Respect di Aretha Franklin: la spiegazione e il significato del testo

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Ciò che vuoi Io ce l’ho, caro

Inizia proprio cosi, come un grido, come un’offesa: lacera le radio nell’estate del ’67, calpesta la canzone originale di cui nessuno ricorda il titolo: è Aretha che canta, commenta i dj locale a fine canzone, e Aretha si sa che è brava.

Si, proprio lei, la regina del soul, la signora elegante che vedi nei video anni 2000 così silenziosa, anima gli anni 60 con uno spirito nuovo: non è più il tempo della musica per rilassarsi, sono gli anni del rock. della rottura ed è proprio lei, la figlia del predicatore, a dare voce a quel coro prima invisibile.

Sì, Respect inizia proprio cosi, negli anni dei manifesti coloratissimi, dei mariti che tornano nelle case per bene dai toni tenui dove finalmente c’è il frigo nuovo, o negli appartamenti rovinati dove irrompono le prime immagini televisive della vita dei ricchi: è una società nuova, stufa di sentire parlare di povertà e guerra, che ci convive però tutti i giorni.
La società di chi lavora.

E proprio in questo contesto viene ambientato il testo, che capovolge in realtà quello dell’originale di Otis Redding, inciso nel 65.

Un passo indietro: due anni prima che esca la versione della Franklin, tale Redding pubblica il manifesto dell’uomo che torna a casa la sera ed esige “rispetto”: che poi significa che vuole stare bene in casa sua, con la sua donna e chiede che preferibilmente lei non gli crei problemi: perché è una persona che lavora, diamine!, e quelli ce li ha già in ufficio.

Ed ecco che due anni dopo Aretha che è già famosa e ha appena firmato con l’Atlantic Record, riprende il testo e lo ribalta proponendolo dal punto di vista femminile.
Di più: dal punto di vista di una donna che vuole proprio disturbare.

Ciò che vuoi Io ce l’ho, caro

Inizia già come polemica, come una risposta a un’obiezione non detta, solo pensata: tre parole what-you-want che sono già uno schiaffo.

Ciò di cui hai bisogno sai che io ce l’ho- Tutto ciò che sto chiedendo è un po’ di rispetto quando torni a casa
Hey, tesoro

è urlato ed è anche ironico: la frase chiusa da un “hey” che è tutto meno che rispettoso.

Non faccio nulla di male quando non ci sei
Non faccio nulla di male perché non voglio
Tutto ciò che sto chiedendo
È un po’ di rispetto quando torni a casa (solo un po’)

Questa è ripresa dal testo originale:

Do me wrong, honey, if you wanna / You can do me wrong, honey, while I’m gone

Come sé il buon Otis dicesse: non mi interessa cosa fai in mia assenza, mi basta che tu lo faccia anche quando torno. Occhio non vede eccetera eccetera.

Chi scrive risponde alla provocazione e stronca subito l’interlocutore: io mica devo nasconderti nulla. Cioè: il nostro rapporto non deve basarsi sull’evitare di sollevare problemi, ma nell’affrontarli insieme.

Io sto per darti tutti i miei soldi E tutto ciò che chiedo In cambio, caro
È di darmi ciò che mi spetta Quando torni a casa

Ci sembra di vederla cantare vestita di jeans, Aretha Franklin mentre sottintende: non mi sembra di chiedere tanto. Questo è un periodo emotivamente difficile per l’autrice, che due anni dopo divorzierà da un marito violento.

Lei, che sin da piccola aveva dovuto affrontare separazioni e addii di persone vicine, ancora una volta percepisce che non si sente veramente voluta bene: ma stavolta anziché incassare reagisce.

Non a caso è lo stesso periodo di Running Out of Fools (Is that why you got in touch with me?/I guess you must be runnin’ out of fools. Riecheggia il :Mi sono stancata di provare a continuare non hai piu persone da prendere in giro)

Aretha Franklin - Runnin' Out Of Fools

Ooohh, i tuoi baci più dolci del miele
E indovina un po’?
Lo sono anche i miei soldi

Anche questa è una giravolta rispetto al testo originale: Hey, little girl, you’re so sweeter than honey / And I’m about to just give you all of my money

Ma la donna protagonista della versione di Arehta non è una principessa da viziare: ancora una volta l’autrice ironizza sul testo originale e sottolinea: questa relazione non è un discorso di convenienza. Altrimenti sarei rimasta a casa dai miei.

R-I-S-P-E-T-T-O

Talmente arrabbiata da doverlo scandire, ed è qui che capisci che il tono del discorso è andato oltre la possibilità di cavarsela in modo semplice.

Non è un caso che i cori siano femminili: devono essere il più solidali possibili con la voce protagonista, devono darti l’idea della tempesta che è ormai questa sua rabbia: proprio come quando ti inalberi ed ogni pensiero sembra fare da eco a quell’esigenza di comunicare che ti agita.

Ascolta la canzone: neppure per un secondo la voce dell’autrice, che pure è cosi femminile e piena, cede alla dolcezza: è gridata dall’inizio alla fine, quasi un discorso che ti sta urlando dall’altra stanza.

Sì, piano e trombe seguono la musica ma immediatamente dai primi secondi in cui entra lei nella canzone sono stati ridotti solo a un sottofondo: la sua voce, la sua rabbia li sovrasta.

Qui addirittura si fermano:

R-I-S-P-E-T-T-O Scopri ciò che vuol dire per me

Il coro sotto ripete: TCB: “Take Care of Business”, cioè: occupati del tuo

R-I-S-P-E-T-T-O
Prenditi cura di ciò che ti riguarda

Credo che il succo del discorso sia proprio in questa richiesta, che è il vero cuore della canzone: ascoltami. Non mi importano i soldi,le domande di rito, non mi importa che ti comporti come pensi che vada bene da regola: voglio che mi ascolti.

Mi sono stancata di provare a continuare non hai piu persone da prendere in giro

Rispetto, prova a capire cosa significa per me
prenditi cura di me (Prendimi a pugni)

Se è vero che ti feriscono davvero solo coloro a cui tieni, si capisce perché questo testo sia un intreccio di dolore e nostalgia: un climax che culmina nella minaccia massima, quella di chi se ne va per non soffrire più.

E non sto mentendo (solo un po’)
Ri ri ri rispetto Quando torni a casa
O potresti entrare in casa
E scoprire che me ne sono andata
Devo avere
un pò di rispetto (solo un po’)

Qui capisci che questo grido, questa grandissima rabbia, deriva dal dolore di non sentirsi considerate e stimate, cioè amate. Come se scrivesse: l‘ amore non è una regola, non è fare a modo tuo e neppure fare a modo mio. Piuttosto è accettare il pacchetto completo della persona e, appunto, rispettarlo.

Ed è un mix perfetto, lo senti dall’inizio, dai primi secondi che sono già decisi e arrabbiati e così melodici insieme. Facci caso, non c’è una frase che potresti estrapolare dal testo senza che sembra presa da un litigio.

Oggi Wikipedia ci dice che Respect è il manifesto dei movimenti femministi, oppure in questa canzone oggi così condivisa non ci sono concetti astratti o universali: è prima di tutto un testo straordinariamente personale.

Ci sono decine, centinaia di cover ma ti sfido a trovarne una cantata con la stessa rabbia con cui canta Aretha. Solo lei ha quella foga, quel grido espresso sia col tono che con le parole: chi scrive ha in mente un nome e un cognome.

Lo stesso concetto che da il titolo alla canzone non ha nulla di astratto: quando parla di rispetto non ci riferiamo a una serie di regole comportamentali,a una sorta di decoro. Del resto non ha bisogno della buona opinione del marito, nè del suo stipendio: questa insoddisfazione così prepotente deve derivare da altro.
Ben lungi da un significato giuridico, l’autrice grida l’esigenza di essere guardata con la stima di chi vuole bene.

All’epoca diventò un manifesto perché parlava tramite immagini che tutti avremmo capito: diventò pubblico, e quindi condiviso, perché era così personale e cioè vero.
Rolling Stone, nel novembre 2004, ha pubblicato una lista dei 500 migliori brani di tutti i tempi, posizionando la versione di Aretha al quinto posto, prima tra le canzoni cantate da donne e prima tra le cover. Nel 2021, in un riaggiornamento della lista, la versione di Aretha si è classificata al primo posto in assoluto.

Respect è simbolo di una ribellione nuova ed è soprattutto una richiesta molto umana: ascoltami. E proprio perché così sincera, fragile e contemporanemanete potente può attraversare gli anni e i secoli, restando vera, solida come pietra miliare, per sempre.

Respect (with The Royal Philharmonic Orchestra)