Le diciotto ragioni per cui una madre odia il proprio figlio

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Avere un figlio è la gioia più grande che si possa provare in vita. È la cosa è così vera che non richiede grandi argomentazioni o celebrazioni a riguardo. Quello che invece passa spesso sotto silenzio è il fatto che l’arrivo di un figlio può essere causa di grandi frustrazioni e disagi per un neo-genitore: perché richiede un quantitativo di sacrifici inaspettato anche a chi pensava di essersi preparato adeguatamente, perché per i primi anni di vita un figlio è capace di annullare in maniera quasi completa l’individualità della madre, costringerla a rinunciare non solo a parecchie ore di sonno, ma anche a tutte le parti della sua vita che prima rispecchiavano la sua personalità, e che dopo diventano semplicemente “tempo da mamma”. La vita di una mamma cambia in maniera drastica e immediata al momento del parto, e non è un caso che la depressione post-partum sia un malessere molto frequente.

Il fatto è che non c’è spazio per ammettere, a noi stessi e alla società, che tuo figlio possa essere la causa di uno dei più grandi malesseri che un essere umano possa provare nella vita. Perché la nostra stessa parte razionale non ammette che si possa incolpare l’essere che abbiamo messo al mondo per averci rivoluzionato la vita in un modo che spesso non volevamo, arrivando talvolta a farci odiare la vita stessa. Sono pensieri, emozioni che non riteniamo corrette e che pertanto reprimiamo a un livello inconscio. Con risultati pericolosi, perché ogni emozione repressa trova modo di farsi presente nella nostra vita sotto forme diverse, spesso più difficili da gestire e fuori dal nostro controllo: livelli di stress altissimi, ansie, insonnia, sbalzi d’umore e tutte quelle tipiche sensazioni di chi si ritrova a dedicare 20 ore al giorno esclusivamente al bambino appena arrivato.

Donald Winnicott, un influente psicologo attivo a partire dagli anni ’70, non solo descrisse in maniera approfondita l’odio che un neo-genitore prova naturalmente per il proprio figlio e per il modo in cui ha trasformato la sua vita, ma fa anche un passo successivo: secondo le sue tesi, l’odio genitore-figlio è un’emozione necessaria per la crescita emotiva del bambino. Il bambino impara a conoscere l’odio attraverso il genitore, e in quell’odio si sente protetto, perché il genitore non sparisce nonostante quello, e perché questo gli permette di fare esperienza con questa emozione in un ambiente controllato. Anche il bambino odia il genitore, e il tutto si riduce ad imparare ad “odiare nel modo giusto”, secondo le sue parole.

Nel corso delle sue ricerche, Winnicott ha elencato diciotto motivi cardine per cui una mamma odia il proprio figlio. Una lista chiara e completa di ragioni inconsce, a cui magari non pensiamo e che spesso restano a un livello sub-cosciente nella nostra psiche. Conoscerle aiuta a metabolizzare la normale presenza di quest’emozione all’interno del ventaglio di sensazioni del genitore, e in questo modo razionalizzare lo stress e il disagio che vengono fuori soprattutto i primi anni della nuova vita da genitore. Vediamoli insieme, i diciotto motivi per cui una madre odia il proprio figlio, esattamente nel modo in cui sono descritti da Winnicott:

  1. Il bambino non è una sua esclusiva creazione (perché ha coinvolto l’intervento del padre)
  2. Il bambino non è un compagno di giochi (la madre scopre la differenza tra i bambini che ha conosciuto durante la sua intera vita, con cui ha giocato ad esempio nella sua infanzia e da cui poi si è allontanata quando il momento del gioco era terminato. Il proprio figlio resta sempre presente e si mostra pertanto in tutte le facce che essere bambino comporta, non solo quella ludica)
  3. Il bambino non viene generato magicamente (riferimento al dolore fisico della gravidanza, del travaglio e del parto attraverso cui la madre è dovuta passare)
  4. Il bambino è un pericolo per la salute della mamma durante la gravidanza e il parto (il rischio di morte – sia del bambino che della madre – resta sempre presente nella psiche della madre relativamente al parto)
  5. Il bambino è un’interferenza con la sua vita privata, una costante sfida e preoccupazione (la madre rinuncia a bere, a socializzare, a dedicarsi alle proprie passioni, spesso anche a prendersi cura di sé)
  6. In maniera più o meno marcata, la madre sente che la sua stessa madre voleva quel bambino, e che dunque il bambino sia arrivato anche per placare il proprio genitore
  7. Il bambino fa male alla madre durante l’allattamento, attraverso cui il bambino sperimenta la sua abilità di masticare (un dolore provocato dall’amore del bambino per la madre, ma che si traduce in dolore fisico per la mamma)
  8. Il bambino tratta la madre come una schiava (i bisogni del bambino riempiono la vita e la mente del bambino durante tutta l’infanzia e diventano l’unica ragione che muove le sue azioni e richieste, dovranno passare molti anni prima che il bambino impari a considerare il punto di vista di qualcun altro e diventi empatico)
  9. La madre deve amare il bambino in tutte le sue parti, inclusi i suoi escrementi e il suo vomito
  10. Il bambino cerca di far male alla madre, con morsi o altri modi di dimostrare il suo amore (e la mamma deve amare queste espressioni d’amore, sentendosi in colpa se percepisce odio o fastidio per esse)
  11. Il bambino mostra disillusione per la mamma (la dà per scontata, la sua presenza non lo sorprende e non rappresenta fonte di gioia straordinaria)
  12. L’amore del bambino è strettamente legato ai suoi bisogni, quindi quando il bambino vede tutti i suoi bisogni soddisfatti, non mostra più bisogno di avere la mamma vicino
  13. Il bambino domina i ritmi della vita, deve essere protetto dalle circostanze, la vita si svolge in base alle esigenze del bambino e la mamma deve organizzarla in maniera dettagliata per rispondere ai suoi bisogni. Inoltre, la madre non può permettersi di mostrare ansia a riguardo.
  14. All’inizio il bambino non ha idea di quello che la madre ha sacrificato per lui, e non le consente di provare odio o frustrazione.
  15. Il bambino è sospettoso, rifiuta il buon cibo preparato dalla madre, la fa dubitare di se stessa, e magari mangia bene con la zia o la nonna
  16. Dopo una mattinata terribile, la mamma esce col bambino, il bambino fa un sorriso a un passante e il passante risponde “quanto è carino!” (non dando alcuna attenzione alla madre)
  17. Se la madre commette un errore grave col bambino, il bambino gliela farà pagare per tutta la vita (chiaro riferimento alla paura che un errore di educazione genererà un adulto problematico)
  18. Il bambino eccita la madre, ma la madre non può soddisfare alcun bisogno primario su di lui (a differenza di tutte le altre forme di amore per qualcos’altro, a seguito del quale la madre può soddisfare un proprio bisogno, ad esempio mangiando un cibo che ama, facendo sesso con la persona che ama, ecc.)

Alcune di queste ragioni posso rappresentare uno shock, anche per chi cerca in maniera aperta di razionalizzare l’odio che si prova in quanto genitore. Alcune sembrano delle forzature, altre suonano più scontate. Scorrere la lista di Winnicott però ha un importante effetto catartico: il genitore comprende il proprio odio, ne scopre la normalità, può gestire meglio il proprio senso di colpa e lo stress che deriva dalla nuova dimensione della propria vita. Sapere che ciò che prova è normale e va accettato aiuta a gestire la vita e le emozioni in una delle fasi più complesse della vita vissuta, evitando di odiare se stesso per quel che prova.

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