La psicologia delle persone cattive o violente

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Quando pensiamo alle persone violente, cattive o aggressive che incrociano la nostra strada, spesso siamo portati a vederle come individui fatti di una pasta completamente diversa rispetto a noi. Personalità differenti, guidate da una sorta di stella nera, con un carattere così diverso dal nostro che crediamo di potere accorgercene immediatamente, cambiando così strada. È una predisposizione abbastanza comune: siccome io sono buono e non potrei mai far del male a qualcuno, se conosco una persona in cui riesco a identificare quel tratto di bontà comune, non ritengo possibile che quella persona possa far del male a me o a qualcun altro.

Sembra un ragionamento logico, e invece è il rischio più comune che corriamo nel non riconoscere le personalità aggressive e cattive accanto a noi. Il fatto di aver scorto in loro una scintilla buona ci fa automaticamente escludere la possibilità che possano farci del male. Ci hanno convinto all’inizio che ci amano, che non possono vivere senza di noi e non ci provocherebbero mai alcun dolore, e forti di quella convinzione andiamo avanti, cercando di ricondurre sotto quella prospettiva eventuali comportamenti che razionalmente sono incompatibili, come quelle aggressioni verbali che ci dedicano di tanto in tanto, come quelle grandi o piccole privazioni di libertà personale che denotano mancanza di rispetto, per non parlare di casi più gravi di violenza domestica o criminale.

Perché cadiamo nella loro trappola? Perché ci accorgiamo troppo tardi di avere una relazione con una persona narcisista o più in generale con un violento, capace di atti di manipolazione psicologica o aggressione fisica? Per rispondere a queste domande, vale la pena interrogarsi su come funzioni la psicologia delle personalità aggressive.

C’è un elemento di fondamentale importanza che va capito immediatamente: una persona cattiva non crede di essere cattiva. Esattamente il contrario, loro si considerano delle persone buone come gli altri, capace di provare sentimenti positivi e puri esattamente come tutti. E per certi versi è proprio così: in determinati momenti possono avere degli atti di cura e amore nei nostri confronti come nessuno mai ci aveva dato, perché in quel momento ci vedono come la salvezza dalle loro sofferenze, dal dolore che la vita gli ha inflitto. Ma nel momento stesso in cui scorgono in noi una minima minaccia al proprio ego, alla propria fiducia di sé o alla propria autostima, noi diventiamo un’entità da combattere, da “rimettere a posto” il prima possibile. Anche in maniera veemente, in modo da agire nella maniera più definitiva e diretta possibile.

La differenza tra noi e loro non sta nel fatto che questo cambio di prospettiva possa esistere, ma nel modo in cui ci relazioniamo con esso. Quello che caratterizza le persone cattive nel momento in cui si sentono insicure o minacciate è la mancanza di empatia verso gli altri: non vedono più la dimensione umana in quelli da cui si sentono in pericolo, non sono più coscienti degli effetti che le loro reazioni possono avere su di noi. Ci vedono semplicemente come degli elementi fuori posto. E visto che tipicamente la vita gli ha già inflitto parecchi dolori, sentono di dover reagire al più presto. Vedono solo e soltanto il loro punto di vista: la nostra presenza mette in discussione la loro sicurezza/autostima/fiducia e non conta più nient’altro. Gli tocca combatterci come nemici a tutti gli effetti. Quelle urla, quei pugni sbattuti sul tavolo, sono dei mezzi necessari per reagire alle cose fuori posto della loro vita. E il fatto che dall’altra parte ci sia una persona, che magari hanno amato fino a poco tempo prima, diventa invisibile ai loro occhi.

In questo, va considerato anche il motivo per cui psicologicamente si cede alla rabbia o all’aggressività. Le persone diventano aggressive quasi sempre dopo aver subito a loro volta aggressioni o violenze. E come ogni essere umano, imparano a dare alla vita ciò che da essa ricevono. Se dentro di loro sentono dolore, la reazione istintiva è vendicarsi di quel dolore provocandolo a loro volta. È pura condivisione di ciò che si ha dentro, in maniera diabolicamente simile a quello che succede a chi tra noi ama e si sente spinto a esprimere l’amore che si prova attraverso atti di bontà verso gli altri. Con un elemento aggiuntivo: nel provocare dolore, gli aggressivi ne ricavano anche una piacevole sensazione di rivalsa che può diventare simile a quelle che provocano dipendenze da stupefacenti. La mente ne ottiene un sollievo fugace perché si sente di aver ridato temporaneamente giustizia alle sofferenze che abbiamo ricevuto, e scatta dentro di loro un istinto che li porterà nuovamente a reagire in quel modo non appena sentiranno le stesse sensazioni.

Cosa possiamo fare noi? Fondamentalmente, stare attenti. Non illuderci di poterli cambiare con nostro amore, non convincerci di “meritarceli” in qualche modo e tenere gli occhi aperti alle prime manifestazioni di violenza o cattiveria. Perché il fatto che fino al giorno prima si siano mostrati delle persone capaci di dimostrarci amore non è incompatibile col fatto che oggi siano dei violenti. Restando lucidi, guardando azioni e fatti in maniera oggettiva, è possibile riconoscere i violenti intorno a noi. E riconoscerli è il primo passo per allontanarli dalle nostre vite.

Se sentiamo dei dubbi sulla vera bontà delle persone che ti stanno accanto, se abbiamo la sensazione di non essere in grado di vedere lucidamente i fatti, parlare con una persona esterna e non coinvolta come uno psicologo o un life coach può aiutarti a raggiungere una migliore consapevolezza della tua situazione e, se serve, definire una via d’uscita.

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