Posted by Il primo ascolto di “Dark Matter”, singolo apripista del nuovo omonimo album in studio dei Pearl Jam mi ha suscitato più o meno le stesse sensazioni del first listening di “Angry” degli Stones: -singolo apripista di “Hackney Diamonds” dei Rolling Stones- un brano dal suono fresco e credibile.
Coincidenze? Beh, non credo dato che il producer del dodicesimo album della band di Seattle è lo stesso dell’ultima fatica degli Stones, Andrew Watt. Sicché Dark Matter presenta una band dal suono coeso con un’energia che rimanda agli esordi, ed una vibe oscura e feroce sottolineata dalle liriche di Eddie Vedder che nel refrain del brano ci parla del vero e proprio “Dark Matter” dei nostri tempi: non prendersi la responsabilità e pagare ad libitum la colpa di qualcun altro.
It’s strange these days
When everybody else pays
For someone else’s mistake
This blame takes shape
Still everybody else pays
For someone else’s mistake.
Stavolta c’è una band che a differenza di “Dance of Clairvoyants” prima anticipazione di Gigaton -l’album predecessore di Dark Matter- urla il suo malessere a suon di rock, recuperando grazie anche al lavoro di Andrew Watt dietro i slider del mixer, i vecchi trademark del gruppo: sezione ritmica rombante e presente più che mai, chitarre che dialogano con un piacevole monologo di McCready che ci ha regalato un pregevole solo e Vedder che urla e manifesta il suo dissenso alla sua America -lo spettro di un ritorno di Trump, e la sinistra americana che latita e quel senso di abbandono che ci sprona verso la paura- e al mondo.
Apparentemente con questo comeback single i Pearl Jam hanno lasciato fuori le sperimentazioni di Gigaton -vedremo- , ma l’aspetto più convincente di questa release è come il gruppo suoni rilevante, senza troppi autocompiacimenti. Si stanno affinando come un buon vino e sembrano più uniti che mai, come quando in “Ten” il loro album d’esordio, le loro mani s’intrecciavano in un abbraccio collettivo.
Bentornati Guys.
