Perché Morgan è semplicemente ciò che deve essere

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Genio e sregolatezza. Queste sono le parole che più spesso vengono associate a Morgan. Negli ultimi tempi, però, si è data attenzione soprattutto alla sua famosa e proverbiale sregolatezza: dalla storia dello sfratto a causa degli ingenti debiti ai video di lui in giro per la città ad ogni ora del giorno e della notte a bordo di un monopattino elettrico e arrivando al clamoroso episodio di Sanremo 2020 in coppia/antitesi con il collega e (a questo punto, ex) amico Christian Bugatti in arte Bugo. Oltre a tutto ciò – e senza ripescare nel passato remoto avvenimenti più o meno memorabili – esiste anche l’altro lato di Morgan, quello del musicista di grande talento, estremamente colto, preparato non soltanto nel proprio campo ma anche in altri ambiti culturali grazie ad un’evidente e spiccata curiosità, molto ironico ed eccentrico. 

Forse è proprio l’eccentricità l’anello di congiunzione fra le sue due anime, una caratteristica che lo rende unico e affasciante ma, al tempo stesso, difficilmente prevedibile e gestibile – soprattutto in televisione e in un certo tipo di televisione, che (come abbiamo avuto prova alla fine della settantesima edizione del festival) cerca di “spremere” il più possibile questo personaggio fino a renderlo macchietta di se stesso. Parlandone tra amici o sui social, c’è sempre chi grida allo scandalo nel vederlo in circolazione sui nostri schermi “dopo tutto quello che fa ogni volta” e chi, invece, chiude un occhio perché, in fondo, “se lo invitano, comunque devono aspettarsi delle follie da parte sua”. Entrambe le parti, però, non colgono davvero il punto della questione: non si tratta, infatti, né di impedire ad un artista inserito nel contesto dell’industria musicale di fare il proprio lavoro (o di prendere parte gli eventi accessori ad esso) né di essere accondiscendenti e permettergli tutto solo in virtù del fatto di essere l’artista che è. Il mondo, d’altronde, non è mai bianco o nero e di certo nemmeno ciò che riguarda questo cantautore lo è.

È abbastanza comune l’opinione secondo cui dentro Morgan albergherebbe lo spirito di un artista romantico o decadentista: affascinato dai grandi maestri (in questo caso, i cantautori degli anni ’60 e ’70) al punto da averne quasi un culto, ha la tendenza a vivere la propria arte fino al limite e a compiere scelte spesso azzardate (quando non francamente incomprensibili dall’esterno). Sarebbe senza alcun dubbio più a proprio agio a viaggiare nel tempo per conversare un giorno con Schubert e uno con Baudelaire invece di presenziare nei talk show in qualità di ultimo fenomeno da baraccone da esporre finché è sulla bocca di tutti, ma purtroppo infrangere i confini dello spazio-tempo ancora non è possibile e cerca di trarre il meglio possibile dalle opportunità che gli si presentano. È bene ricordare che, comunque, non stiamo parlando di uno sprovveduto che si lascia fagocitare dallo show business in modo naïf e senza coscienza di causa. Morgan sa benissimo cosa vuole un certo pubblico da lui: sono le conseguenze di ciò che fa e dice in quelle specifiche occasioni a non essere sempre di grande giovamento, facendo sì, dunque, che anche nei momenti in cui le sfrutta per esporre un problema o una posizione a lui cari essi si trasformino in uno spettacolo che non gli rende merito (e che sminuisce le sue parole).

La dicotomia di Morgan (in quanto artista, ma magari anche della sua persona?) ci pongono davanti ad un microcosmo che non permette di adagiarsi ad una fruizione passiva della sua musica ma soprattutto del suo personaggio. Non siamo (più) abituati ad osservare fenomeno così complessi all’interno della musica di intrattenimento e del mondo dello spettacolo, mentre quest’uomo pallido dai capelli grigi che si muove freneticamente suonando al pianoforte frammenti di Beethoven e di Tenco (del quale sembra, in qualche modo, essere antitesi e erede allo stesso tempo) ci obbliga a formare un pensiero su di lui (o sulla sua arte) più strutturato e profondo.

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