Peter Gabriel, I/O: un album su cui riflettere

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Peter Gabriel non è nuovo ad una gestazione elefantiaca di un suo lavoro di inediti: così è stato per Up, che veniva pubblicato nel 2002 a distanza di dieci anni dal suo predecessore Us, e così anche per I/O, il suo ottavo album in studio uscito dopo ventun anni da Up

Per registrarlo, apporre la parola fine alle sue composizioni -sono dodici i brani presenti in I/O- ed anche per svelarcelo, Gabriel si è preso tempo. No, I/O non è il classico album anticipato da due/tre singoli trainanti, ma è un lavoro dove il micro (il brano) è parte del macro (dell’album), sicché Peter Gabriel, a partire dal 6 gennaio 2023 fino allo scorso 27 novembre, ci ha svelato mese dopo mese, luna piena dopo luna piena, i dodici brani del disco. Talvolta in un mixaggio dark -realizzato da Tchad Blake, da Gabriel definito “lo scultore”- o in un mixaggio luminoso (bright) -realizzato da Mark “Spike” Stent, da Gabriel definito “il pittore”- per poi il giorno di luna nuova farci ascoltare l’altro mix.

Sì, probabilmente I/O è il suo progetto più elaborato, ma dietro alla sua scelta di darci la possibilità di ascoltare i brani nella versione che preferiamo, c’è il suo desiderio di mostrarci come dietro alla composizione e registrazione di un brano ci siano delle scelte da compiere: qualcosa da tenere(In) e qualcosa da togliere (Out), come nelle nostre vite.

Peter Gabriel - Playing For Time (Dark-Side Mix)

Questo è il tema portante del disco, anche se nei dodici brani di I/O Peter Gabriel tocca varie tematiche: il tempo che passa, come nella sontuosa “Playing For Time”; il nostro disconnetterci da cosa sia giusto e cosa sbagliato, come in The Court; il nostro sentirci tra le morse dei tentacoli della sorveglianza del web, che assomiglia sempre di più ad un carcere panoptico -teorizzato dal filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham, anzi panopticom; con la scomparsa dei nostri genitori, come nella delicata elegia di And Still, dedicata a sua madre, ed ultimo ma certamente non per importanza la nostra dimenticanza verso nostra madre Terra.

I/O ci porta a riflettere su tutto questo e lo fa attraverso il punto di vista di un uomo che a 73 anni, con la sua arte e le sue canzoni, sente ancora l’esigenza di scalare le alture della sua vita, quelle colline, come quella di Solsbury, avvolte dalla nebbia del tempo, ma pronte ad essere conquistate. Peter ci è riuscito anche stavolta con un album che musicalmente è un compendio del suo universo musicale: groove accattivanti e funky -Road to Joy, This Is Home- ritmi squisitamente pop -come nella title track- atmosfere oscure e suggestive che lo riportano a quando per lui il Rhythm was a heat  (The Court, Panopticom, Four Kind of Horses) e ballad struggenti e senza tempo che sembrano già dei classici (la già citata Playing For Time e Love Can Heal).

Per la sua ottava fatica discografica,  oltre ad essersi avvalso dei suoi collaboratori di lungo corso: Manu Katché (batterista nonché anticipatore dell’imminente release dell’album e relativà tournée  -eventi avvenuti nel 2023- grazie ad un’intervista rilasciata e pubblicata dall’Ouest France il 15 marzo 2022), David Rhodes (chitarrista, , con Gabriel dal 1980 quando veniva pubblicato PG3, conosciuto anche come Melt) e Tony Levin (bassista, con Gabriel dalle sessioni di Toronto del 1976, le quali portarono alla realizzazione del suo album d’esordio PG1, conosciuto anche come Car), Gabriel si è avvalso del contributo di un vecchio ed illustre amico, Brian Eno che in I/O si è occupato del sound design, dei trattamenti elettronici e della produzione di Road To Joy sesto brano in scaletta. Non ce ne vogliano i suoi collaboratori -tra gli altri anche il Soweto Gospel Choir e Paolo Fresu che con le sue note profonde e meditative ha impreziosito il brano di chiusura di I/O, Live and Let Live- ma il valore aggiunto di I/O è rappresentato dal direttore d’orchestra ed arrangiatore John Metcalfe -già con Peter Gabriel in Scratch My Back e New Blood, dove rispettivamente il nostro rivisitò altrui e suoi brani- che con le sue orchestrazioni ed i suoi arrangiamenti ha conferito ai brani del disco una profondità ed una magniloquenza ineccepibili.

Da un perfezionista qual è il musicista di Chobam non potevamo non attenderci un album dallo scarso valore artistico, ma seppur non sia perfetto, I/O, per i suoi contenuti lirici e musicali, il suo concept, ma soprattutto l’alto valore umano ed empatico, è un disco da ascoltare e rifletterci sopra.

“Stuff coming out, stuff going in
I’m just a part of everything” 

I/O