La fine di un’era: gli ultimi dischi di Lucio Battisti con Mogol

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Il Battisti che torna in Italia nel 1976 dopo un lungo viaggio negli Stati Uniti ha acquisito un bagaglio di sonorità ancora non del tutto esplose alle nostre latitudini (come la Disco Music, che si affermerà definitivamente in Italia solo nel 1977 grazie a La febbre del sabato sera) e tanta voglia di creare un nuovo album che possa rappresentare al meglio questi nuovi ritmi a base di soul e funky.

L’infatuazione per le trame musicali sudamericane, evidente ne Il nostro caro angelo e Anima latina, aveva portato a una decisa evoluzione il percorso musicale di Lucio Battisti, che infatti prosegue e accelera: Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso eccetera esprime fin dal titolo il desiderio di approfondire il ritmo e di mettere in primo piano la cassa in quattro.

L’asfissiante intro di oltre due minuti de Il Veliero (con basso e batteria predominanti, prima di aprirsi a una chitarra funky) riflette al meglio la personalità del nuovo disco di Battisti: non si abbandona il sentiero di melodie e testi (che si colorano di nuove prospettive sul rapporti di coppia, grazie alla penna di Mogol), ma si decide di arricchirlo con ulteriori e innovative influenze.

Ancora tu, canzone simbolo di questo nuovo corso, racconta una relazione impossibile da troncare tra due ex amanti, scegliendo la chitarra di Ivan Graziani a supporto di un groove che rende il brano impossibile da dimenticare.

La compagnia è una cover di un pezzo affidato a Marisa Sannia nel 1969 (in cui c’era lo zampino di Mogol) ed è il brano più tradizionale come impostazione, in cui il sax fraseggia delicatamente con il falsetto del cantante.

Respirando è uno dei testi più originali della coppia: la scena di un suicidio per ritrovare l’amato scomparso. L’incedere sonnolento di questa ballata apparentemente solare esplode in un canto liberatorio e gioioso, che contrasta fortemente con il racconto tutt’altro che allegro.

Il basso resta predominante in quasi tutto l’album (Un uomo che ti ama, No dottore, Dove arriva quel cespuglio, Io ti venderei) contorcendosi senza sosta e ingaggiando un duello con la sottile e quasi eterea voce di Battisti, che sembra volersi mettere in secondo piano rispetto al contesto strumentale, quasi per rendere ancora più esplicito il nuovo scenario, così diverso e inedito nel panorama nazionale.

Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso eccetera domina le classifiche italiane e alza il livello della produzione del cantante reatino, mai così incisivo. Nel 1977 Io tu noi tutti continua la metamorfosi musicale intrapresa l’anno precedente: la fusione tra le influenze funk e pop con la melodia italiana viene ulteriormente perfezionata e regala un’altro successo di vendite e critica a Lucio Battisti.

Stavolta sono le tastiere a sovrastare gli altri strumenti, come si può ascoltare da Questioni di cellule, L’interprete di un film, Amarsi un pò e Sì viaggiare, le canzoni che meglio rappresentano il disco, nettamente più fluido e scorrevole del precedente. Mogol, anch’esso particolarmente ispirato, torna ad affrontare con nuove angolazioni le tematiche care al duo, tra fragilità e storie d’amore.

Ho un anno di più e Soli sono costruite su atmosfere rarefatte e sostenute dalle tastiere, mentre la maliziosa Ami ancora Elisa è tutta la voglia Disco che non riesce a essere più contenuta dal cantante.

L’ansiogena, ma luminosa Neanche un minuto di non amore, brano in cui l’incedere funk delle chitarre e della calda melodia riassumono il carattere sempre più internazionale di Battisti, che proverà con Images a sfondare (senza purtroppo riuscirci) anche all’estero.

Nel 1978 tocca a Una donna per amico, nuovo episodio della travolgente carriera di Lucio Battisti. Stavolta si abbandonano le sponde statunitensi, che avevano visto nascere i precedenti due album, per trasferire in Inghilterra il materiale da realizzare.

Il disco è uno dei più raffinati di sempre del panorama italiano e grazie alla collaborazione di musicisti come Gerry Conway (già batterista di Cat Stevens), Geoff Westley (produttore e tastierista) e Derek Grossmith (sax in Prendila così) si distingue per stile ed eleganza.

Una donna per amico appare molto più malinconico e introverso nei suoi testi dei precedenti LP (Perché no, Avere paura d’innamorarsi troppo, Prendila così), probabilmente influenzato dalla sempre più urgente necessità del cantante di sparire dalle scene e di far parlare direttamente e solo la propria musica, tanto che la copertina sarà la sua ultima immagine concessa ufficialmente.

L’album si compone di pezzi eterogenei che vengono allineati e caratterizzati ognuno da una propria personalità non solo musicale: la delicata Donna selvaggia donna, la sorniona e ironica Maledetto gatto, la travolgente Nessun dolore e l’aggrovigliata Al cinema.

Lucio Battisti - Una donna per amico

Il pezzo che dona il titolo al disco è il capolavoro che rappresenta al meglio lo stato di grazia dell’autore, capace di incidere uno dei suoi classici più amati di sempre: l’impetuoso e ricercato tappeto sonoro non ne guasta l’immediatezza, supportata da uno dei testi più divertenti e azzeccati dell’ultimo periodo assieme a Mogol.

Una giornata uggiosa, pubblicato nel 1980, è l’ultimo capitolo che vede insieme la coppia d’oro della musica italiana: dopo questo lavoro Battisti e Mogol separeranno per sempre le loro strade e fin dalla cupa copertina si capisce che siamo ai titoli di coda.

L’album (registrato ancora all’estero con Westley e artisti come Phil Palmer e Mel Collins) sembra per la prima volta fondato su logiche strutturali diverse rispetto al passato, con l’apporto di Mogol non più così centrale nella poetica di Battisti: i testi appaiono nettamente in secondo piano, mentre le tastiere prendono definitivamente il sopravvento e incentrano su di loro tutta la produzione.

A parte i capisaldi del disco, dove la funzionalità lirica di Mogol riesce ancora a regalare delle canzoni più in linea con il recente passato (Arrivederci a questa sera, Con il nastro rosa, Gelosa cara, Orgoglio e dignità, Una giornata uggiosa), negli altri brani la ricerca del consueto scambio tra strofa e ritornello viene quasi accantonata (Questo amore, Il monolocale, Perché non sei una mela, Amore mio di provincia, Una vita viva) e a prevalere è la ricerca sonora disgiunta dal resto.

La voglia di andarsene (o semplicemente ripartire) che traspare dal disco indica la fine di una stagione irripetibile e di un connubio che ha segnato gli anni ’70: i motivi della separazione da Mogol (oltre all’evidente consunzione del rapporto personale) sono da ricercare nel desiderio di cambiare ancora una volta rotta, stavolta definitivamente. E per tanti versi così sarà e la collaborazione con Pasquale Panella aprirà un’altra affascinante e coraggiosa fase nell’incredibile carriera di Battisti.

Però questi ultimi album con Mogol restano indimenticabili per la loro capacità d’integrare innovazione e tradizione e anche per questo sono entrati nella storia della musica italiana.

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