Man Alive! Man Alive!
Un grido quasi disperato, distorto, (ai confini del) disumano: potrebbe essere il verso di quella French girl on the television mentre she’s crying in the palm of my hand. Questo lancinante crying anglosassone è un verbo intraducibile in italiano: è un gridare e un piangere nello stesso momento, è vicino a uno “strillare” ma con un’accezione più disperata e per questo più umana e meno animale. È questo il verso con il quale King Krule cerca di affermare al mondo la propria esistenza.
Man Alive, Man aliiiiiveeeee!
Questa disperata affermazione della propria esistenza è anche un’imprecazione nei confronti dei tempi nei quali viviamo: una bestemmia diretta non verso una qualche divinità ma contro lo stesso uomo, reo di averci fatto precipitare -quale uomo, Alone, Omen, noi chi?- in una rete globalizzata, stringente e soffocante – every minute, every second, you’re not alone, you’re not alone –: totalizzante. Il grido di King Krule è un tentativo di strappare i nodi indistricabili di questa appiccicosa rete nella quale siamo intrappolati.
Man Alive, Man Alive, Man Alive!
Si entra in quest’universo-album alienati e incazzati per la stessa ragione di esserci entrati, in quanto si sente ancora viva la speranza di poter uscirne con le proprie forze (da questo universo-album): e allora il ritmo all’inizio è ben scandito, il basso è palpitante (i battiti del cuore si sentono, si avvertono, si avvertono così tanto da essere ai limiti della tachicardia – Man Alive!), la batteria picchia durissimo in testa ricordandoci in maniera assordante il nostro essere totalmente stoned (again). Intanto la (distortissima) chitarra è alla ricerca di qualche riff strozzato in gola che permetta una fugace boccata d’aria. E poi…
Man Alive!
E poi, si svanisce in un limbo: un limbo allucinato che potrebbe potenzialmente non terminare mai. Si galleggia annichiliti tra le onde di sax e sintetizzatori: gli sguardi puntano pigramente verso il soffitto, cercando confusamente una crepa in quel soffitto, in modo tale che sia possibile avvertire la luce del sole -anche per pochi secondi- e volare (in questo modo) cullati dalle onde – you all look so small from up here – verso una tranquillità neutra e non apparente.
You look so small from up here…
Senza alcun conflitto, dopo aver oltrepassato da (quella che sembra) una vita quel ritmo martellante: alla ricerca di un galleggiamento continuo – you look so small form up here. E galleggiando essere consapevoli, terribilmente consapevoli di tutto: Such a funny life (prima mormorato lentamente, a bassa voce), Such a funny life (ora con maggiore consapevolezza, quasi ridendo),
Such a funny liiiiiiifeeeeee!
Gridato, disperatamente: schiaffoni in faccia per risvegliarsi dall’intorpidimento e muovere le gambe, ghiacciate a causa del volo nella gelida atmosfera, per riscaldarle.
Man Alive, man aliiiiiiveeee!
Gridare, tornare a gridare per affermare ancora una volta la propria esistenza, non arrendersi al galleggiamento e ad una pace apparente, no: consapevolezza, consapevolezza
Man Alive! Man Alive!
Consapevolezza di voler vivere, di poter vivere: consapevolezza del bisogno degli altri per poter vivere – you’re not alone, you’re not alone, you’re not alone – e pregare, pregare un tu indefinito -chiunque tu, tu e basta- per questo aiuto (timidamente), dopo aver imprecato disperatamente contro l’uomo, dopo aver galleggiato sempre più alla deriva. Dopo tutto questo arriva il momento di chiedere umilmente – please – il calore umano, la vicinanza: la completezza – please complete me.
Please complete me…
Ancora mi scorre nelle vene l’ultimo concerto prima del confinamento, prima della chiusura di tutto. È passato un mese ormai da quel concerto: io ero lì a quel concerto e King Krule ha digrignato i denti e sputato la sua depressione per quasi due ore, lasciandosi galleggiare, per pochi (impercettibili) momenti, ma schiaffeggiandosi ripetutamente da solo, imponendo a se stesso di vivere.
Man alive, man aliiiiiveeeee!
Non potevo immaginare che quello potesse essere l’ultimo disperato grido, prima di essere costretti a rinchiudersi tra le quattro asfissianti mura del proprio cervello. Non potevo immaginare che il momento in cui sarei dovuto ritornare lì, in quella testa, fosse così vicino: così vicino proprio quando quella testa non puzzava più di pensieri stantii, ma era fresca di esistenza e stava trovando la forza di non dormire più, di svegliarsi, di non lasciarsi abbandonare…
Man Alive