Sting live @ Roma: classe, coolness ed energia

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Quanti artisti possono vantare un brano di apertura così incisivo e vibrante come “Message in a Bottle”? Sicuramente tra questi c’è Sting, che questo weekend ha iniziato il suo show alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica con il classico proveniente da “Regatta de Blanc”, quando Matthew Gordon Sumner militava nei Police.

Dopo Mantova e Stupinigi, la leg estiva del suo “My Songs Tour” ha fatto tappa a Roma con una scaletta che ha sapientemente bilanciato i brani della band inglese, con quelli della sua produzione da solista, iniziata nel 1985 con “The Dream of blue turtles”.

Dal suo follow-up “Nothing Like the Sun” del 1987, il secondo brano dello show, “Englishman in New York” con cui Sting si è preso la scena.

“Be Yourself no matter what they say” ha cantato il pubblico in uno dei tanti singalong dello show, con Sting che sorrideva assieme al suo Fender Precision imbracciato e suonato con grande classe, stile, esperienza ed umiltà.

Introducendo “Brand New Day” si è soffermato sulla partecipazione di Stevie Wonder all’armonica nel brano tratto dall’omonimo disco ed ha lasciato spazio a Shane Sager, armonicista della sua solida backing band.

Con Sting dal 1991, da “The Soul Cages” in avanti, Dominic Miller è più di quello che nel gergo musicale viene considerato un sideman, ma un valore aggiunto come dimostrato dall’esecuzione di “Shape of My Heart” – da “Ten Summoner’s tale” con quel riff da lui composto, cercato e trovato.

Dopo una selezione di brani dai due lavori con cui Sting ha iniziato i nineties, è arrivato il momento per lui di eseguire i classici dei Police, con quella “Positive Vibration” dei ritmi in levare e l’urgenza post 1977.

“Walking in the Moon” con quel “Keep it Up” cantato all’unisono dal pubblico romano è sempre stellare e non ci è servito neanche passare da Cape Canaveral per partire.

Mentre il singolo estratto da “Regatta de Blanc” si dissolveva, “So lonely” è entrata con la sua dirompenza e la sua reggae vibe; Sting l’ha mixata con “No Woman no Cry” rendendo omaggio a Bob Marley e ad un sound che è uno dei tratti distintivi del musicista britannico.

Kevin Webster, from Kingston, tira fuori dalla sua tastiera suoni che ci fanno immaginare quanto sarebbe stato bello essere presenti il 19 luglio del 1975 al Lyceum Ballroom di Londra.

Poi, come per sincronicità, un uno/due da Syncronicity ha “concluso” lo show con “King of Pain” ed “Every Breath You Take”, quest’ultima sempre garanzia di pelle d’oca.

Però ne mancava una all’appello, una canzone a “luci rosse”: così Dominic Miller ha estratto dalla sua Fender il magico ritmo in levare ed è partita “Roxanne”. Il pubblico in tribuna, per non essere da meno dagli attendenti al parterre, si è alzato in piedi e con bounce e stile ha ondeggiato al ritmo della canzone che ha sancito l’inizio dell’avventura musicale con i Police.

Le luci erano pronte ad accendersi, ma non prima di un ultimo abbraccio con, sì, “Fragile”. “How fragile we are, how fragile we are.

Ieri Sting con il suo “My songs Tour” ci ha fatto ritornare indietro alle suoi origini, al suo amore per il basso, agli inizi della sua carriera da solista, ma soprattutto ci ha fatto divertire e strabuzzare gli occhi con i suoi pezzi pieni di classe, coolness ed energia.