La prova dell’esistenza di Dio secondo Sant’Anselmo

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La questione dell’esistenza di Dio è uno di quei problemi con cui tutti, filosofi e non, almeno una volta si sono confrontati. Il pensiero che l’uomo sia parte di un disegno divino è per taluni confortevole, l’unico appiglio per rimanere aggrappati alla miseria della condizione umana.

Che lo si chiami Demiurgo, Motore immobile o semplicemente Essere, la questione ontologica di dare un senso, nell’accezione fregeana, a ciò che non può essere direttamente percepibile empiricamente attraverso i sensi, ma solo comprensibile attraverso l’intelletto, ha coinvolto molti pensatori di tempi diversi; da Parmenide ad Aristotele, da Sant’Anselmo a Leibniz, da Kant a Gödel.

Inizialmente il problema dell’eventuale esistenza di un’entità ultima creatrice e dispensatrice di causalità non aveva una valenza religiosa; soltanto con Agostino l’Essere venne identificato con il Dio cristiano. Nella fattispecie, dal punto di vista del teologo romano, non potremmo cercare Dio se non avessimo in qualche modo un’idea della sua esistenza.

Il primo serio tentativo di provare l’esistenza di Dio a priori, quindi a prescindere da ogni suo presunto tocco sul mondo degli uomini, è stato quello di Sant’Anselmo nel Proslogion (1077-1078): l’argomento ontologico, appunto.

L’argomento anselmiano si basa sul fatto che, se si accetta una certa definizione di Dio, definizione che anche un ateo («l’insipiente») dovrebbe accettare, in quanto esprime un concetto non-contradittorio, pensabile, allora non si può negare la sua esistenza. Sostanzialmente viene ricavata l’esistenza di Dio a partire dalla sua definizione.

Quello di Anselmo è uno dei pochi tentativi, se non l’unico, di passare, in positivo, da una tesi concettuale a una tesi esistenziale. Infatti solitamente l’unico modo per passare da una tesi concettuali a una esistenziale è farlo in negativo. Ad esempio la non-esistenza del cerchio quadrato la si può ricavare dalle nozioni di cerchio e di quadrato.

Nel tentativo di rendere un poco più chiaro l’argomento, è possibile schematizzarlo in sette punti:

  1. Dio è l’ente di cui non si può pensare niente di maggiore.
  2. Dio esiste come idea nella mente e nell’intelletto.
  3. Un ente che esiste nell’intelletto e nella realtà è maggiore, a parità di condizioni, di quello che esiste solo nell’intelletto.
  4. Se Dio, così definito, esiste solo in quanto idea nell’intelletto, allora possiamo pensare e immaginare qualcosa più grande di lui.
  5. Ma non possiamo pensare qualcosa che è più grande di Dio, altrimenti contraddiremmo il punto 1, ovvero la definizione nominale di Dio.
  6. Se Dio esiste nell’intelletto, allora esiste anche nella realtà.
  7. Per la relazione logica tra i punti 2 e 6, si può concludere che Dio esiste nella realtà.
James William Edmund Doyle, Anselm Made Archbishop of Canterbury

Ci sono alcuni punti-chiave nella prova ontologica anselmiana, il primo dei quali è sicuramente il fatto che Dio viene considerato l’insieme di tutte le perfezione (bontà, conoscenza, potenza).

Se a questo si aggiunge il fatto che l’esistenza viene presentata come una delle perfezioni che fanno di un ente qualcosa di più grande, allora risulta chiaro come tale perfezione venga legittimata in qualche modo dalla definizione di Dio data all’inizio.

Ovviamente tutto il ragionamento è fondato sui due principi logici aristotelici, quello del terzo escluso, in base al quale un enunciato p è vero o falso, e quello di non-contraddizione, in base al quale in una coppia di enunciati contraddittori (p e non-p) l’uno deve essere vero e l’altro falso.

È dunque evidente come, date le premesse n. 1, 2 e 3, la conclusione debba seguire necessariamente. Infatti se Dio fosse solo nell’intelletto mancherebbe di una perfezione, l’esistenza, ragione per la quale non sarebbe ciò di cui non si può pensare niente di maggiore.

Il ragionamento anselmiano è stato oggetto di svariate critiche da parte di coloro che hanno avuto modo di confrontarvisi. Ad esempio, Gaunilone rimproverava ad Anselmo d’Aosta di essere passato illegittimamente dall’esistenza di Dio nel pensiero all’esistenza di Dio nella realtà. Per il monaco francese non era accettabile passare dall’idea di qualcosa alla sua esistenza, perché altrimenti ogni cosa pensabile avrebbe potuto avere la relativa controparte ontologica. Al fine di mostrare l’infondatezza dell’argomento anselmiano, costruì lo stesso ragionamento sostituendo Dio con l’isola perfetta. Dall’idea di isola perfetta, vale a dire ciò di cui non si può pensare niente di maggiore, seguendo gli stessi passaggi logici, sarebbe possibile giungere all’esistenza dell’isola perfetta.

Vale la pena osservare che, tuttavia, nell’appendice dell’opera stessa, Anselmo aveva già posto le condizioni per rispondere a una simile critica. Specificamente, la definizione di isola, in comparazione a quella di Dio, si rivelerebbe incoerente poiché le perfezioni delle proprietà dell’isola non hanno un limite. Se infatti prendiamo, ad esempio, l’estensione, allora è facile notare che è sempre possibile pensare un’isola più estesa dell’isola perfetta.

Al contrario, proprietà come bontà, conoscenza e potenza ammettono un limite oltre il quale la mente umana non è in grado di spingersi. Le perfezioni di Dio hanno, dunque, dei veri e propri limiti concettuali, ossia dei limiti oltre i quali non si può andare neanche con il pensiero. La perfezione della conoscenza, ad esempio, può essere definita come conoscenza di tutte le proposizioni vere; e non è concettualmente immaginabile una conoscenza più ampia.

Tra le critiche mosse all’argomento di Anselmo, quella più stringente è sicuramente la critica kantiana. Nel dettaglio, Kant criticava la premessa n. 3 del ragionamento, quella che faceva dell’esistenza una proprietà e, più precisamente, una proprietà in grado di perfezionare l’ente.

Il filosofo tedesco sosteneva invece che l’esistenza non fosse un predicato o una proprietà dell’ente, ma una precondizione per l’istanziazione di tale predicato o proprietà. Quando si assegna una proprietà a un individuo, si presuppone che questo individuo esista; anche perché sarebbe impossibile assegnare proprietà a individui che non esistono. Ad esempio, se diciamo «la mela è rossa», presupponiamo che questa mela esista. Dunque, l’esistenza non può in nessun modo essere un predicato al pari di buono, onnisciente e onnipotente – per restare sulle qualità di Dio.

Eppure, nonostante sia stata criticata sotto svariati aspetti nel corso della storia, la prova ontologica dell’esistenza di Dio di Sant’Anselmo ha sempre esercitato un certo fascino, se non altro come esercizio argomentativo.

Articolo pubblicato originariamente su WIP Radio e concesso ad Auralcrave per la ripubblicazione.

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