca classica, acquisendo connotati riprovevoli solo a partire dal Medioevo.  Il generale poi si perde in una serie di banalità, imprecisioni e vacue citazioni culturali, di cui è disseminato l’intero testo. Gli perdoniamo l’onnipresente “disputandum”, il gerundivo latino utilizzato come perifrastica passiva, messo qui e là a bella posta e concordato malamente con termini italiani. Gli perdoniamo meno il voler attribuire agli antichi la corretta interpretazione dell’omosessualità che, a suo dire, dovrebbe essere relegata soltanto nell’alveo dei gusti sessuali. In realtà, il generale dovrebbe sapere che i termini eterosessuale ed omosessuale fanno parte del lessico moderno, pur avendo una derivazione dal greco antico (eteros, diverso/altro, omoios, uguale).  In epoca classica, soprattutto nella Grecia antica, pur richiamata dall’autore a proposito degli schieramenti “cameratisti” dei militari, non esisteva alcuna classificazione od etichettatura della persona, in base ai gusti sessuali, se non in alcune fonti letterarie. Credo che tutti conoscano le storie, non limitate alla sfera sessuale, tra Alessandro Magno ed Efestione, Eurialo e Niso, Achille e Patroclo, Giulio Cesare e Nicomede  e così via. Stiamo parlando di eroi e di grandi condottieri, non di personaggi emarginati dalla società. Ad un certo punto, nel capitolo emerge una considerazione religiosa/teologica, che in parte smaschera la reale opinione dell’autore sull’omosessualità,  fino a quel punto espressa in maniera abbastanza equilibrata: “da parte ecclesiastica non si poteva tollerare una pratica che nei sacri testi aveva scatenato l’ira divina. Pur volendo sorvolare sui papi criminali, incestuosi e simoniaci dell’epoca medievale e rinascimentale, nonché sugli scandali finanziari ed attinenti alla pedofilia dell’epoca contemporanea, a cosa vuole alludere l’autore, riferendosi all’ira divina? Posso immaginare che si riferisca all’episodio narrato nella Genesi, a proposito di Sodoma e Gomorra:  dalla prima delle due città, infatti, deriva il termine “sodomita” con cui, soprattutto in epoca medievale, si tendeva a denominare gli omosessuali. Qui emerge una scarsa conoscenza dei sacri testi: l’autore dovrebbe ben sapere, come ormai è assodato anche da parte dei teologi cattolici, che si tratta di un racconto allegorico e simbolico, inserito per rafforzare il concetto già espresso a proposito del diluvio universale: lo sterminio del genere umano che si era allontanato da Dio. In più, i teologi sono abbastanza concordi nel ritenere che il tema centrale dell’episodio fosse l’ospitalità, così sacra presso le antiche tribù patriarcali del Medio Oriente, da indurre Lot a rinunciare all’onore di capo famiglia, invitando gli stranieri a giacere con le proprie figlie vergini.             

Tornando al messaggio di Vannacci, la sua invettiva si rivolge soprattutto agli attivisti delle comunità Lgbt, che accusa di ogni sorta di blasfemia e di turpitudini. Inoltre, secondo il generale, vi sarebbe una potente lobby omosessuale mondiale che intenderebbe fare il lavaggio del cervello all’opinione pubblica per rendere ordinari alcuni comportamenti che, altrimenti, sarebbero moralmente inaccettabili. Neanche a me piacciono le manifestazioni carnevalesche e quelle che offendono il pudore pubblico, siano esse promosse dagli attivisti Lgbt, siano esse organizzate da altri gruppi sociali o politici. Non credo, tuttavia, che vi sia una lobby omosessuale, che tira le fila del mondo dell’informazione e dello spettacolo. Se proprio dobbiamo credere ad una regia occulta, si tratta di qualcosa di ben più grande ed ambizioso e che si realizza attraverso la manipolazione dei poteri forti, innanzitutto quello della finanza. Destano stupore, poi, le riflessioni linguistiche del generale. Non si capisce come mai abbia da ridire sull’utilizzo della parola gay, quando egli stesso adopera sigle e termini anglosassoni, specialmente in campo operativo, per fare chiarezza sui concetti che vuole spiegare. Secondo il Vannacci, bisognerebbe continuare ad impiegare termini come pederasta, ricchione, frocio et cetera et cetera, senza considerare l’intrinseca connotazione negativa che il significato di questi termini ha acquisito nella percezione individuale e collettiva. Vogliamo rendere obbligatorio il saluto della bandiera nelle scuole, iniziativa che approvo in pieno, ma poi vogliamo favorire il bullismo, lasciando che ad un ragazzino vengano rivolti epiteti del genere? In più non si capisce la preoccupazione del generale sulla definizione corretta di chi si trovi in una fase di transizione da uomo a donna o viceversa. Quella che viene definita la lingua di Dante, come tutti gli altri idiomi, è in continua evoluzione. Nel 2023 non si parla e si scrive come nel 1200, né come nel 1500 e nemmeno come nel 1980. E ricordo che nelle lingue antiche, come il latino e il greco, lingue indoeuropee, esiste anche il neutro, oltre al maschile ed al femminile. I temi veramente scottanti sono quelli  dell’equiparazione della famiglia tradizionale, formata dall’unione tra uomo e donna, con lo scopo di procreare, a quella omosessuale, con la possibilità di adozione. Si tratta di problematiche di difficile regolamentazione, per le quali l’autore legittimamente manifesta le sue perplessità.

Il testo, negli ultimi tre capitoli, Le Tasse, Le nuove città e L’animalismo, si avvia stancamente verso la conclusione. Molti concetti risultano espressi, in forma più o meno uguale, nella trattazione delle precedenti tematiche. Alcune argomentazioni sulle Tasse sono condivisibili, altre scontate, ma siamo tutti d’accordo sul fatto che le tasse in Italia siano troppo alte e che a pagarle siano sempre i soliti noti, costretti a sostenere i costi sociali di nullafacenti, truffatori e migranti. Anche le considerazioni sui gravissimi disagi che devono affrontare quotidianamente coloro che vivono nelle città, in particolare nelle grandi metropoli, appaiono di certo ragionevoli  ed abbastanza condivisibili. Per quanto riguarda l’animalismo, si scade nella banalità e nei luoghi comuni. L’antropomorfizzazione degli animali, cioè il voler attribuire loro tratti umani, è una tendenza che troviamo nella letteratura mitologica e religiosa antica. Se attribuissi al mio cane sentimenti umani, come la cattiveria, la gelosia e l’invidia, sicuramente lo amerei di meno. 

In estrema sintesi, non vi è nulla di nuovo sotto il sole: il libro comprende una serie galoppante di slogan, molto più adatti ad una propaganda politica che non a un testo letterario; molte frasi riportate sul web sono decontestualizzate; le idee sono espresse in maniera legittima ed, in particolare, non sembra che intendano offendere nessuna categoria di persone; i parametri culturali di riferimento risultano, tuttavia, ingenui, deboli e poco approfonditi.