Teatro sperimentale: i ciechi di Maeterlinck

– “A e mezza.”

– “A e mezza?!?”

– “A e mezza.”

– “E allora mi dici perché diamine siamo qui, che sono meno dieci?!?”

– “Così.”

– “Così, cosa? Maledetto.”

– “Che pesantezza, goditi i suoni della strada. Non la senti? È viva, si muove. Respira.”

– “Sì, certo. I gas di scarico.”

– “Devi essere sempre così disfattista, non c’è verso.”

– “Un verso ci sarebbe, e dal mio punto di vista la tua è l’angolazione sbagliata. Meglio in orizzontale.”

– “Olà, olà! Buonasera!”

– “Eccone un altro malauguratamente verticale.”

– “Anche voi già qui?”

– “No, macché: siamo ologrammi. C’ha messo qua l’azienda di marketing che si occupa di pubblicizzare i trasporti pubblici. Così la gente vede persone alla fermata e si convince a prendere gli autobus.”

– “…”

– “Non dirlo. Non dirlo!”

– “… davvero?”

– “Io me ne vado.”

– “Basta! Finitela, tutt’e due! Allora, gli altri dove sono?”

– “Arrivano, arrivano.”

– “Sai, perché mai stare qui dalla mattina all’alba se l’autobus passa a e mezza? C’è anche chi scende dieci minuti prima e può dirsi tranquillamente in anticipo.”

– “E va bene, va bene. Sei insopportabile.”

– “Lo so.”

– “Allora, per le prove?”

– “Per le prove cosa?”

– “Hai già pensato a qualcosa?”

– “Suono di onde che s’infrangono sugli scogli. Un bambino canticchia una filastrocca.”

– “Tutto a posto? Sente le voci.”

– “Shhh, zitto! Capra. Sta spiegando il copione.”

– “Un gruppo di ciechi vestiti di bianco, benda nera davanti agli occhi. Un castello settentrionale, d’aspetto eterno. Sul fondo, lungo la sera, la sagoma di un prete. Il capo inclinato all’indietro, verso le stelle.”

– “È un astrologo?”

– “È morto.”

– “Per la miseria…”

– “I ciechi si sono smarriti per sempre, nella notte. La loro guida ha esaurito il tempo della vita, proprio lì. In mezzo a loro.”

– “Quindi, riassumendo: erano usciti con il prete e ora che c’è rimasto secco non sanno più che fare?”

– “Non solo: ancora non sanno che chi li ha accompagnati, il prete appunto, è lì, con il capo inclinato verso le stelle. Aspettano il suo ritorno, ma non ritornerà mai.”

– “Insomma, una bella situazione.”

– “E tu chi fai? Il prete?”

– “Il prete è morto.”

– “Vero.”

– “Niente, io pensavo di fare una sorta di metafora.”

– “Questa non l’ho capita.”

– “Questa… di’ che non hai capito in generale, t’assicuro che qui nessuno si stupisce.”

– “Sembrate cane e gatto.”

– “Io faccio il cane.”

– “Zitto!

– “… sono ancora meno cinque, pensa un po’ che giornata…”

– “Dicevo: una metafora. Tutti vestiti di bianco, io di nero. Tutti con la benda, io senza. Tutti con gli occhi sigillati, io spalancati. Spiritati. Mi aggiro sulla scena come un dolore strisciante, che gioisce, gode, s’eccita del climax di angoscia che travolge i protagonisti, fino a terrorizzarli letteralmente, in preda all’ansia sventrante di un suono di passi che s’avvicinano. Lentamente. Fino a fermarsi. In mezzo a loro.”

– “Porco sipario e che paura!”

– “Beh, allora ci siamo.”

– “È arrivato l’autobus?”

– “No, intendo che se vi siete spaventati vuol dire che l’obiettivo è raggiungibile.”

– “A me spaventa l’attesa.”

– “L’attesa è un concetto presente. L’attesa di una felicità sperduta, in mezzo alle tenebre evocate dal fitto fogliame del bosco. L’attesa di passi che ci raggiungeranno, ovunque ci nascondiamo. Anche e soprattutto se nel buio di noi stessi.”

– “Bella fratello… ma io mi riferivo all’attesa dello stramaledettissimo autobus che non arriva perché a te, a quanto pare, piace l’attesa e per questo mi hai fatto scendere praticamente un’ora prima!”

– “Insolente. Devi sempre distruggere tutta la magia.”

– “Però, può starci: spero solo che l’autobus non sia il prete morto. Meglio se fosse i passi che arrivano. E si fermano. Così noi ci saliamo e ripartono. I passi. Cioè, l’autobus.”

– “Lascialo perdere, è un ignorante. Bello, mi piace. E di chi è?”

– “Cosa?”

– “Il copione.”

– “Quando te lo dà: tuo.”

– “Aspetta che rido. Aspetta…”

– “Smettetela! È di Maurice Maeterlinck, autore simbolista belga. Premio Nobel per la Letteratura nel 1911.”

– “E il testo ovviamente s’intitola…”

– “I ciechi”.

– “Fantasia…”

– “Se non ci dai un taglio ti faccio fare il prete cadavere.”

– “Va bene.”

– “Va bene la smetti?”

– “No, va bene per il cadavere. Così non ho battute da imparare.”

– “Somaro.”

– “Pensate che Maeterlinck era molto apprezzato addirittura da Stanislavskij, e non è che fosse proprio dolce di sale eh…”

– “Chi?”

– “Il grande regista russo.”

– “S’immedesimava troppo, troppo stress, perciò…”

– “Almeno stavolta hai fatto una battuta acuta.”

– “Hai visto? Ogni tanto.”

– “Insomma, una regia sperimentale per un testo dal significato aperto, del 1890. Una bella sfida.”

– “Il teatro serve a questo, no?”

– “Ciao a tutti!”

– “Oh guarda chi si vede… attori che devono venire alle nostre stesse prove e che invece di recarsi alla fermata il giorno prima, si presentano con giusto cinque minuti d’anticipo. Dovremmo provare.”

– “Io ti odio.”

– “Allora, che spettacolo facciamo?”

– “I ciechi”.

– “Ah, bello!”

– “…”

– “…”

– “… non ne hai mai sentito parlare, giusto?”

– “Giusto.”

– “Va be’, in sede vi dico. L’ho appena spiegato.”

– “E dai, siamo curiosi!”

– “Sì, siamo curiosi!”

– “Siamo curiosi!”

– “Siamo curiosi!”

– “Siamo…”

– “Basta!”

– “Arriva l’autobus.”

– “Meno male. Cominciavo a non sopportarvi più.”

– “Io non vi sopporto mai, non è che a bordo mi diventate simpatici.”

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