L’Antologia di Spoon River: l’epica bucolica di Edgar Lee Masters

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Esistono due paesini in Illinois. Si chiamano rispettivamente Lewistown e Petersburg. Si trovano vicino a Springfield, nome noto ai più grazie ai Simpsons. Ma la Springfield della famiglia più gialla d’America non ha nulla a che fare con questa. Lewistown è bagnata dal fiume Spoon, e si trova nella contea di Fulton. Prende il nome dal figlio di Ossian Ross, il primo colono trasferitosi nella zona. Così come Petersburg, sorge non molto distante dalla fattoria in cui crebbe il poeta e scrittore americano Edgar Lee Masters. Esiste poi un cimitero, l’Oak Hill Cemetery, presso Lewistown, oggi spesso chiamato semplicemente The Hill, che non si differenzia molto dalla miriade di altri bucolici cimiteri della provincia rurale americana. Eppure, questo è diverso da tutti gli altri, perché entro il suo perimetro sono state seppellite alcune persone le cui vite hanno ispirato l’opera probabilmente più lirica e allo stesso tempo asciutta del primo Novecento americano. Stiamo parlando dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master, comparsa in puntate tra il 1914 e il 1915 sul Mirror di St. Louis. Per una prima edizione integrale dell’opera bisogna aspettare l’aprile del 1915. Questa conta “solo” 213 epigrafi, mentre, nell’edizione definitiva uscita l’anno seguente, le epigrafi diventeranno 243, a cui va aggiunto una sorta di componimento introduttivo, The Hill, che ci avvicina all’opera attraverso una carrellata di personaggi e relative vicende.

Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley,
l’abulico, l’atletico, il buffone, l’ubriacone, il rissoso?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.

Uno trapassò in una febbre,
uno fu arso in miniera,
uno fu ucciso in rissa,
uno morì in prigione,
uno cadde da un ponte lavorando per i suoi cari –
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.

È qui che troviamo anche uno dei personaggi senz’altro più emblematici dell’intera opera, quel Suonatore Jones che De André immortala nell’album del 1971 Non al denaro, non all’amore né al cielo, ispirato proprio dal capolavoro di Masters. Il suonatore Jones rappresenta forse il personaggio più “felice” dell’intera Antologia, l’unico che gioca con la vita “per tutti i novant’anni, fronteggiando il nevischio a petto nudo, bevendo, facendo chiasso, non pensando né a moglie né a parenti, né al denaro, né all’amore, né al cielo”. È a lui che De André fa pronunciare quei pochi iconici versi oggi celebrati persino da alcune antologie scolastiche: “Sembra di sentirlo ancora dire al mercante di liquore, tu che lo vendi cosa ti compri di migliore?”.

I personaggi coinvolti nell’Antologia di Spoon River sono in totale 248 e offrono, nel loro insieme, una sorta di variegato campionario umano. Ogni mestiere e ogni attitudine è in quel luogo contemplata. Ognuno di essi racconta la propria vita dalla fossa in cui riposa. Il tono distaccato, disincantato, lirico e secco al tempo stesso, quasi mai declamatorio, accompagna il lettore senza indugiare in patetismi inutili, in inutili complicazioni sentimentali, anche là dove acquisirebbe il diritto di farlo. Alcuni critici hanno creduto di enucleare diciannove vicende principali all’interno dell’opera, raccontate e ripercorse da tutti i defunti un tempo in gioco sulla scacchiera della piccola cittadina di Spoon River, immaginaria comunità sorta dal genio di Masters, che per crearla ha unito insieme le “sue” Lewistown e Petersburg. L’Antologia si dipana in un caleidoscopio di interpretazioni: ogni personaggio racconta la propria verità, emergono i tradimenti, le meschinità, le piccolezze di ognuno di loro, corredate da una malinconia annacquata, in cui i ricordi si mescolano alle impressioni personali, e quanto ne risulta è un saggio preciso sulla finitezza umana, sulla limitatezza e relatività di qualunque certezza l’uomo possa avere. “Prendete nota, anime prudenti e pie -dice Chase Henry, l’ubriacone del paese- delle controcorrenti della vita, che portano onore ai morti che vissero nell’onta”.

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Edgar Lee Masters

Man mano che le pagine scorrono si ha l’idea di un grande Tetris in cui ogni voce viene completata dalle altre, in cui la visione d’insieme -una qualche “verità ufficiale”- è attingibile soltanto dalla testimonianza “corale” di tutti i personaggi in gioco. Si dice che alcuni di loro, come accennavo prima, siano ispirati da persone realmente esistite, che vissero a Lewistown o a Petersburg e che riposano oggi nell’Oak Cimetery Hill. Ovviamente i nomi utilizzati da Masters sono di fantasia, nessuno troverà quindi la tomba di Columbus Cheney, che voleva piantare salici piangenti per ogni bambino non ancora nato, o di Frank Drummer, il matto deandreiano, che cercò di imparare a memoria l’Enciclopedia Britannica.

Fuori di una cella in questo spazio oscurato –
la fine a venticinque anni!
La mia lingua non riusciva a pronunciare ciò che si agitava dentro di me
e il villaggio mi prese per matto.
Eppure all’inizio c’era una visione chiara,
un alto e urgente proposito nella mia anima
che mi spingeva a cercare di imparare a memoria
L’Enciclopedia Britannica!

L’Antologia arriva in Italia nel 1943, tradotta da Fernanda Pivano. “Ero una ragazza quando ho letto per la prima volta Spoon River: me l’aveva portata Cesare Pavese, una mattina che gli avevo chiesto che differenza c’è tra la letteratura americana e quella inglese. Si era tanto divertito alla mia domanda; si era passato la pipa dall’altra parte della bocca per nascondere un sorriso e non mi aveva risposto. Naturalmente c’ero rimasta malissimo; e quando mi diede i primi libri americani li guardai con grande sospetto”, ricorderà in seguito la Pivano, che descriverà in questi termini il momento in cui Pavese le porta il libro in un caffè di Torino: “Io arrivavo da un paese, lui da un altro; era già ricercato e si era messo una gran sciarpa buffa per nascondersi metà della faccia: secondo lui quella sciarpa bastava a non farlo riconoscere. Avevamo tutti e due gli occhi un po’ lucidi, mentre stavamo lì in piedi a guardare quel libretto smilzo, che era solo una scelta della vera antologia, con la copertina bianca orlata di verde e la carta un po’ ruvida sotto le mani intirizzite dal freddo. Un cameriere ci portò due tazze con qualcosa di colorato (lo chiamavano caffè o cioccolata, in quei giorni) e si offese molto quando si accorse che non assaggiavamo neanche. Poi Pavese ripartì per il suo villaggio, io per il mio; col libretto sotto il cappotto, senza sapere che pochi giorni dopo le autorità l’avrebbero sequestrato”.

I due, dopo questo incontro clandestino, hanno poi senz’altro modo di riflettere assieme sull’opera, di parlarne, di ricercare e discutere quelle che ne sono in ultima analisi le tematiche e i messaggi più rilevanti: la critica al conformismo, la franchezza di vedute e di linguaggio, la denuncia della falsa morale che sfocia in una rivolta ironica e amara contro il bigottismo imperante nell’America di quegli anni, l’antimilitarismo, la disperazione brutale che attanaglia l’essere umano nel suo passaggio al mondo.

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“L’aprii proprio alla metà -dirà la Pivano- e trovai una poesia che finiva così ‘mentre la baciavo con l’anima sulle labbra, l’anima d’improvviso mi fuggì’. Chissà perché questi versi mi mozzarono il fiato: è così difficile spiegare le reazioni degli adolescenti”. Non è un caso che la traduttrice dedicherà buona parte della Prefazione alla prima edizione dell’opera, alla componente emotiva della stessa, che dovette, impattando contro i suoi occhi adolescenti, segnarla moltissimo. Per conoscere meglio i personaggi, per meglio inabissare il proprio cuore nel microcosmo di Spoon River, la Pivano comincia poi a tradurre per sé alcune poesie dell’opera, senza dirlo a Pavese, convinta che l’avrebbe presa in giro. Ma lui, poco tempo dopo, trova il manoscritto nel cassetto di lei e convince Einaudi a pubblicare l’intera Antologia tradotta, evitando la censura del Minculpop fascista grazie ad un ardito stratagemma: fa intitolare l’opera Antologia di S. River, spacciandola per una raccolta di pensieri di un inesistente e quanto mai improbabile San River. Ma le cose non vanno per il verso giusto, e la Pivano paga la traduzione con il carcere. Riguardo a questo episodio in seguito riferirà: “Era superproibito quel libro in Italia. Parlava della pace, contro la guerra, contro il capitalismo, contro in generale tutta la carica del convenzionalismo. Era tutto quello che il governo non ci permetteva di pensare […] mi hanno messo in prigione e sono molto contenta di averlo fatto”.

Da segnalare, oltre al già citato album Non al denaro, non all’amore né al cielo, in cui De Andrè “riscrive” e mette in musica alcuni dei componimenti dell’opera, l’interessantissimo libro Spoon River, ciao, in cui sono raccolti alcuni scatti del fotografo americano William Willinghton, presi nei luoghi dove è stata “ambientata” l’Antologia. Le foto sono accompagnate da alcuni testi inediti della compianta Fernanda Pivano.

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