Luigi Tenco: l’amore che parla un’altra lingua

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Rivoluzionare in modo incisivo, decisivo e definitivo la musica italiana attraverso la tematica più comune, ricorrente e, se vogliamo, persino bistrattata, vale a dire l’amore, è possibile? Sembra un ossimoro: “rivoluzione” e “amore” appaiono come due tasselli incompatibili, due forze che si respingono. Eppure un cantautore, su tutti e prima di tutti, c’è riuscito e ha messo in atto un cambiamento necessario, che ha segnato un’epoca e ha spalancato le porte a quelle successive. Un cambiamento coraggioso, diremmo oggi, col senno di poi. Istintivo, forse, dettato dalla volontà di non aderire a un modo inflazionato, meccanico e cerimonioso di raccontare i sentimenti. Erano gli anni ’60 e quel cantautore era Luigi Tenco.

Per comprendere pienamente quello che ha fatto Tenco e il valore del suo intervento, bisogna innanzitutto contestualizzarlo. Siamo nei primi anni Sessanta, il Festival della Canzone Italiana, più comunemente noto come il Festival di Sanremo, esiste dal 1951 e, nell’arco di appena un decennio, non ha fatto altro che rinsaldare il successo di una canzone d’amore fatta perlopiù di cliché: i sentimenti vengono raccontati attraverso stereotipi, sono ampollosi, totalmente svincolati dalla realtà. Il vocabolario dei primi brani d’amore è circoscritto, le rime prevedibili e il modo di interpretarli è enfatico, ridondante.

La nascita del cantautorato, la volontà di svestire i sentimenti fino a mostrarne la radice e la causa, il bisogno di fare, della musica, un atto di verità, quindi di introspezione, segnano un cambiamento epocale, con cui facciamo i conti ancora oggi. Perché Luigi Tenco, insieme ai primi cantautori italiani, rappresenta un punto di non ritorno, l’origine di una rivoluzione che si rinnova ogni volta che un artista ricorda che la canzone d’autore nasce per essere scomoda, come la verità. E non parliamo (soltanto) di una verità politica, sociale, culturale. Parliamo di una verità personale, intima, dunque imprescindibile, unica e sofferta.

Il cantautorato, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, nasce perché l’Italia vive un momento di cambiamento, il ricordo della Grande Guerra è ancora vivo, pulsante e, nel migliore dei casi, se ne avverte l’eco; i giovani devono imparare a maneggiare un Paese in netta ripresa, fitto di novità, opportunità e distrazioni. Nasce dall’esigenza di indagare i sentimenti nascosti dietro una rinascita. I primi cantautori vengono da famiglie borghesi, sono studenti universitari, ragazzi colti, preparati alla vita ma non a viverla. E quindi scrivono, senza opporre resistenza al cambiamento, esplorano verità ancora intatte e mondi intentati. E scoprono l’introspezione, così tutto trova origine nel sentire, non solo i brani che affrontano le tematiche più intime, ma anche quelli che parlano di politica.

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Il primo album di Luigi Tenco

È in questo contesto che si colloca Luigi Tenco e si realizza la sua rivoluzione. Tenco è sempre stato fuori moda, controcorrente, lungimirante. Non fa alcuna eccezione, dunque, nemmeno il modo in cui racconta i sentimenti. Con lui, il tema dell’amore si collega strettamente a quello della noia, si scrolla di dosso i cliché delle canzonette d’amore, nelle quali il sentimento appare descritto in maniera stereotipata, e decide di raccontare la verità del quotidiano, con la sua innata predisposizione esistenzialista. Racconta in prima persona e con assoluta sincerità le emozioni e le tensioni che l’amore provoca, anche quelle sgradevoli, rivelando al pubblico sensazioni e sentimenti conosciuti da tutti, in verità, eppure da tutti ignorati in nome di una morale che governa e censura alcuni aspetti dell’amore.

Conseguentemente, i risultati che ne scaturiscono sono due: riesce a caricare la canzone di umanità, ad avvicinarla al quotidiano delle persone, e nello stesso tempo crea un affresco da cui l’ascoltatore può trarre le proprie considerazioni, senza che serva alcun suggerimento da parte dell’autore. Difatti, quello che emerge da più canzoni, in maniera particolare da Mi sono innamorato di te, è che l’amore è una fase che si alterna e si oppone all’indifferenza, quindi alla passività della noia. Un’immagine, questa, poco romantica, ma certamente realistica, rivelatrice di un evidente malanno dell’anima.

Mi sono innamorato di te
Perché
Non avevo niente da fare
Il giorno
Volevo qualcuno da incontrare
La notte
Volevo qualcosa da sognare

In un periodo storico in cui nascono e si diffondono brani di innovazione e provocazione musicale, orecchiabili, basati sull’amore perduto, Tenco racconta come la realtà dell’amore possa essere anche diversa: si può amare per noia, per dimenticare o riempire, almeno per un momento, il tedio esistenziale. Innanzitutto, ciò che racconta Tenco è che un sentimento, quando nasce, non è vero amore, ma rappresenta, per chi lo prova, un diversivo, un’alternativa alla solitudine; si tratta di un sentimento utilitaristico, che necessita dell’uso di un’altra persona per realizzarsi. Il linguaggio è quotidiano, schietto, lontano da qualsiasi forma di sfarzo. La melodia e l’interpretazione, a loro volta, sono sentite, umane, carezzevoli, come a voler sottolineare l’ordinarietà di questo sentimento, la sua ricorrenza tra gli uomini.

LUIGI TENCO - MI SONO INNAMORATO DI TE - MMVideo

Mi sono innamorato di te
Perché
Non potevo più stare solo
Il giorno
Volevo parlare dei miei sogni
La notte
Parlare d’amore

Se, quindi, il sentimento è ordinario, sono straordinarie la disinvoltura e la schiettezza con cui Tenco lo racconta. Mi sono innamorato di te giunge ad un punto d’arrivo assolutamente diverso rispetto a quello di partenza: il protagonista diventa dipendente da questo sentimento. Il canto di Tenco, quindi, sfiora la disperazione. L’amore, dunque, non si rivela un buon antidoto contro la noia. In quanto prodotto e fase alterna della noia stessa, nel momento dell’incoscienza, ne è una maschera. Nel momento della consapevolezza, ne è una copia.

L’Italia di Vola colomba, dunque, si trova a fare i conti con Mi sono innamorato di te. Non è un passaggio semplice né immediato, a dispetto di quanto si possa pensare oggi. Piuttosto, è un cambiamento che suscita non poche polemiche e censure, ma che determina un cambio di rotta necessario. Se oggi il (vero) cantautorato italiano esiste ed è orgogliosamente vivo, non è soltanto perché qualcuno l’ha inventato, ma soprattutto perché qualcuno l’ha difeso.

Lo stesso Tenco racconta così la difficoltà di rompere gli argini di una convenzione e raccontare il vero, in un’Italia che non sa ancora come gestire l’onestà dei cantautori:

“In un paese in cui l’amore gronda convenzione in ogni sua descrizione ufficiale, quando cantai di essermi innamorato perché non avevo nulla da fare suonò come una bestemmia […] Ma se avessimo tutti un briciolo di coraggio, quanta verità scopriremmo in questa sincera dichiarazione. Tanto più che il mio innamorato viene da un sentimento vero che lo spinge a cercare tutta la notte la donna che ama”

Da Luigi Tenco, E ora che avrei mille cose da fare
di G. Carozzi e R. Tortarolo

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