Lo specchio e la sua simbologia esoterica

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Lo specchio è quell’oggetto misterioso che ha sempre nascosto una significativa simbologia esoterica, presentandosi come uno dei prodotti più affascinanti e, al tempo stesso più inquietanti, dell’ingegno umano. Fin dalle credenze delle civiltà antiche, lo specchio ha suscitato stupore e meraviglia, quasi si trattasse di un portale in grado di condurre l’individuo in un’altra dimensione. Ricordiamo che gli Egizi rappresentavano alcune divinità con uno specchio tra le mani, a significare la straordinaria capacità dell’oggetto di consentire non solo una riflessione di tipo “fisico”, ma soprattutto di natura “spirituale”.

In epoca antica era diffusa l’idea che lo specchio, producendo l’immagine riflessa della persona, ne rivelasse in realtà i labirinti dell’anima. Proprio per questo motivo, la rottura di questo oggetto ha sempre rievocato una sorta di cattivo auspicio, in quanto si poteva interpretare, in maniera trasfigurata, come “frattura dell’anima”. Ancora oggi in molti luoghi del mondo, si raccomanda ai bambini di non stare troppo tempo davanti allo specchio, perché quel gesto ne abbrevierebbe la durata dell’esistenza effettiva, in quanto parte del tempo sarebbe consumato dall’altra parte di sé, vivente dall’altra parte del vetro.

Analizzando le proprietà di uno specchio, prima di tutto è necessario precisare che esso ha bisogno assolutamente di “luce” per riuscire a riflettere le immagini. In ambito esoterico, è ben noto come la luce sia il simbolo della consapevolezza e della saggezza, qualità necessarie per chi si accinga ad intraprendere un percorso introspettivo, senza rischiare di perdersi nei labirinti dell’oscurità. E possiamo immaginare, in maniera ragionevole, che gli uomini primitivi si siano specchiati per la prima volta nell’acqua trasparente, approfittando della sua luminosità e provando sentimenti di smarrimento e di incredulità. Come un’eco di antiche immagini, se osserviamo bene, ancora oggi, sul fondo della maggior parte degli specchi, si può notare un  orizzonte quasi fluttuante, molto simile all’acqua, dove la nostra immagine viene avvolta in un gioco di riflessi. Guardarsi allo specchio è un atto che in genere intimorisce, perché riesce a darti la misura di come ti vedono gli altri: se non sviluppiamo la capacità di provare empatia con noi stessi, è molto difficile che ci riescano con successo gli altri. A questo punto sorge un interrogativo spontaneo: l’immagine riflessa nello specchio riproduce esattamente noi stessi, o si tratta di una nostra versione in maniera inversa?

La stessa etimologia del termine “specchio” ci invita a meditare sul suo significato recondito. La derivazione più accreditata è quella diretta dal vocabolo latino “speculum”, che si ricava dal verbo “specere” che esprime l’azione di osservare, guardare con attenzione, scrutare, non semplicemente di “vedere”, a sua volta legato al verbo greco “spectomai”, avente più o meno lo stesso significato. Dal punto di vista scientifico, senza perderci in oziose spiegazioni, per “specchio” si intende solitamente una superficie levigata, in grado di riflettere i raggi luminosi, in modo da riprodurre anche l’immagine da essi irradiata. Superando la sfera strettamente fisica, si impone un ulteriore interrogativo, se cioè lo specchio sia capace solo di rivelare l’apparenza, ovvero una realtà sfumata di percezione, oppure possa realmente oltrepassare la soglia di ciò che sia immediatamente sensibile.

Come abbiamo anticipato in precedenza, le civiltà antiche mettevano in stretta relazione l’oggetto dello specchio con l’anima dell’individuo, come se il misterioso prodigio ne rappresentasse, in qualche modo, il misterioso contenitore. Presso alcuni popoli vi era la consuetudine di affliggere specchi alle pareti della stanza dove veniva deposto il defunto, in modo che questi potesse viaggiare tranquillo verso il mondo dell’oltretomba. Lo specchio era uno strumento utilizzato anche nelle comunicazioni con gli spiriti, o con svariati esseri imprigionati in altre dimensioni, come descritto in molti racconti fantasy, tra cui uno dei più celebri è la fiaba di Biancaneve, dove la regina-matrigna dialoga con un’entità che vive al di là dello specchio, immaginata dalla fantasia degli autori come capace di prevedere il futuro. Sempre nel contesto del riflesso dell’anima, si pensa che le incarnazioni diaboliche rifuggano il confronto con gli specchi, poiché tali oggetti avrebbero la straordinaria capacità di far emergere la loro vera essenza in tutta la sua nefandezza, scardinando l’eventuale involucro esteriore caratterizzato da una bella quanto falsa apparenza. E non vi è dubbio che  lo specchio sia anche il simbolo della vanità, dell’orgoglio, della superbia e della lussuria: non a caso Giovanni di Patmos, nel libro dell’Apocalisse, descrive “la grande meretrice” con uno specchio fra le mani.

In buona sostanza, lo specchio ci restituisce un’immagine opposta, ma anche quella più somigliante alla realtà, consentendoci di scrutare il nostro volto che, altrimenti, sarebbe, ai nostri occhi, quello più sconosciuto di tutti. Si tratta, perciò, di una metafora della realtà, che deve costituire un importante stimolo di insegnamento a non limitarci ad osservare gli altri ed il mondo esteriore, concentrandoci maggiormente nell’analisi introspettiva e nella conoscenza di noi stessi. Nel contesto opposto, invece, è di grande suggestione e di immutata attualità il mito narrato da Ovidio nelle “Metamorfosi”, in relazione al bellissimo Narciso. Del giovinetto si innamoravano follemente uomini e donne di ogni età, ma egli preferiva dedicarsi alla caccia, piuttosto che impiegare il tempo con i suoi numerosi spasimanti di entrambi i sessi. Uno dei tanti rifiuti, però, gli fu fatale, quando la ninfa Eco sparì nei boschi, consumata da un sentimento d’amore disperato e non corrisposto, lasciando appunto solo “un’eco” di dolore struggente e lontano. A quel punto tutti gli uomini e le donne rifiutati da Narciso chiesero vendetta agli dèi che emisero un terribile verdetto, proclamato tramite la loro emissaria Nemesi. Narciso fu condannato ad innamorarsi della sua stessa immagine riflessa nell’acqua e, non potendo soddisfare la sua passione, si lasciò morire di inedia. Pertanto, lo sventurato giovinetto, definito dai posteri “vanesio” con troppa superficialità, pagò con la vita la sua grande superbia, intrappolato in un’impossibile, quanto contraddittoria, adorazione di sé stesso. Come sempre la mitologia greca rivela un’eccezionale maturità nel rendere plasticamente metaforici i drammi dell’esistenza umana, volendo esprimere, con il sacrificio di Narciso, la “consunzione” dell’anima quando un soggetto non si accorge delle esigenze del mondo che lo circonda, rimanendo imprigionato soltanto negli interessi della propria sfera personale. Non a caso alcuni filosofi, come Scheler, hanno associato lo specchio al processo che compone il pensiero umano, come compendio di autocontemplazione e come riflesso dell’universo.

Per quanto riguarda le origini dell’utilizzo dello specchio, esse sono alquanto nebulose e di difficile individuazione. Si ritiene che nell’antichità i primi specchi furono quasi tutti costruiti in metallo (oro, argento, bronzo, ottone, ramo ed acciaio), anche se alcuni reperti dimostrano che, talvolta, erano formati da ossidiana, una specie di vetro scuro naturale di origine vulcanica, di una colorazione cangiante tra il verdastro ed il nero. Gli specchi in ossidiana, in particolare, sono tuttora legati di frequente a rituali magici e di essi sono stati ritrovati numerosi esemplari, soprattutto in Cina, nel Tibet e in Egitto.

I Romani furono i primi a diffondere l’utilizzo di specchi di vetro, antesignani di quelli moderni, probabilmente dopo i contatti con le popolazioni orientali. Gli iniziati dei circoli esoterici sanno bene che la dea Iside adoperava lo specchio-magico e, grazie al potente strumento, riuscì perfino a rimettere insieme i pezzi dell’amato marito/fratello Osiride, riportandolo nel mondo dei vivi. Lo specchio è spesso raffigurato sulla barca di Iside con il cosiddetto “terzo occhio” di Horus, importante segno di spiritualità e di occultismo, identificato con il potente terzo occhio della mente.

Altre leggende legate allo specchio sono presenti in molte culture, come quella giapponese, riguardante la dea del sole, Amaterasu. Si racconta che la dea era chiusa in una caverna, mentre gli abitanti del mondo cercavano in tutti i modi di farla uscire.  Allo scopo di farle capire la sua grandissima importanza per la vita dell’umanità, invece di convincerla ad uscire con la forza, le portarono uno specchio, in modo che la dea potesse realmente rendersi conto di chi fosse e comprendere che il suo ruolo non era quello di rimanere nascosta, ma quello nobile di illuminare il mondo. Successivamente Amaterasu affidò lo specchio al nipote, destinato a diventare il dio più ammirato nel mondo degli uomini, intimandogli di venerare il prezioso oggetto, perché avrebbe rappresentato per sempre la sua anima. Anche questa narrazione metaforica intende far comprendere come lo specchio sia stato costantemente considerato come strumento per,far conoscere la parte più intima della personalità di ciascuno.

Lo specchio è stato un importante simbolo anche nel linguaggio artistico e cinematografico, soprattutto a partire dal ventesimo secolo, quando iniziò a diffondersi il pensiero freudiano in merito alla struttura della psiche umana, anche se alcune tracce le possiamo individuare già alla fine del diciannovesimo secolo con l’analisi speculare ed introspettiva della tecnica pittorica originale dell’estroso Van Gogh. Alla rappresentazione fiabesca di Biancaneve abbiamo già accennato, ma vi è un racconto ancora più significativo, dal punto di vista semiologico, ed è quello di “Alice nel paese delle meraviglie” La protagonista, attraverso uno specchio, oltrepassa la realtà contingente, per ritrovarsi e scoprire un mondo onirico e stupefacente, abile metafora di un viaggio tortuoso e complesso nei meandri del proprio io inconscio individuale. Tra le opere pittoriche sul tema, appare di grande pregio il capolavoro di Hieronymus Bosch, “I 7 peccati capitali”, dove, con riferimento alla parte dedicata alla superbia, lo specchio è offerto come strumento per esprimere i contenuti di tale fragilità umana. Ma è proprio in ambito alchemico che abbiamo la definizione dello “specchio dell’arte”, quale iconografico emblema della materia universale che deve essere plasmata, seguendo un percorso rigoroso e ben tracciato, grazie allo sviluppo dell’ingegno dell’essere umano. Lo specchio, pertanto, divenuto in apparenza un oggetto di uso banale e quotidiano, è proprio lo strumento più segreto indicato da Ermete Trismegisto, sulla cui luminosa tavola, ritrovata in maniera miracolosa, era incisa la famosa formula ermetica, di socratica memoria, “conosci te stesso”, da interpretare come un invito a rientrare in sé stessi prima di entrare nel “tempio” dell’anima.

Da queste brevi riflessioni, si può comprendere il significato bivalente attribuito allo specchio nell’immaginario collettivo fin dagli albori delle prime civiltà umane: da un lato come trappola e dall’altro come strumento di intima conoscenza divinatoria. Tra chi si specchia e la sua immagine si creerebbe, secondo l’opinione di alcuni psicologi di massa, un tipo di stretto legame psichedelico in grado perfino di rievocare l’unità originale androgina.

E all’inverso del popolare motto “gli occhi sono lo specchio dell’anima”, potremmo dire “l’anima dei nostri occhi è riprodotta nello specchio”.