Il Sinodo del Cadavere: la lugubre storia del processo al corpo di Papa Formoso

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C’era una volta un re. Spinto dalla sete di vendetta verso un suo nemico che anni prima l’aveva tradito, ma che ormai era morto e sepolto, fece riesumare il corpo e lo trascinò in tribunale per accusarlo di tutte le nefandezze commesse.

Quale macabra favola potrebbe avere un tale incipit? Nessuna favola, infatti. Ma una storia realmente accaduta, a Roma, negli anni più bui del Medioevo.

Il Medioevo ci sembra tanto cruento quanto lontano, e in particolare il saeculum obscurum – dall’888 al 1046 – ci rimanda a leggende ai limiti dell’incredibile: all’ombra della maestosità di San Giovanni in Laterano, nel cuore del Sacro Romano Impero, si svolgeva nel febbraio dell’897 un conciliabolo di prelati che passerà alla storia con il nome di “Sinodo del cadavere” (o Concilio cadaverico).

Il secolo oscuro fu il periodo di massima debolezza e servilismo della storia del papato, che veniva pesantemente influenzato dalle grandi e potenti famiglie nobiliari italiane: non ci fu un papa che salì al soglio pontificio – o ne terminava disgraziatamente il mandato – senza l’approvazione e la diretta ingerenza di una nobile casata.

Dunque la nostra storia è questa: nell’ottobre 891 venne eletto papa Formoso, grazie all’alleanza del partito filo-germanico che guardava ad Arnolfo di Carinzia (re dei Franchi orientali e discendente del dissolto impero carolingio) come legittimo re d’Italia. Il povero Formoso però si trovava a Roma, lontano molte leghe da Arnolfo, minacciato dai potenti duchi di Spoleto e costretto dunque a rinnovare l’incoronazione a Guido II, formalmente già re consacrato dall’avversario di Formoso, il precedente papa, Stefano V.

Formoso
Papa Formoso

Il nuovo papa a questo punto, pur assecondando i desideri di Guido, chiese aiuto al suo alleato Arnolfo e lo persuase a reclamare per sé la corona d’Italia sconfiggendo l’usurpatore: nell’894 il carolingio attraversò le Alpi per una spedizione dimostrativa, sperando di spaventare Guido ma senza particolare successo; quando quest’ultimo morì, alla fine dello stesso anno, il figlio Lamberto II pretese allo stesso modo la corona reale, che Formoso dovette concedere per forza di cose. Nel frattempo inviava suppliche e promesse ad Arnolfo, il quale si fece convincere nuovamente e scese in Italia con l’intento, stavolta, di prendersi definitivamente la corona.

L’esercito di Arnolfo giunse presto a Roma; Lamberto e tutta la fazione spoletina giurarono odio eterno a papa Formoso, che fu catturato ed incarcerato a Castel Sant’Angelo; per sua fortuna Arnolfo sbaragliò i rivoltosi e lo liberò per farsi incoronare finalmente imperatore. Ma mentre si dirigeva a Spoleto per sconfiggere Lamberto e placare le rivolte, lo colpì una paralisi – forse un ictus – che lo costrinse a tornare in Baviera, lasciando il povero Formoso in balia degli spoletini e del caos politico di Roma.

Il papa dopo qualche settimana morì – forse avvelenato – e gli successe prima Bonifacio VI (con il pontificato più breve della storia: due settimane) e poi Stefano VI, alleato e amico degli spoletini e di molte famiglie romane. Stefano VI, sotto la pressione di Lamberto e spinto dall’avversità per Formoso, istituì un vero e proprio processo per tradimento e sacrilegio, con la volontà di punire l’amicizia con i filo-germanici attraverso la damnatio memoriae nei confronti del precedente collega.

STEFANO_VI
Papa Stefano VI

Sotto la cupola, tra il colonnato della basilica di San Giovanni in Laterano, venne approntato un trono di fronte al quale sedevano i giudici del terribile processo: cardinali, teologi e alti prelati chiamati a raccolta da tutta Italia. Seduto sul trono, vestito con tutti i paramenti pontifici e legato in modo che stesse fermo sullo scranno, il cadavere di Formoso veniva accusato da papa Stefano VI in persona di aver tradito la Chiesa e l’Impero ed in preda ad un furore accusatorio che rendeva la scena ancor più terrificante, scagliava imprechi e maledizioni all’indirizzo della salma che, secondo i cronisti, pendeva lugubremente da un lato.

La difesa del cadavere di Formoso era formalmente affidata ad un giovane diacono, in piedi accanto all’accusato, che avrebbe dovuto parlare in sua vece e debolmente controbatteva agli isterici anatemi di Stefano. Il defunto papa venne giudicato colpevole di tutte le accuse, e furono annullate tutte le nomine e gli atti da lui proclamati; gli vennero amputate le tre dita con le quali aveva benedetto, ed il cadavere nuovamente denudato fu trascinato per le strade di Roma per poi essere gettato nel Tevere.

Le spoglie mortali giunsero, come ad alcuni piacerà pensare, per volontà divina, nei pressi di Ostia dove un monaco le riconobbe e le tenne al sicuro per qualche anno, almeno finché papa Stefano sedette in Vaticano, per poi consegnarle alla sacra e fredda tomba di San Pietro, finalmente, tra gli apostoli.

Cover image: Jean-Paul Laurens  Concilio cadaverico (1870)

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