Rocky IV: come Sylvester Stallone pose fine alla guerra fredda

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Rocky IV è universalmente riconosciuto come un film simbolo degli anni ’80, in grado di descrivere uno dei momenti più delicati dell’epoca moderna e di trovare (anche ricorrendo a qualche cazzotto ben assestato) persino la soluzione allo scontro che imperversava da decenni tra USA e URSS. 

Dopo tre film che avevano visto evolvere la figura di Balboa da spiantato perdente in cerca di una possibilità di riscatto a Campione del Mondo, in Rocky IV Sylvester Stallone voleva dare il proprio contributo alla causa americana nella lotta contro l’URSS, ribattezzata amichevolmente dal Presidente Ronald Reagan “Impero del Male”.

Stallone era molto legato alla figura di Balboa: il primo Rocky (di cui aveva scritto la sceneggiatura) lo aveva fatto emergere dall’anonimato a cui sembrava inevitabilmente destinato e, oltre a raccogliere ben tre Oscar, divenne un successo epocale al botteghino.

Rocky era per certi versi una sorta di autobiografia riadattata di Stallone e la storia del  pugile perdente che ha finalmente la possibilità di affermarsi sembrava davvero una versione romanzata della carriera di Sly.

Lo “Stallone italiano”, però, sfiora soltanto il trionfo contro Apollo Creed (Carl Weathers) e la saga proseguirà in Rocky II, in cui Balboa si troverà costretto a tornare sul ring per vincere finalmente il titolo e offrire così una vita migliore alla sua famiglia. In Rocky III la morte dello storico allenatore Mickey (Burgess Meredith, il Pinguino del Batman degli anni 60) costringerà il pugile a rivedere i propri propositi di ritiro e affrontare il temibile “Clubber” Lang.

La serie aveva permesso a Stallone di diventare uno degli attori più in voga di Hollywood, portandolo in breve a essere il volto e i muscoli per eccellenza degli action movie: da Rambo a Cobra, da Over The Top a Tango & Cash, fino ai Mercenari, Sly ha saputo attraversare tra alti e bassi quarant’anni di cinema e Rocky IV è diventato il suo film più amato.

La genesi di Rocky IV

I mesi che precedono Rocky IV furono molto intensi e la precaria situazione tra USA e URSS non stava migliorando: il primo mandato da Presidente di Ronald Reagan si era basato su una decisa politica aggressiva nei confronti dell’Unione Sovietica, che aveva accelerato la tensione tra le due super potenze e riaperto la corsa al riarmo nucleare.

La Guerra Fredda era al suo apice come non avveniva dagli anni ’50 e la paura di un’imminente escalation (con conseguenze abbastanza nefaste per il pianeta) occupava ampiamente ogni aspetto della comunicazione, influenzando anche l’industria dell’intrattenimento.

Il fiuto di Stallone gli consigliò di immergere in questo contesto il suo personaggio più carismatico: il suo soggetto di Rocky IV (di cui avrebbe anche curato la sceneggiatura e la regia) venne concepito allo scopo di dare un contributo alla causa americana, tentando anche di infarcirlo di un messaggio pacifista.

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il tipico dialogo tra le due super-potenze

D’altra parte il passaggio da reietto a eroe aveva reso il pugile italo-americano il modello perfetto per veicolare la nuova rinnovata immagine vincente degli Stati Uniti, mentre l’idea di contrapporgli l’inarrestabile e quasi completamente privo di emozioni Ivan Drago serviva ancora di più a rafforzare la diversità filosofica tra i sistemi sociali e politici dei due popoli.

Il casting

Per Rocky IV Stallone decise di puntare su un antagonista che potesse apparire ben più minaccioso dei suoi precedenti avversari e di rifarsi anche allo stereotipo fisico del russo nell’immaginario statunitense: il casting per Drago fu lungo e scrupoloso e dopo una lunga selezione (si parla addirittura di migliaia di attori valutati) fu scelto lo svedese Dolph Lundgren.

L’attore vantava una parte in 007 Bersaglio Mobile e all’inizio fu scartato perché eccessivamente mingherlino e fin troppo alto: dopo un incontro con Sly (che ne rimase positivamente colpito) e dopo aver guadagnato dieci chili in muscoli, Dolph riuscì finalmente a ottenere la parte che gli aprì poi le porte di Hollywood.

Il suo personaggio, come da copione, sarebbe stato un’insensibile macchina distruttrice e non avrebbe avuto molte possibilità per esprimersi, a parte qualche battuta, entrata di diritto nella storia del cinema.

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“Ti spiezzo in due”

La limitata loquela di Ivan Drago sarebbe stata sopperita dall’ingresso nel cast di Brigitte Nielsen (moglie di Stallone ai tempi), che interpretò la gelida e priva di scrupoli Signora Drago, portavoce e manager dell’atleta.

In Rocky IV tornarono anche i personaggi di Paulie (Burt Young), il cognato/assistente di Balboa e Adriana (Talia Shire), evolutasi, da commessa goffa e sottomessa, a moglie elegante e ben disposta a farsi trovare a bordo ring ogni volta che il marito viene picchiato a sangue.

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Anche Carl Weathers era della partita e il suo ruolo sarebbe stato determinante per l’evoluzione della trama: la morte di Apollo nell’incontro a senso unico con Ivan Drago, avrebbe dato via alla rivalità tra il suo amico Rocky e il gigante russo, ricalcando quanto fatto con Mickey in Rocky III.

Il rapporto tra Weathers e Lundgren non fu proprio amichevole e la particolare rudezza durante le scene (Stallone voleva che i colpi fossero quanto più possibile realistici) portò a uno stop delle riprese di qualche giorno: Dolph si lasciò prendere un pò troppo la mano e Weathers alla fine abbandonò il set, rientrando solo dopo una lunga trattativa con lo stesso Sly.

Non fu solamente Weathers a risentire dei colpi inferti: anche Stallone sorbì la stessa  “medicina” di Lundgren e addirittura fu costretto a un ricovero ospedaliero in terapia intensiva. La raffica di colpi che ricevette durante una scena fece sbattere il cuore di Sly contro lo sterno, provocando il rigonfiamento e il rallentamento progressivo dei battiti del muscolo cardiaco, che avrebbero portato a conseguenze fatali senza un pronto intervento.

A completare il casting, per un cameo di tutto rispetto, venne contattato James Brown, che dopo la partecipazione a The Blues Brothes poté così vantare una propria esibizione in un’altra pellicola campione d’incassi.

Living in America sarebbe diventata l’ultima hit della gloriosa carriera di Mr. Dynamite e la spettacolare scena di ingresso di Apollo prima del match con Drago sarebbe diventata una delle più famose della saga di Rocky.

Gli allenamenti in Rocky IV

La morte di Apollo porta all’incontro tra Rocky e Ivan, da tenersi stavolta in Unione Sovietica. Gli allenamenti di Drago e Balboa in Rocky IV sono all’opposto e mostrano in un montaggio frenetico le differenze tra i due: se il russo dispone dei più efficienti e sofisticati apparati di allenamento (oltre qualche “aiutino”, che non guasta mai), Rocky porta avanti la preparazione del match in mezzo al gelo russo, trascinando tronchi, correndo sulla neve e arrivando perfino a scalare una montagna.

Incredibilmente i metodi di allenamento proposti da Stallone hanno trovato qualche fan disposto a metterli in pratica: Michael Phelps e Ryan Lochte hanno dichiarato di essersi ispirati a quanto visto in Rocky IV per i loro allenamenti e, visti i risultati, si può ritenere che Sly non sfiguri tutto sommato neanche come trainer.

L’incontro tra Rocky e Ivan Drago

I rischi di un’escalation tra le due potenze militari vengono descritti amplificando le diversità culturali tra USA e URSS: gli scontri verbali fanno emergere (anche semplificandole) le reciproche diffidenze e aiutano a mostrare quanto la Guerra Fredda si sia insinuata nella cultura americana.

Il match tra i due avversari è senza esclusione di colpi e, come al solito, dura quelle quindici infinite riprese, che ammazzerebbero un toro.

Rocky Vs Drago - Final Fight

Come al solito è Rocky a primeggiare e la costruzione del match porta la folla presente ad acclamare alla fine l’eroe yankee e a mettere bene in chiaro quali siano i valori migliori su cui puntare.

Il clou del film è nella scena finale, in cui Rocky prova a convertire alla causa della pace i “cattivi” sovietici e Stallone riesce, pur rischiando continuamente d’inciampare nel ridicolo, a costruire una sequenza e un discorso che danno il senso di di Rocky IV e che sono entrate nell’immaginario comune.

Quel “se io posso cambiare e voi potete cambiare, tutto il mondo può cambiare” fa scattare il pubblico presente e persino Gorbaciov in un applauso e in un abbraccio ideale nei confronti del pugile: Rocky, il miglior esempio dell’American Dream, mostra una via alternativa alla strada intrapresa con la Guerra Fredda e con le sue parole si conquista un ruolo fondamentale per la speranza di pace.

Nei mesi successivi il vero Segretario Generale del PCUS avrebbe varato la Perestroika e la Glasnost, aprendosi all’Occidente e sancendo l’inizio della fine della tensione tra USA e URSS: evidentemente si era ancora in tempo per percorrere una strada per la pace.

Un cult generazionale

Rocky IV viene da sempre ricordato come il trionfo del tipico (e famigerato) edonismo reaganiano, esaltato da una fin troppo esplicita politica filo-americana: certamente molto lontano dall’essere considerato un film riuscito (e qui, si va pesantemente di eufemismo), il quarto capitolo sullo Stallone italiano è comunque stato in grado di diventare un cult generazionale e di segnare un’epoca.

Tra esagerazioni, stereotipi, semplificazioni, cazzotti a profusione e musica, Rocky IV riesce comunque a compiere il suo dovere e a diventare uno dei film più riconoscibili di sempre, non solo della carriera di Stallone, mai così a suo agio nella sua prima parte di carriera.

Rocky IV, spogliato dei suoi significati politici, aiuta a far riemergere la nostra parte più ingenua e ben disposta verso l’eroe che sconfigge l’energumeno, spingendoci ancora a credere che la vita possa essere divisa tra buoni e cattivi, bianco e nero.

Poi tutte le tonalità di grigio riaffiorano, mentre le luci della sala si accendono…

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