La verità è solo l’ultimo degli enigmi: Lost, la serie da cui tutto ha avuto inizio

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Il 22 settembre 2004 quasi diciannove milioni di persone negli Stati Uniti interruppero quello che stavano facendo per guardare la simulazione di un incidente aereo della durata di un’ora. […] Ma l’importanza di Lost non si può ridurre solo agli ascolti che ha registrato. Perché Lost era televisione per la mente alveare. 

Frank Rose, Immersi nelle storie –  Il mestiere di raccontare nell’era di Internet

Una scritta bianca su sfondo nero, un po’ sfuocata. La scritta ruota lentamente, accompagnata da un rumore dissonante. È l’inizio di Lost.

Quando venne proiettato sul piccolo schermo, nessuno avrebbe mai potuto immaginare una reazione così entusiasta da parte del pubblico. L’idea era nata nell’estate del 2003 quando Lloyd Braun, l’allora capo della ABC Entertainment (rete acquistata nel 1996 dai dirigenti Disney), aveva pensato di creare una serie televisiva che incrociasse l’idea del reality show Survivor con il film Cast Away (2000) di Robert Zemeckis. I dirigenti della ABC, però, nutrivano un forte sospetto nei confronti di un progetto che circolava da molti anni nel mondo dello spettacolo e che aveva dimostrato tutte le sue limitazioni nel 1998, con la riproposta della serie revival degli anni ’70 Fantasilandia, cancellato a metà della prima stagione. La ABC però non si trovava a navigare in buone acque: era solamente al quarto posto nella classifica degli ascolti degli Stati Uniti e aveva bisogno di un programma che avrebbe garantito un forte impatto televisivo. Inizialmente il progetto di Braun venne affidato al produttore Aaron Spelling, il quale però, dopo aver letto l’episodio pilota, si disse non più interessato al progetto. L’idea venne quindi proposta a J.J. Abrams che all’epoca era già famoso per la serie Alias. A lui venne affiancato Damon Lindelof, già sceneggiatore di Crossing Jordan e grande fan di Abrams. Lo stesso J. J. Abrams (in seguito sostituito da Carlton Cuse) non era entusiasta di mettere in scena una serie su un gruppo di naufraghi dispersi su un’isola deserta, purché l’idea non avesse avuto una “deriva fantascientifica“. L’idea di Abrams era, infatti, quella di rendere l’isola stessa un personaggio, modificandone la natura per farla diventare capace di sostenere un numero molto elevato di storie. A questo sarebbero seguiti una serie di personaggi che, grazie al loro particolare trascorso, sarebbero risultati particolarmente destinati a quel tipo di isola.

L’Isola diventa quindi uno dei primi elementi chiave della serie, con un set ricreato appositamente sull’isola di Oahu, nelle Hawaii, invece di un set artificiale (con la conseguente realizzazione di uno degli episodi pilota più cari della tv statunitense, dodici milioni di dollari). L’Isola di Lost è un luogo misterioso, pieno di enigmi inspiegabili, dotata di una forza capace di mettere alla prova i protagonisti della serie in una maniera del tutto nuova. Se è vero che in un’opera artistica tutte le ambientazioni interagiscono con i personaggi presenti, è anche vero che “l’isola doveva essere in grado di colpire i personaggi con dei colpi ad effetto” (Dellonte, Glaviano, Lost e i suoi segreti). Si ritrovano perciò numerose incoerenze (come l’orso polare ucciso dal truffatore James Sawyer, episodio pilota, seconda parte), fenomeni paranormali e strani rumori metallici provenienti dalla foresta. In questo modo, l’Isola è assolutamente in grado di ricreare quella dimensione propria di ambienti chiusi come il commissariato di polizia o l’ospedale: la possibilità che qualsiasi cosa possa accadere diventa il vero motore della storia. L’Isola è viva e si fa personaggio essa stessa. È “l’idea paurosa che l’isola è essa stessa un personaggio del film e ti sta sempre in agguato dietro le spalle” (Simone Regazzoni, La filosofia di Lost).

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L’Isola sa bene quali elementi utilizzare per scuotere la personalità di ogni personaggio e ogni sfida che ella propone è coerente con il percorso di vita dei protagonisti. L’Isola sa puntare sulle debolezze di ogni personaggio per farlo reagire e crescere in senso psicologico. Nell’episodio 11 della prima stagione (Inseguimento) John Locke trova insieme a Boone Carlyle la botola nascosta sotto la vegetazione. Entrambi cercano di aprirla utilizzando forza e conoscenze, ma l’Isola mette a dura prova la fede di Locke impedendogli di aprirla, sebbene egli abbia agito secondo il Suo volere, arrivando addirittura a sacrificare una vita.

E oltre l’Isola non c’è niente. Come ha fatto una terra così grande a rimanere sconosciuta per così tanto tempo? L’Isola crea una dimensione in cui il mondo come lo intendono i protagonisti non esiste più. È separata rispetto a tutto ciò che si conosce ed è lontana. Nell’opera La filosofia di Lost, Regazzoni parla di deserto perché, anche se l’Isola è lussureggiante e abitata, essa crea tra i personaggi e il mondo conosciuto un deserto impossibile da valicare.

Ho navigato per due settimane e mezzo andando verso ovest e facendo 9 nodi. In una settimana sarei dovuto arrivare alle Fiji. Ma il primo lembo di terra che ho visto non erano le Fiji, no… No, era qui… era quest’isola. E lo sai perché? Perché non c’è nient’altro! Questo è tutto quello che è rimasto: questo oceano e questo posto qui. Siamo chiusi dentro una palla di vetro con la neve! Non esiste il mondo esterno, non c’è via di fuga!” (episodio 23: Si vive insieme, si muore soli). Ed è quindi naturale tentare di recidere i legami con la vita passata e tentare di rinascere in quella nuova. “Siamo morti tre giorni fa”, dice Jack Shepard a Kate Austen, quando lei sta per confidargli il motivo del suo arresto. L’isola si fa emblema non solo della morte, ma anche e soprattutto della rinascita attraverso il sigillo della catastrofe del volo.

Non è un caso quindi che vita e morte siano continuamente intrecciati tra di loro (emblematico il meccanismo delle donne incinte che muoiono, nuova vita chiede nuova morte). La vita e morte diventano inseparabili, quasi che uno non possa esistere senza l’altro. “Perché mettere al mondo significa già destinare alla morte […] E non solo sull’Isola, ma nella vita in generale. Non si dona la vita senza donare, al contempo, la morte. Per questo l’unico modo di sfuggire alla morte è non essere mai nati” (sempre da La filosofia di Lost).

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Nonostante l’Isola sia permeata di una dimensione mistica di ampio respiro, nell’intera serie non si parla mai apertamente di religione. Gli elementi spirituali sono molto frequenti in tutti gli episodi e spaziano da citazioni bibliche (i titoli di alcuni episodi come Esodo), alla simbologia taoista del bianco e del nero (il backgammon di Locke), alla percezione di una natura magica abitata da spiriti. John Locke, con la sua forte dose spirituale, non parla mai di Dio, ma solo di Isola, quasi che vi fosse un’effettiva identificazione tra Dio e la natura. Locke pensa che sia stata l’Isola a curarlo dalla paralisi e trasmette su di essa tutte le qualità che solitamente vengono riservate a una divinità. Locke ha continue visioni e una fede incontrollabile, che vacilla solo quando l’Isola sembra impedirgli di aprire la botola nascosta. Lost presenta allo spettatore una religiosità slegata dalle autorità classiche ed essa è lo stimolo per percepire quel substrato magico e incredibile che l’Isola manifesta in più di una forma. La spiritualità, qui, si rivolge a quel lato degli esseri umani in grado di percepire l’elemento mistico del luogo e riconoscerlo come tale.

Altre teorie (riportate soprattutto dai fans) riguardano la possibilità di identificare l’Isola con una metafora del Purgatorio: un luogo di espiazione delle colpe passate e di miglioramento di se stessi. Gli autori non si sono mai pronunciati a riguardo, dichiarando che preferivano che ogni spettatore riflettesse sulla serie le proprie conclusioni.

Un altro elemento fondamentale nella serie riguarda l’alto numero dei protagonisti presente: quattordici personaggi principali, estremamente eterogenei, dalle nazionalità e culture molto differenti (per esempio, Sayd Jarrah è iracheno, mentre Jin-Soo e Sun-Hwa Kwon sono coreani, si parla di una serie tv americana non ambientata in America). Dice Damon Lindelhof, in un’intervista: “…entrambi eravamo arrivati alla stessa conclusione […] la serie avrebbe dovuto raccontare i personaggi. E ce ne sarebbero dovuti essere molti. Ci sarebbero dovute essere molte persone sopravvissute al disastro aereo, perché questo ci avrebbe permesso di avere molte storie da raccontare. […] Sostanzialmente volevamo che la serie parlasse di trasformazione e metamorfosi, qualcosa che non succede spesso in televisione”.

I protagonisti, infatti, subiscono un’evoluzione psicologica molto profonda che rivela un nuovo modo di intendere i personaggi televisivi. Mentre nei film cinematografici l’eroe tende sempre ad avere un’evoluzione di tipo psicologica (data da un particolare problema che deve essere affrontato e risolto in uno spazio di circa un paio d’ore) volta a un fine preciso, le serie tv possono evitare questa parabola dispendiosa proponendo un tipo di serialità ad episodi autoconclusivi, i quali danno la possibilità di presentare personaggi per lo più statici. Ma mentre queste serie permettono l’inserimento dello spettatore nella narrazione in qualsiasi moment, serie televisive come Lost non contemplano la possibilità di essere fruite a partire da un momento casuale, pena la comprensione della trama.

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In generale, i protagonisti dell’Isola sono caratterizzati da un alone di mistero che sembra confondersi bene con l’atmosfera irreale del luogo. Il loro passato è misterioso e, a una prima occhiata, contraddittorio. Si tratta di un passato stratificato, del quale comprendiamo dei momenti grazie ai frequentissimi flashback. Il flashback fornisce allo spettatore una dimensione sconosciuta dell’eroe, spesso in contrasto con il comportamento tenuto sull’isola. Al fan della serie, Michael Dawson può sembrare un padre severo e poco attento ai bisogni del figlio, un padre che ricompare solo dopo nove anni, in occasione della morte della madre del ragazzo. Il flashback (Speciale, episodio 14, prima stagione), però, ci rivela una storia assolutamente differente: un padre solo, senza la possibilità di mettersi in contatto con il figlio, al quale spediva sempre dei fumetti, mai consegnati. La presenza di storie personali così stratificate tende a distogliere l’attenzione dello spettatore dagli enigmi misteriosi dell’isola, per concentrare la sua curiosità sulla dimensione contraddittoria delle persone. Questo spiega anche una delle grandi critiche mosse a Lost riguardo il disinteressamento che i protagonisti spesso manifestano nei confronti di tali enigmi, con l’eccezione di John Locke e la sua dimensione spirituale. Gli autori della serie, infatti, non hanno voluto far seguire ai personaggi le orme di un giallo classico: essi non si recano cioè a caccia di indizi per scoprire il perché di un dato mistero e anche gli eventi più improbabili sembrano sempre essere messi in secondo piano, per far emergere il carattere e gli eventi personali dei protagonisti. In Lost e i suoi segreti (Dellonte, Glaviano), viene preso come esempio l’episodio dell’orso polare. Nonostante Sawyer uccida con una pistola un orso polare, la cui presenza è quantomeno improbabile su un’isola tropicale, l’attenzione di tutti non si focalizza tanto sull’orso, quanto sulla pistola impugnata da Sawyer. Di chi è la pistola e chi è davvero il detenuto presente sul volo, del quale sono state ritrovate le manette? La stessa attenzione dello spettatore viene immediatamente spostata sul litigio, piuttosto che sul mistero dell’orso. I personaggi sono molto più presi da loro stessi che dagli enigmi dell’Isola, perché sono loro il punto focale della narrazione. Nelle stesse pagine del libro dice ancora Lindelof che la scena dell’orso “si trasforma e parla di qualcos’altro, parla di loro. È quello che noi proviamo sempre a fare nella scrittura della serie, far sì che questa parli dei personaggi. Il mistero dell’isola è interessante, ma per noi non è tanto coinvolgente quanto i personaggi“.

A partire dalle caratteristiche personali delle singole storie, si nota fin da subito come tutti i personaggi vivano un passato da eroe tragico che lotta contro un destino avverso, incapace di vincerlo. Gli eroi sono accomunati da un senso di fallimento che li perseguita fino al momento in cui prenderanno l’aereo Oceanic 815. Un fallimento che non è recente, ma proviene direttamente dall’infanzia. Nel suo primo vero flashback (Il coniglio bianco, episodio 5, prima stagione) un giovanissimo Jack Shepard è maltrattato sia dal padre sia dai compagni di scuola, mentre James Sawyer assiste alla morte brutale di entrambi i genitori a causa di un truffatore (Il truffatore, Fuorilegge, episodi 8 e 16, prima stagione). Questa dimensione tragica farà nascere in loro un sentimento di riscatto o di vendetta, un difetto violento e fatale, che si rifletterà in atteggiamenti negativi sull’Isola. Gli sceneggiatori chiamano questo effetto fatal flow, intendendo un attaccamento fatale del personaggio a uno stile di vita, senza volontà di cambiamento. “I personaggi non sono semplicemente perduti in un Isola deserta; sono anime perdute“. Elemento comune a tutti è la ricerca del proprio riscatto in terra australiana, ma grazie ai flashback diventa immediatamente chiaro come anche questo viaggio non sia altro che il preludio a un ulteriore fallimento. L’eroe è in cerca di un qualcosa o qualcuno che possa redimere le colpe del passato, ma la meta risulta essere sempre ingannevole o con un prezzo troppo alto da pagare. John Locke si reca in Australia per compiere un viaggio spirituale che possa sollevarlo da peso della sua invalidità ma, proprio a causa di questa, l’operatore turistico si rifiuta di farlo partire, obbligandolo a rimanere su quella terra (La caccia, episodio 4, prima stagione). Il fallimento è il trait d’union che riunisce tutti i personaggi sul volo Oceanic 815, in un momento in cui tutti loro si trovano a un punto morto della propria vita. Il volo di ritorno a casa è un volo privo di obiettivo o dall’obiettivo negativo.

Locke: “So perché noi due non siamo sempre dello stesso avviso, Jack. Perché tu sei un uomo di scienza.
Jack: “Sì. E tu che cosa sei?
Locke: “Io? Io sono un uomo di fede. Non crederai che tutto ciò sia accidentale? Che noi, un gruppo di sconosciuti, siamo sopravvissuti, molti poi solo con ferite superficiali. Credi che schiantarsi in questo luogo sia casuale? Non vedi che posto è? Siamo stati trascinati qui per uno scopo, tutti quanti. Jack, ognuno di noi è stato portato qui per una ragione.
Jack: “Portato… E chi sarebbe stato, John?
Locke: “L’isola. L’isola ci ha portati qui. Non è un luogo normale, te ne sarai accorto sicuramente. L’isola ha scelto anche te, Jack. È il destino.

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La filosofia della serie si muove in una dimensione molto profonda, ponendo una serie di questioni fondamentali come: che cos’è un’isola oppure che cosa significa sopravvivere? E ciò che stupisce è il fatto di non avere una risposta certa a questi interrogativi. “Lost mette in scena l’enigma della verità. […] ti sprona a pensare un’altra idea di verità al di là di ciò che è semplicemente esatto“. La verità è messa in discussione e nemmeno a serie conclusa è stato possibile dire di avere avuto una risposta certa ad alcuni interrogativi.

Realtà e immaginazione si confondono e i protagonisti rischiano di non sapere mai cos’è immaginario e cosa non lo è. Quando Claire Littleton sogna di un uomo che vuole far del male al suo bambino, Jack Shepard le risponde che si tratta solamente di un sogno, mentre poi la ragazza viene rapita davvero da un membro dei cosiddetti “Altri”. Lost non rivela mai se l’intera esperienza dei naufraghi sia un sogno o un’illusione, ma la quotidianità è costruita in modo tale da farlo spesso supporre. Charlie Pace dice nella seconda stagione: “Ci sono sogni talmente reali che non sembrano sogni” (episodio 12, stagione 2). Non esiste né una verità finale né una soluzione, anche gli eventi più improbabili risultano essere possibili. Personaggi e spettatore si trovano a valicare una linea sottile sulla quale tutto è possibile e la verità non è altro che un ulteriore enigma della serie.

Quella verità, la verità insindacabile, Lost non l’ha mai raggiunta. E forse anche questo fa parte della sua forza. “Durante uno dei nostri primi incontri, Damon ha detto qualcosa che per me è stata un’illuminazione, cioè che non ci sarà una sola risposta per quanto riguarda l’Isola“, ha affermato J.J. Abrams.

Eleonora Fabbri

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Articolo estratto da La Serie Tv Degli Enigmi: Lost di Eleonora Fabbri e concesso ad Auralcrave per la ripubblicazione. Lo scritto completo è online su academia.edu.

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