La sfortuna di chiamarsi Chris Amon

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“Non ce la farò mai. Mai più. Ci sarà sempre qualcosa che sul più bello si romperà.”

La storia di Chris Amon e della sua incredibile sfortuna iniziamo a raccontarla quasi dalla fine; la frase riportata sopra, un fulgido esempio di quella che in psicologia viene chiamata profezia autoavverante, Chris la pronuncia il 2 luglio del 1972, alla fine del rocambolesco Grand Prix di Francia a Clermont-Ferrand, dove è giunto terzo.

È l’ultima occasione per Amon di sconfiggere la sua personale maledizione, quella di essere ritenuto all’unanimità uno dei migliori piloti di Formula Uno, il miglior collaudatore addirittura, ma di non essere capace di vincere una gara. Da lì in poi, come da copione, le cose andranno sempre peggiorando, fino a quando – nel 1976 – Amon dirà basta e tornerà in Nuova Zelanda ad allevare pecore.

Quel giorno a Chris non manca nulla per spezzare l’incantesimo: con una Matra MS120-Simca, non certo un fulmine di guerra, realizza la pole position e scatta in testa, imprendibile. Clermont-Ferrand è un circuito lungo e pericoloso, ricavato dalle strade di montagna che sono percorse tutti i giorni dalle auto degli abitanti locali; correrci è una follia, anche nei pericolosi anni ’70.

Per venti giri tutto fila come dovrebbe, poi la fantozziana nuvoletta dell’impiegato si presenta sotto forma di una banale foratura; Amon è costretto ai box e, in un’epoca in cui il cambio gomme dura quasi come quello dal gommista sotto casa, riparte ormai attardato irrimediabilmente. La sua rimonta è furiosa, tanto da segnare il giro più veloce quasi con lo stesso tempo delle qualifiche, ma alla fine è solo terzo.

La storia di Christopher Arthur Amon parte da lontano, non solo nel tempo, ma anche nello spazio; Chris arriva infatti dall’altra parte del mondo, rispetto all’epicentro dell’automobilismo, l’allora esotica Nuova Zelanda.

A Bulls, una cittadina di 1600 anime appena, i genitori mandano avanti un florido allevamento di pecore; il piccolo Chris, però, non ha nulla di quei placidi animali e già a sei anni impara a guidare per i campi della sua fattoria. Il padre asseconda la sua passione acquistandogli le prime vetture; tra queste, una vecchia Maserati 250 F, la stessa che con Fangio aveva vinto il mondiale anni prima e che la BRM aveva acquistato per smontarla e studiarla. Il giovane Amon si mette subito in luce nelle competizioni locali, che all’epoca erano terreno di caccia invernale per i maggiori piloti europei, e l’ex campione Reg Parnell se lo porta in Europa per farlo debuttare in Formula Uno. Chris ha solo diciannove anni e la sua storia pare quella del predestinato.

Il debutto a Montecarlo, nel 1963, porta però già i prodromi della sua incredibile sfortuna: Amon va subito forte, ma il caposquadra della scuderia, l’esperto Maurice Trintignant (zio del celebre attore), ha un guasto durante le prove e Chris il novellino deve cedergli la vettura.

Di lì a poco Parnell muore improvvisamente e Amon deve barcamenarsi alla meno peggio, alternando buone prestazioni a periodi in cui non trova un ingaggio; viene preso in squadra dal suo leggendario connazionale Bruce McLaren, ma i soldi per la Formula Uno non ci sono, e deve arrangiarsi in altre categorie. Lo fa piuttosto bene e – proprio con Bruce – vince a Le Mans nel 1966 con la Ford, nella gara recentemente narrata in un film hollywoodiano.

R.I.P. Chris Amon - Le Mans 1966 Tribute

Il 1967 pare finalmente l’anno della svolta. Enzo Ferrari ha notato la sua gara a Le Mans e lo mette sotto contratto; Amon è il giovane da crescere a fianco degli esperti Bandini e Parkes. Almeno questo è il piano, all’esordio di Montecarlo il 7 maggio. Quel giorno però, il terzo posto al debutto di Chris è colto senza gioia: in un tremendo rogo, Lorenzo Bandini perde la vita. Un mese dopo, a Spa, anche Mike Parkes ha un gravissimo incidente che mette fine alla sua carriera. Amon si ritrova sulle spalle la responsabilità di tutta la squadra. Paradossalmente, la stagione dell’apprendistato sarà la migliore: quattro podi, venti punti e il quarto posto in campionato. Nel Gran Premio degli Stati Uniti dà un primo assaggio della sua proverbiale iella. Mancano solo dodici giri alla fine, Amon è secondo in scia a Clark, la sua andatura è irresistibile e sta per portarsi in testa, quando un calo della pressione dell’olio lo obbliga al ritiro.

Il 1968 è l’anno in cui la maledizione di Amon trova terreno più fertile, una serie di episodi che risulterebbero incredibili anche nella sceneggiatura di un film.

In Spagna parte per la prima volta dalla pole e domina la gara per cinquantotto giri; al cinquantanovesimo non passa: si è bruciato un fusibile, un pezzo da poche lire, e la pompa della benzina non funziona più. A fine gara Borsari, il capomeccanico, raggiunge l’auto abbandonata, sostituisce il fusibile e la riporta ai box guidandola. La Ferrari funziona perfettamente.

In Belgio Amon è di nuovo in pole e in gara è in scia di Surtees; un sassolino sparato dalla Honda del britannico gli colpisce il radiatore costringendolo alla resa. In Olanda altra pole, ma in gara diluvia e Chris – come nota il sempre acuto Stirling Moss – non ama quelle condizioni. A Brands Hatch è secondo al traguardo in scia a Siffert, quel giorno imbattibile. A Monza è secondo dopo otto giri ed è più veloce di McLaren, che lo precede; commette l’unico errore grave della stagione ed esce rovinosamente alla curva di Lesmo, ne esce vivo per miracolo. Due settimane dopo in Canada domina ancora per 72 giri, ma nessuno sa che sta guidando con la frizione rotta: fatalmente dopo due ore in quelle condizioni, il cambio si rompe.
A fine stagione Amon ha messo insieme appena dieci punti, quando, con un po’ di fortuna, avrebbe potuto vincere almeno tre gare. L’anno dopo va ancora peggio, solo quattro punti! Eppure anche nel 1969 Chris potrebbe vincere a Barcellona, dove domina per cinquantasei giri prima di un’avaria al motore, e a Montecarlo, dove rompe il cambio mentre è in lotta per la vittoria.

Sono anni confusi alla Ferrari, il cavallino rischia prima di finire nelle mani della Ford, poi viene raggiunto un accordo con la Fiat; per quasi metà del ’69 le macchine del Drake non si schierano al via e Amon decide di passare alla competitiva March: “Me ne pentii dopo due giorni!” dichiarerà poi. Il “dolce kiwi”, come lo chiama certa stampa, è sfortunato – o poco avveduto – anche nei cambi di casacca, infatti la Ferrari torna estremamente competitiva in un baleno, mentre lui alla March deve convivere con l’ingombrante asso Stewart.

Enzo Ferrari, che lo ritiene il miglior collaudatore sulla piazza, non la prende bene: “Amon lo abbiamo tollerato, appoggiato, convinti di aver fatto un buon affare. Se anche lui crede di essersi sbagliato, vuol dire che ci siamo sbagliati in molti”, dichiara in una delle sue celebri conferenze stampa.

Mauro Forghieri, il geniale progettista della Ferrari, è ancora più prodigo di complimenti; per lui, Amon è il miglior collaudatore di tutti i tempi, talmente capace e sensibile da superare perfino Niki Lauda. Ancora oggi il tecnico tiene appesa in ufficio una gigantografia del pilota neozelandese.

A proposito della sua abilità di tester, si racconta un divertente episodio di quando lavorava per la Goodyear; i meccanici, per fargli uno scherzo, finsero di cambiargli le gomme e gli rimontarono gli stessi pneumatici. Amon fece un paio di giri, poi rientrò ai box e disse loro: “Due sono le possibilità: o siete coglioni e mi avete rimontato le stesse gomme, o mi avete fatto uno scherzo e allora siete dei bastardi!” tra le risate generali.

Il 1970 e gli anni successivi passano veloci, tra March e Matra. Chris sfiora ancora la vittoria – che gli sfugge per motivi sempre più assurdi – a Montecarlo, in Belgio e in Francia. L’episodio di Monza del 1971 è emblematico: mentre è in testa gli si stacca la visiera del casco e deve rientrare a cambiarla. Quella gara la conquisterà Peter Gethin, un pilota che in carriera ha percorso in tutto 17 chilometri in testa; Amon ne ha percorsi 852 senza mai vincere un Gran Premio, dieci più di Irvine che ne ha vinti quattro.

Se facesse il becchino la gente smetterebbe di morire” ebbe a dire una volta Mario Andretti e tanti gli rimproveravano la mancanza di un po’ di grinta; eppure Amon era un pilota in grado di vincere, da Le Mans alla 24 ore di Daytona alla 1000 Km di Monza. Nel 1969, sempre con la Ferrari, vinse il campionato Tasman Cup, una sorta di Formula Uno invernale dove correvano praticamente gli stessi piloti del mondiale. Quell’anno trionfò in ben quattro gare. Tra il 1970 e il ’71 conquistò anche due vere gare di Formula Uno, in Argentina e a Silverstone, non valide però per il campionato. Appena si correva in gare mondiali, la maledizione tornava a dettare la sua legge.

Dopo la gara dell’autoprofezia, anche lo stesso Amon pare arrendersi all’evidenza del fatto. Da allora cambierà tante scuderie, spesso esordienti e tentando anche la carta del pilota costruttore, in modo piuttosto velleitario. La Amon AF101 viene ricordata per la bruttezza e la scarsa competitività: “Era pesante e lenta in rettilineo, la sua maneggevolezza era diabolica, i freni inefficaci e pericolosi” è lo stesso Chris a parlare così della sua creatura.

Nel 1976, dopo aver portato alla competitività la scarsa Ensign, assiste in diretta allo schianto di Lauda al Nurburgring; torna ai box e decide di smettere con la Formula Uno. Continua a correre per un po’ in America e sarà lui a consigliare un certo Gilles Villeneuve a Enzo Ferrari che gli aveva chiesto un parere sul canadese: “Definitely he is the man!

Dopo le corse Amon torna in patria e si dedica all’allevamento di famiglia e all’attività di consulente per la Toyota. I rimpianti sono tanti, ma almeno può raccontare tredici stagioni della Formula Uno più pericolosa senza essersi mai fatto davvero male.

Il 3 agosto del 2016, a 73 anni si arrende a un tumore e viene tumulato nel cimitero di Bulls.

Da qualche parte, però, siamo sicuri che Chris Amon stia ancora inseguendo la sua vittoria in Formula Uno e il mancato lieto fine di una storia d’altri tempi.

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