Il significato del film Cassandra Crossing e il mito di Cassandra

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Nel periodo surreale del coronavirus, ho rivisto con piacere il famoso film del 1976 Cassandra Crossing, da me apprezzato per la prima volta durante gli anni Ottanta, in occasione di una delle sue prime proiezioni televisive. Si trattò di una delle più ardite rappresentazioni hollywoodiane ad essere eseguite in un’ottica prettamente europea, con un cast di altissimo prestigio e di sicuro successo al botteghino, cominciando da attrici del calibro di Sophia Loren, Alida Valli ed Ava Gardner, per passare ad interpreti come O.J. Simpson, Martin Sheen e Burt Lancaster. La pellicola cinematografica fu ispirata all’omonimo romanzo del giornalista investigativo Robert Katz che collaborò alla sceneggiatura insieme al regista George Pan Cosmatos e a Tom Mankiewic, mentre la produzione fu affidata a Carlo Ponti che si avvalse di un reparto tecnico interamente italiano.

Il titolo del film, riferendosi al ponte polacco, mèta finale della vicenda, richiama il nome dell’antica principessa e profetessa troiana di omerica memoria, figlia di Priamo, alla quale il dio Apollo aveva dato il dono di predire il futuro, ma anche la maledizione di non essere creduta. Sulla figura mitica di Cassandra ritorneremo in seguito.

Cassandra Crossing affronta l’angoscia collettiva mai sopita in merito alle diffusioni di virus micidiali in grado di provocare incontrollabili pandemie. Alle cause naturali ricorrenti più o meno con una certa regolarità, negli ultimi decenni con l’esponenziale sviluppo scientifico e tecnologico, si è aggiunta la preoccupazione che le diffusioni di virus sconociuti possano essere generate da motivazioni “artificiali”, in maniera dolosa o semplicemente per un errore umano, come un incidente da laboratorio.

La predetta tematica è quanto mai attuale, in quanto, in relazione alla pandemia da covid-19, non tutta la comunità scientifica è concorde nell’attribuire al virus di origine animale una mutazione capace di passare nell’uomo, adombrando la possibilità della sua creazione artificiale con conseguente fuoriuscita da un laboratorio di provenienza, se non si vuole cedere alla variegata gamma di ipotesi complottiste. Ed il film in parola rievoca in pieno lo spettro di un’apocalisse planetaria causata da una nuova e devastante malattia.

La trama

Durante un attentato contro il palazzo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, due terroristi svedesi fanno il loro ingresso in un laboratorio di ricerca segretamente utilizzato da alcuni operatori statunitensi, in aperta violazione dei trattati internazionali, dove si conducono pericolosi esperimenti su armi batteriologiche. I due terroristi entrano in contatto con un terribile virus e ne rimangono contagiati: uno dei due muore, mentre l’altro riesce a sfuggire al controllo della polizia e si rifugia su un treno in partenza per Stoccolma, provocando a sua volta il contagio di una buona parte dei passeggeri. Il governo americano esclude di poter confessare al mondo intero la verità sugli esperimenti, ordinando che il treno venga dirottato in Polonia, verso un vecchio ponte, appunto chiamato Cassandra Crossing, che sicuramente non avrebbe retto al passaggio del convoglio. L’operazione avrebbe provocato la morte di tutti i passeggeri, consentendo agli Americani di serbare il segreto sui propri esperimenti e di salvare il resto del mondo da un probabile diffondersi del contagio. In realtà, questa seconda motivazione viene superata, quando si scopre che il morbo è curabile con l’ossigeno, ma i servizi segreti americani, guidati dal colonnello Mackenzie (Burt Lancaster) non desistono dal loro proposito, per archiviare definitivamente la questione.

Sul treno, tuttavia, il dottor Chamberalin (Richard Harris) e la sua ex moglie scrittrice (Sophia Loren) si accorgono delle macchinazioni in atto e diventano i principali promotori di un’azione collettiva per evitare il terribile piano.

Nel corso del viaggio è presentata una serie di personaggi, ciascuno con un profilo psicologico specifico, destinato ad occupare un ruolo più o meno di rilievo nel dipanarsi della vicenda, oltre alla già menzionata coppia Harris/Loren, si notano: O.J. Simpson che interpreta la parte di un poliziotto sotto copertura che insegue lo spacciatore Martin Sheen, giovane amante dell’ancora avvenente Ava Gardner; Lee Strasberg, l’ex deportato che vuole evitare di sprofondare nell’orrore del suo passato; di contorno le figure del capotreno Lionel Stander, l’anziana ed elegante Alida Valli, nonché l’hippy Ray Lovelock.

L’interpretazione

A prescindere dagli obiettivi più o meno raggiunti di collegare i pericoli provocati dai poteri corrotti a quelli derivanti da un incontrollato sviluppo della scienza, il film riesce a coinvolgere il pubblico, soprattutto grazie alla sequenza delle scene d’azione, non tanto nella caratterizzazione dei personaggi che assumono a tratti pose caricaturali.

Potremmo dire che il film rappresenti la metafora di una civiltà impazzita.

E se il discorso valeva per gli anni Settanta, figuriamoci se non è ancora più adattabile ai nostri giorni, dopo più di quattro decenni di trasformazioni epocali scandite in maniera esponenziale. La metafora del treno sigillato che trasporta passeggeri ignari verso un ponte fatiscente, cioè un punto di non ritorno, costituisce un monito di riflessione sul delicato futuro dell’umanità. L’immagine del treno può ben rappresentare, infatti, l’intera popolazione mondiale ormai lanciata verso una curva velocissima quanto ignota di sviluppo. Non è un mistero, come dicono gli esperti, che ormai siamo arrivati ad una sorta di “biforcazione”, un termine utilizzato dai teorici dei sistemi dinamici, con l’intero apparato economico e sociale della globalizzazione già entrato in un vortice di crisi. Da questo vortice il sistema ne potrebbe uscire disintegrato oppure completamente rinnovato, come è successo nel passato in occasione dei grandi passaggi epocali e delle impetuose rivoluzioni. Non possiamo sapere con certezza se siamo ancora in tempo per procedere ad una “potente frenata” e se al bivio riusciremo ad evitare il ponte di Cassandra, oppure se siamo già inevitabilmente lanciati ad attraversarlo, con tutti i conseguenti probabili rischi di sprofondare nel vuoto.

E dalla struggente storia delle principessa troiana possiamo trarre esempio, affinchè le tristi previsioni per il mondo di oggi e di domani non si presentino nella forma delle “profezie”, ma delle “prospezie”, sperando che i moniti per cambiare le “regole del viaggio” non rimangano inascoltati, ma siano adattati alle sfide contigenti sempre più ardue e complesse. L’emergenza dettata dalla ormai nota insostenibiltà di uno sviluppo geometrico ed incontrollato non deve essere percepita soltanto come di natura “fisica”, abbracciando cioè la consapevolezza che l’ecosfera sia una fonte inesauribile di risorse od un pozzo senza fondo, dovendo anche imporsi come esigenza sociale e morale, in considerazione della diversa distribuzione dei beni nelle varie regioni geografiche del pianeta.

Il mito di Cassandra

Ma chi era davvero Cassandra, la principessa-profetessa-sacerdotessa, alla quale in maniera emblematica è stato intitolato un film catastrofico e così ambizioso?

Il nome di Cassandra è molto spesso associato ad Omero. Sappiamo, tuttavia, che in realtà il leggendario poeta epico dell’Ellade preclassica cita la principessa soltanto in due occasioni nell’Iliade, non riferendosi mai al dono della preveggenza, a proposito della “mancanza dei suoi voti nuziali” e quando, accompagnando il padre Priamo, accoglie le spoglie del fratello Ettore. Nell’Odissea, invece, Omero la cita una sola volta, attraverso il racconto della sua morte da parte dell’anima di Agamennone.

La straordinaria capacità profetica della donna è forse il frutto di una rielaborazione del mito in età postomerica, tanto è vero che ne troviamo ampia trattazione nella tragedia di Eschilo, l’Agamennone.

Secondo la versione più conosciuta del mito, riportata in gran parte nell’Eneide di Virgilio, la principessa Cassandra, sacerdotessa del tempio di Apollo, avrebbe ricevuto il dono della preveggenza dallo stesso dio venerato, in cambio del suo amore. La sacerdotessa, tuttavia, una volta acquisita la grande capacità della profezia, avrebbe rifiutato di concedersi. A questo punto, Apollo adiratosi, le avrebbe sputato sulle labbra, maledicendola e condannandola a rimanere sempre inascoltata, ogni volta che avrebbe predetto un evento futuro.

Secondo una versione secondaria, in occasione del compleanno del padre Priamo, Cassandra si addormentò con il fratellino gemello Eleno nel tempio consacrato ed Apollo, dimenticati dai genitori resi ebbri dal vino. Il giorno dopo furono ritrovati nello stesso angolo dove si erano addormentati, ma i serpenti sacri del tempio stavano lambendo le loro orecchie, facendo in modo che da quel momento ricevessero il dono della preveggenza.

Tra le profezie più famose pronunciate da Cassandra, vi fu quella di predire il destino del fratello Paride, come causa della distruzione della città di Troia, ma non fu creduta dal padre Priamo e dalla madre Ecuba. Il giovane principe, infatti, sarebbe partito per Sparta ed avrebbe rapito Elena, scatenando, secondo la leggenda, il sanguinoso conflitto tra Achei e Troiani.

Alla fine della guerra, quando il cavallo di legno, stratagemma dell’astuto Ulisse, fu condotto oltre le mura della città, la principessa rivelò che all’interno ci fossero  i soldati greci, ma nessuno le diede credito, tranne Lacoonte che, punito da Poseidone oppure da Atena, seguendo fonti diverse, fu divorato da orribili serpenti marini.

Anche sulla morte di Cassandra sono narrati particolari tragici. La città di Troia cadde nelle mani degli Achei che la misero a ferro e fuoco, massacrandone in maniera atroce i suoi cittadini. La famiglia reale si rinchiuse nei templi religiosi, ma ciò non riuscì a preservarli. Lo stesso re Priamo fu ucciso sull’altare di un santuario da Neottolemo, mentre la principessa Cassandra, rifugiatasi nel tempio di Atena, fu violentata da Aiace Locride. Cassandra si aggrappò alla statua della dea nell’ultimo disperato tentativo di essere risparmiata, ma Aiace, in spregio ad ogni sentimento religioso, la trascinò via, facendo cadere la statua della dea dal piedistallo.

Per questo gesto furono maledetti tutti i condottieri greci che non fecero un felice ritorno a casa, tra questi il più famoso fu Ulisse, le cui peripezie per raggiungere Itaca sono narrate nell’Odissea. Lo stesso Aiace Locride morì, così come deciso dalla vendicativa coppia divina formata da Atena e da Poseidone.

Cassandra fu presa in ostaggio da Agamennone che la condusse a Micene. Invano la principessa gli predisse la sua rovina, ma il re degli Achei non le credette, cadendo nelle trame della perfida moglie Clitemnestra e di Egisto. La stessa Cassandra fu uccisa durante la trappola ordita dalla moglie infedele.

Il mito di Cassandra è quanto mai attuale come simbolo della difficoltà di comunicazione, in un’epoca in cui dire la verità molto spesso è sinonimo di pedanteria e di superstiziosa malasorte. La principessa, sfrondando il racconto dagli aspetti più fantastici e soprannaturali, condivide il destino dei saggi, di coloro cioè che, conoscendo bene i fatti del passato e del presente, nonché dotati di un’ottima dose di intuito e buon senso, riescono a prefigurarsi il futuro. Di frequente i saggi annunciano eventi negativi e per questo sono emarginati dalla maggioranza che crede di poter eludere le possibilità peggiori, semplicemente ignorandole e marchiando i delatori come forieri di cattivi auspici.

Il dio Apollo non  condanna la sua sacerdotessa ad un tipo di incomunicabilità fisica, come potrebbe essere il “mutismo”, ma lasciandole l’uso della parola, unitamente alla volontà di aiutare gli altri con continui avvertimenti. Pertanto, il dio la punisce con una doppia tortura: la consapevolezza di poter essere ascoltata dagli altri e l’impossibilità di essere creduta. I destinatari delle sue invocazioni la crederanno pazza e delirante, escludendola da qualsiasi effettiva interazione comunicativa.

Il mito di Cassandra è stato analizzato e studiato alla luce di una delle patologie evidenziate dalla psicologia moderna. Nella cosiddetta “sindrome di Cassandra”, espressione utilizzata per la prima volta nel 1949 dal filosofo francese Bachelard, le stesse profezie, che assumono le connotazioni di “aspettative negative”, finiscono con l’influenzare negativamente l’esistenza di coloro che le pronunciano. Si crea una vera e propria spirale che spinge la Cassandra di turno ad autocolpevolizzarsi, cadendo in una profonda frustrazione per la riconosciuta incapacità di agire in maniera efficace e rapida. In pratica chi soffre della sindrome di Cassandra ricerca con costanza ed insistenza l’approvazione degli altri da cui, però, non riesce a ricevere l’appagamento desiderato, per la scarsa stima nei confronti di sé stesso.                                      Interessante è l’approfondimento dell’analista junghiana  Laurie Layton Schapira, secondo la quale, le persone affette dalla sindrome di Cassandra tenderebbero a stabilire relazione disfunzionali, sull’esempio dell’archetipo Apollo, cioè basate sul divario emotivo.

E Cassandra rappresenta l’archetipo femminile sminuito ed inascoltato per secoli nelle società patriarcali, come quella della Grecia arcaica, nonostante fosse in grado di proporre idee sagge e ragionevoli basate non tanto su prove empiriche, ma soprattutto su elevate doti di discernimento e sull’intuizione del cuore. La vicenda di Cassandra costuisce un grande esempio di psicodramma sia individuale che sociale, come lo stesso film catastrofico degli anni Settanta vuole lasciare intendere.

Non vi è dubbio che anche nell’epoca post-moderna della comunicazione globalizzata, istantanea ed a tratti spettacolarizzata, sia necessario favorire i giusti canali di informazione tra chi parla, forse un po’ troppo e chi ascolta, forse un po’ troppo poco.

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