Sì, la Casa di Carta 4 è un flop (ma è recuperabile)

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La Casa de Papel 4 è on line su Netflix. E questo è un dato di fatto. Partendo da tale presupposto, bisognerebbe capire se vale la pena guardare questa stagione oppure no.

Per poter giudicare un contenuto è sempre necessario documentarsi, non necessariamente in maniera accurata. Ecco quindi che vi consigliamo di guardare gli ultimi 8 episodi de La Casa di Carta ma di non farlo con un approccio troppo intenso. E perché? Perché ormai lo smalto delle prime stagioni è completamente sparito, il mordente è allentato, la tensione è impercettibile. Il cattivo c’è, il nemico pure, ma non si tratta di personaggi così articolati dal punto di vista psicologico tanto che, solo a guardarne le azioni, potrebbe venirvi la nausea. Non abbiamo lo scopo di “spoilerare” ma ci basta dirvi che i protagonisti più complicati, quelli che ci avevano fatto innamorare, vengono ridotti alla stregua di tipologie umane, pronte a soddisfare il desiderio dei comuni mortali di osservare degli stereotipi rassicuranti. Fu così che Tokyo si staccò da Rio, Rio si avvicinò a Stoccolma che nel frattempo era stata quasi sedotta dall’infaticabile Arturito, il quale, a sua volta, ritorna nella scena del crimine solo per soddisfare i suoi più bassi istinti. E a questo punto potremmo fermare la nostra recensione, dicendo che la serie ha perso le idee originali, lasciandosi andare a sottotrame sentimentali e scene poco argute e sorprendenti. Ma non vogliamo fermarci perché è da questo punto in poi che arriva il nodo della nostra analisi. Sì, perché le sottotrame sentimentali c’erano già prima, però prima non erano così invadenti. E quindi è anche giusto che ci siano, seppur ci sembrino alquanto esagerate.

Quanto a il Professore e la sua consorte, l’ormai ex commisario Raquel Murillo, diremo che i due vengono separati per l’intera quarta stagione. La loro separazione indebolisce entrambi. Il Professore diventa poco lucido, pare quasi scordarsi della forza motrice del piano, Lisbona (la Murillo) oscilla tra una fede indissolubile verso la causa del suo amato e la paura di perdere tutto ciò che ha nella vita. A far vacillare il suo “credo” è l’ispettrice di Polizia Alicia Sierra. Incinta, cazzuta, fastidiosa e scaltra, sarà l’unica in grado di allungare la separazione dei due protagonisti. Ma dove eravamo rimasti? La squadra del Professore, capitanata ormai da Palermo (subentrato a Berlino in quanto referente interno del corpo criminale) si trova nel Banco di Spagna con lo scopo di derubare la Zecca del materiale più prezioso al Mondo: l’oro.

Il gruppo di rapinatori viene però fermato da un problema serio: salvare la vita a Nairobi. Colpita da un proiettile alla fine della terza serie, la gitana lotta per restare ancora in piedi e poter riabbracciare suo figlio. Le cose si prolungano e si complicano a causa del capo della guardia del Banco di Spagna, il tenente Gandìa. Un perfetto Terminator senza anima che si scaglia con freddezza contro il gruppo di rapinatori travestiti con tute rosse e maschere del pittore Dalì. Lui è e resterà per tutti gli episodi un nemico fisico, da bloccare nelle azioni poiché agisce con il solo scopo di eliminare Tokyo e gli altri. Non proverà pietà per nessuno, nemmeno durante una tregua delle armi. Personaggio davvero sbiadito il suo, poco accattivante, suscita flebili brividi e alcuna compassione. Insomma, Psicologia, voto “zero”. Infatti è necessario ammettere che, seppur anche questa stagione sia ricca di azione, effetti speciali, aerei, droni, missili, carri armati, granate, fucili e proiettili, il substrato psicologico dal sapore thriller è del tutto assente nei personaggi minori e maggiori. Tutti si comportano in modo scontato. Il Professore c’è ma non c’è. Troppo impegnato ad essere in pena per la sua donna, ripete strategie di lotta già viste. Ora piange, ora si dispera, ora viene rimproverato dai suoi, ora non capisce nulla di quello che sta accadendo. E gli sceneggiatori lo sanno. Proprio per questo usano la figura del defunto Berlino in tutti gli episodi.

La casa di carta - Parte 4 | Trailer | Netflix Italia

Berlino c’è, vive nei flashback ma c’è. Non si può annullare un personaggio come il suo. Torna per raccontare che si era sposato poco prima di morire. Consapevole di essere malato, aveva preferito abbandonare il piano della rapina alla Banca di Spagna, lasciando il povero Palermo (cotto di lui da ben 10 anni) tra lacrime e disperazione. Ma in realtà, perché Berlino torna? Perché il Professore non è più il Professore (per come lo conosciamo) e perché la sua filosofia di vita e la sua visione della cose mancano al pubblico e sono necessarie per comprendere il senso di La Casa de Papel.

Se Berlino ci era stato sottratto già molti episodi fa, in questa serie siamo costretti ad assistere al lungo addio di Nairobi. La fautrice del matriacarto, la regina della supremazia della razza impura, la sfacciata donnaccia spagnola che non le manda a dire e le suona a tutti, è ormai ko. Ferita, umiliata, spaventata, vorrebbe uscire da quelle mura e morire con dignità in un ospedale, come un essere umano comune. E invece resta lì, con i suoi compari, a fare la vittima sacrificale di un progetto che senza la sua presenza non sarebbe andato avanti. Continua a dare la carica al gruppo dei volontari, tra risate, lezioni di femminismo e musica latina. Possiamo dire quindi che con la scomparsa di Berlino e Nairobi il piano della grande rapina al Banco di Spagna si priva dei suoi due punti saldi. Perché gli altri componenti della banda sono a dir poco instabili, perdono la testa troppo velocemente. Gli sceneggiatori ci obbligano ad assistere persino ad un crollo emotivo di Palermo, l’erede di quella mente geniale di cui abbiamo ancora bisogno. 

E ora veniamo alle sensazioni latenti, alle spiegazioni non sempre evidenti. Se partiamo dall’idea che La Casa de Papel è una serie televisiva di azione che però ha lo scopo di instillare pernsieri profondi nella mente delle persone, dobbiamo assolutamente fare riferimento ad un’altra serie (questa volta americana) che si chiama Mr. Robot. Mr Robot, interpretata da Rami Malek, è un prodromo de La Casa di Carta ma, potremmo dire, anche di Black Mirror. Nella sua storia la società è messa con le spalle al muro (“Fuck Society”è il motto del protagonista, l’hacker Elliot). Costretta a fare i conti con la propria identità, l’umanità si rende conto che si è fatta completamente piegare dal dio Denaro per addentrarsi in un vicolo cieco senza uscita. Pure in Mr Robot le maschere coprono i volti di coloro che stravolgono i Media e la vita dei cittadini e, soprattutto, anche qui i proclami vengono fatti a reti unificate e proiettati sui grandi schermi dei palazzi del centro urbano. Anche il “Colpo alla Zecca spagnola” è una metafora di denuncia dei grandi Sistemi Nazionali? In parte sì e in parte no. Per due motivi: il primo è che i rapinatori sembrano mossi maggiormente da una cupidigia personale e il secondo è che la cittadinanza si avvicina allo scopo dei rapinatori solo dopo averne avvertito una affinità emotiva. Il Professore e la sua banda diventano eroi nazionali, bandiere del riscatto sociale, ma non erano del tutto consapevoli delle conseguenze che il loro piano avrebbe apportato alla collettività.

Se dovrà esistere, per forze di causa maggiore, una quinta serie de La Casa de Papel (si vocifera addirittura la realizzazione di una sesta serie), sarebbe giusto che la trama si concentrasse più sul senso delle azioni che sulle azioni stesse. E sarebbe opportuno, inoltre, che si desse una risposta (anche non troppo evidente) ad alcune domande. Perché bisogna rapinare il punto nevralgico della Moneta nazionale per smuovere la società, perché la Murillo si è ormai spogliata dei suoi panni di poliziotto per seguire un criminale e perché il Professore riesce sempre a fregare i suoi avversari? E soprattutto: qual è il vero scopo di questa serie televisiva? Intrattenere con azioni e scontri o far riflettere? Quanto ai colpi di scena, ci auguriamo vivamente che ci siano davvero. Di quelli belli, da brividi, che ci lasciano incollati davanti allo schermo e ci portano a divorare gli episodi, uno dopo l’altro. Abbiamo persino un suggerimento per gli sceneggiatori: Alicia Serra diventa, alla fine, una “improbabile alleata” de il Professore e abbandona la sua squadra di Polizia. L’unica donna capace di tenergli testa, decide di passare all’altra sponda per stravolgere la sua vita e combattere la solitudine che la sta divorando.

Cosa accadrebbe a quel punto? Questo potrebbe essere un assurdo colpo di scena, che porterebbe a riflettere sulle intenzioni paradossali della banda e sul ribaltamento dei capisaldi della società in cui tutti noi viviamo.

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