Scacco matto: la blasfemia visionaria di Josè Saramago

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“Uno dei principi della leggibilità è questo: scrivi frasi brevi. Il nucleo di un’espressione si basa su una combinazione di soggetto, verbo e oggetto”.

Immaginiamo una prospettiva dubbia e insoluta; proviamo a disegnarla come se costeggiassimo una strada lungo una collina o ad arginarla come se fosse un fiume in piena; oppure sentiamoci trasportati, come se navigassimo alla scoperta dell’oceano scevri da limiti e tempi, da regole e concessioni. Josè Saramago darebbe spazio a riflessioni che celebrerebbero il nostro essere, svolgendo semplicemente precisi dialoghi che distolgono la perfezione all’eventualità, inafferrabile, inaspettata, imprevedibile… umana!

In un ruvido e ironico flusso di coscienza, spazientito da un’apparenza ben apparecchiata e indispettito dalla misera potenza mondiale, Saramago scrive per scrivere, non per essere letto da chi sceglie di leggerlo. Bandisce l’altro, in una società che per forza si autoproclama collettiva ma, sottoterra, brama il successo del solo. Ammutolisce Dio per come Dio è inteso dall’uomo, senza scongiurare un posto in paradiso, in purgatorio e nell’inferno, abbracciando il peccato e il perdono, arrendendosi alla normalità di perdizioni umanissime, ad “una sola moltitudine”.

Cieco visionario di una psicosi collettiva che, certo è, non da oggi devasta il mondo nella definizione indefinita di un ambiente neutro linguisticamente presente; zecca fastidiosa (o coraggiosa?), senza identità religiosa; ateo e promettente anarchico verso una politica poco bersagliata ma timorosamente protetta “di un Bush di una ignoranza abissale”, glossando l’Apokolokyntosis, satira di senecana memoria; raccoglitore di idee nuove non affini alla cultura del piagnisteo, di un buonismo abbottonato che crede, immaginariamente, di amministrare un popolo senza contezza di idee e progressione. 

Spietato sostenitore del contrasto definito da Saramago come la forma più democratica di qualsiasi dialogo. Intellettuale eretico di realtà allegoriche e annebbiate da una lucidità persistente; severo censore di un giudizio universale creato “da chissà chi e da chissàcosa”.

Leale nemico di un Dio esasperato da ideologie religiose interpretate secondo misura, sostenute da diverse etnie etiche e assaltate da volti irrorati da una guerra “santa”: l’alba israeliana prevarrà sul tramonto palestinese.

“Il mondo dimentica, te l’ho già detto, il mondo dimentica tutto, credi che ti abbiano dimenticato, il mondo dimentica a tal punto da non accorgersi neanche della mancanza di ciò che ha dimenticato“

José Saramago L’anno della morte di Ricardo Reis

Saramago, comunista blasfemo e critico nei confronti di un dio arrogante e menzognero che condanna al patibolo il proprio figlio, Uomo, buono, compassionevole, intriso di passioni e debolezze, agitato dai dubbi, “profeta” e rivoluzionario.

Saramago, eccentricamente indispettito “per colpa di un senso di colpa”, voluto e indotto da un dio imperativo, da un dio cattivo, da un dio che imprigiona e non perdona, da un dio impietoso, lontano: “la storia degli uomini è la storia dei loro fraintendimenti con dio, né lui capisce noi, né noi capiamo lui”.

E se Saramago avesse vissuto la sua vita come una perenne partita a scacchi?

Il bianco e il nero: apertura, mediogioco e finale… scacco matto!