Le 14 caratteristiche del fascismo spiegate da Umberto Eco

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Quando nel 1995 Umberto Eco pronunciò per la prima volta la trattazione sul fascismo da cui poi fu estratto uno dei suoi Cinque Scritti Morali (edizioni Bompiani, 1999, acquistabile qui), è probabile che intuisse già l’impatto che un discorso di quel tipo poteva avere. Erano i giorni della celebrazione della liberazione dell’Europa, ma il nascere di dittature e totalitarismi di stampo fascista è una costante in diverse parti del mondo, proprio per la natura stessa del fascismo, e non c’è molta sorpresa nel vedere le parole di Eco tradotte e ripetute costantemente, dal 1995 ad oggi.

Perché quello di Umberto Eco è un punto di vista che unisce profondità intellettuale e testimonianza diretta: lui visse la liberazione partigiana in prima persona, scoprì coi suoi stessi occhi la rinascita delle libertà soppresse, del pluralismo delle posizioni, e capì da solo quali erano stati gli effetti del fascismo in Italia. Fu anche in grado di capire un’importante verità, che lo ispirò nello stilare le caratteristiche dei fascismi: il fascismo non è facile da identificare in maniera incontrovertibile come lo è il nazismo. Mentre il nazismo aveva una filosofia e un’ideologia netta e ben precisa (spiegata in maniera chiara dal Mein Kampf di Hitler), quella del fascismo è un’ideologia debole basata sulla retorica, ed è in grado di assumere volti diversi, spesso non facilmente identificabili. Una guida è dunque necessaria, in ogni tempo, per essere capaci di tenere gli occhi aperti e restare vigili di fronte alla nascita di tendenze che possano inglobare in itinere lo sviluppo di concetti e pratiche fasciste. Un rischio al quale non solo il nostro paese, ma qualsiasi luogo del mondo è costantemente esposto.

Quelle che seguono sono le 14 caratteristiche di quello che Umberto Eco chiama “Ur-fascismo”, o “Fascismo Eterno”, ossia quell’entità capace di trasformarsi e camuffarsi a seconda delle esigenze sociali, riuscendo a restare sufficientemente vivo ancora oggi. Una lettura sempre attuale, riassunta in maniera magistrale dalla conclusione dello stesso Eco, di cui trovate un piccolo estratto alla fine di questo articolo.

1. Culto della tradizione

I fascismi si fondano sull’idea romantica che la verità autentica sia stata rivelata all’alba dei tempi, e che sia dovere sociale riscoprirla. Un concetto che deve essere in grado di conciliare ideologie anche contraddittorie tra loro, per fini pratici. Di conseguenza, non può esserci avanzamento del sapere: la verità è stata già annunciata una volta per tutte, non ha bisogno di essere spiegata o affrontata con senso critico, ma bisogna solo continuare a interpretare il suo messaggio.

2. Rifiuto del modernismo

Sebbene i fascismi possano comunque essere espliciti sostenitori della tecnologia, alla base c’è spesso una negazione del mondo moderno. Spesso viene camuffato come condanna del capitalismo in quanto unica fonte del disagio sociale, ma nella sostanza l’idea è di combattere lo spirito progressista e i prodotti della ragione, alla quale si contrappone una reazione più rabbiosa e istintiva. Il fascismo, da questo punto di vista, è una forma di irrazionalismo.

3. Culto dell’azione fine a se stessa

“L’azione è bella di per sé, e dunque deve essere attuata prima di e senza una qualunque riflessione. Pensare è una forma di evirazione.” L’attacco alla cultura è una costante dei fascismi, insieme alla battaglia verso le argomentazioni intellettuali contrarie alle ideologie portate avanti dal fascismo. Bisogna agire, cambiare, e se appaiono posizioni critiche il primo dovere è tacciarle di complicità al nemico.

4. Il disaccordo è tradimento

Il fascismo non può accettare la critica. Uno spirito critico capace di operare distinzioni è un segno di modernità e porta a un avanzamento delle conoscenze. Per il fascismo, questo si configura come un tradimento verso le vere priorità della società attuale. Agire è la vera priorità, ogni altra cosa è un semplice rallentamento.

5. La paura del diverso

I fascismi crescono sfruttando la naturale paura dell’indole umana per ciò che è diverso. Il primo appello di ogni movimento fascista o proto-fascista è contro “gli intrusi”. Essi generano entropia, rubano risorse, introducono degenerazioni economiche, sociali o morali e dunque parte dell’azione è quella di arginarne gli effetti.

6. Leva sulla frustrazione sociale o individuale

La base di consenso dei fascismi è nella fascia sociale più larga del paese, e la strategia comunicativa è quella che fa leva sul loro disagio, canalizzandone la rabbia. Quando lo strato sociale più grosso è la fascia media, l’argomento più semplice è la paura della pressione sociale proveniente dalle fasce più basse, che spingono per conquistare risorse a quelle superiori. Se invece la fascia sociale più numerosa è quella povera, il nemico comune diventa la ragnatela di fattori che impediscono una corretta redistribuzione della ricchezza.

7. Ossessione del complotto

Nell’ottica di rafforzare un’identità comune e generare compattezza nel consenso, si ricorre spesso all’orgoglio nazionale e al fatto stesso di essere tutti nati nello stesso paese, concentrandosi ove possibile nell’identificazione univoca del nemico. L’ossessione del complotto per mano dei nemici è dunque alla base della psicologia fascista: i sostenitori devono sentirsi assediati e in costante pericolo. Il pericolo può venire dall’esterno (sotto forma di complotto internazionale) o dall’interno (per mano delle fasce che magari si possono considerare comunque esterne, come possono essere gli ebrei o i neri).

8. Il nemico ostenta la sua forza, ma sconfiggerlo è possibile

All’interno della strategia fascista di ricerca e consolidamento del consenso, il nemico identificato come causa del disagio delle fasce sociali consensuali è disegnato come un soggetto che ostenta costantemente la ricchezza e la forza che egli ruba a “noi”. Questo alimenta la rabbia e la sensazione di essere vittime dell’assedio, possibilmente con la consapevolezza che i nemici siano in grado di aiutarsi tra loro per i loro obiettivi. Allo stesso tempo, però, è fondamentale che i seguaci del fascismo siano convinti che il nemico possa essere sconfitto. Si alterna dunque una retorica che punta l’attenzione sulle loro ostentazioni di forza ma ne decanta allo stesso tempo la debolezza strutturale. Per questo motivo, i fascisti sono destinati a perdere le loro guerre, per la loro errata valutazione della forza del nemico.

9. La vita va dedicata alla lotta

Essere militanti è una necessità per tutte le fasce dove risiede il consenso, perché sconfiggere il nemico richiede l’aiuto di tutti. Da questo punto di vista, qualsiasi posizione conciliatrice o pacifista diventa collusione col nemico: il pacifismo è cattivo perché la vita è una guerra permanente (concetto intuito già da Orwell in 1984). Nell’ottica di creare coerenza col resto della psicologia fascista, tuttavia, è possibile sconfiggere il nemico, tramite una sorta di battaglia finale che porterà alla vittoria dei princìpi dell’ideologia locale. Da lì sarà dunque necessario trovare un nuovo fronte di battaglia, perché l’eventualità di “un’età di pace” rende strutturalmente non necessario il ricorso all’ideologia di quel fascismo.

10. La forza e i privilegi sono del popolo

Il concetto di esistenza di una cerchia ristretta, di un’élite, è alla base di qualsiasi ideologia reazionaria. Il fascismo la riformula col concetto di “élite popolare”: i cittadini che supportano quella forma di fascismo sono i cittadini migliori, fanno parte del popolo migliore, e sono invitati a partecipare attivamente alla vita politica. Dal momento che la forza deve essere esercitata contro il nemico subalterno, la retorica fascista alimenta il disprezzo dei subalterni, secondo una struttura gerarchica. Il nemico viene dunque umiliato, e la condizione (anche simulata) di predominio sul nemico diventa disprezzo delle loro posizioni e delle loro condizioni.

11. Culto dell’eroismo

Ciascuno è educato per diventare un’eroe, un salvatore della patria. Nell’ideologia fascista, l’eroismo è la norma. Normalmente, ciò si accompagna a un culto parallelo per la morte: la morte va affrontata con dignità, serve a raggiungere una felicità successiva, e chiunque dovrebbe aspirare ad essa. L’eroe fascista è impaziente di morire. Ma, come suggerisce Umberto Eco, “nella sua impazienza, gli riesce più di frequente di far morire gli altri.”

12. Machismo e senso della guerra

La volontà di potenza dei fascismi sono spesso trasferiti su terreni alternativi. La sfera sessuale è la prima ad essere conquistata, e questo machismo si traduce in condanna e intolleranza verso abitudini sessuali non conformiste, dalla castità all’omosessualità. Per estensione, tale volontà di potenza si sposta facilmente anche in terreno bellico, propugnando la voglia di entrare in guerra con gli altri, allo scopo di provare la propria forza.

13. Populismo qualitativo

Nell’ideologia fascista, il governo è espressione del popolo, e il popolo è un’entità astratta al quale ogni individualità deve piegarsi. Viene meno dunque il principio di democrazia dove ogni singolo cittadino può dare impatto in termini democraticamente quantitativi (per maggioranza): è il popolo l’unico legittimato ad esprimere la volontà comune. Dal momento che non esiste gruppo di esseri umani con un’unica volontà comune, il leader pretende di esserne il loro unico interprete, e i cittadini vengono chiamati a giocare di tanto il tanto il ruolo del popolo. Nelle previsioni di Umberto Eco effettuate nel 1995, il populismo che si prospetta è basato sulla tv e su Internet, e la risposta emotiva di un gruppo selezionato di cittadini viene presentata e accettata come la voce del popolo. Di conseguenza, il primo dovere del fascismo è opporsi ai “putridi parlamentari”. Ogni qual volta un politico getta dubbi sulla legittimità del parlamento (frutto della democrazia rappresentativa) perché non rappresenta più la “voce del popolo”, possiamo sentire l’odore del fascismo.

14. Uso di una neolingua

Prendendo in prestito il concetto teorizzato ancora una volta da Orwell in 1984, i fascismi parlano un linguaggio specifico, coniato in maniera dedicata basandosi su un lessico povero e una sintassi scarsa. Le forme di neolingua possono essere diverse ed è importante saperle identificare, “anche quando prendono la forma innocente di un popolare talk-show.”

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Nell’ottica di fare in modo che tali caratteristiche vengano tenute presente ogni volta che una nazione scorga il bisogno di identificare e combattere l’emergere dei fascismi, Umberto Eco concluse la trattazione sul tema con queste parole:

“Dobbiamo stare attenti che il senso di parole come libertà e dittatura non si dimentichi ancora. L’Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: “Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!” Ahimé, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme. Ogni giorno, in ogni parte del mondo.”

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