Davvero Little Richard licenziò Jimi Hendrix?

Per rendersi conto dell’importanza storica di Little Richard nel mondo della musica moderna basterebbe anche solo fare un giochino: digitare il suo nome accanto a quello di altri pesi massimi del Rock scelti a caso e poi cliccare invio. Pochi gesti che ci permetterebbero di trovare sue immagini accanto ad estasiati Beatles e David Bowie (“Senza di lui, io e metà dei miei coetanei non faremmo questo mestiere”, asserì il Duca), scoprire i Rolling Stones a fargli da umile spalla nel 1963 e che persino Elvis sfruttò la sua celebre hit, Tutti Frutti, portandola verso un bacino di pubblico che un musicista di colore a metà degli anni 50 non poteva proprio ambire. Però forse la vicenda più curiosa che circonda la leggenda di Little Richard e il suo rapporto con altre icone del suo calibro, riguarda il suo breve matrimonio artistico con un altro innovatore da aggiungere ai precedentemente citati: Jimi Hendrix.

Le strade dei due musicisti si incrociarono in maniera definita alle porte del 1965, quando Jimi si stava facendo le ossa per varie realtà musicali da session man. Una delle sue finestre musicali più lunghe al periodo era stata quella con i sottovalutati Isley Brothers, con i quali aveva diviso i plausi per una prima hit (Testfy), ma anche sommato una certa claustrofobia in merito alle regole del vivere in una realtà da dipendente. Da brava calamita degli applausi delle platee infatti, faticava ad indossare i panni di una mezza controfigura di una realtà del tutto avviata senza i suoi imput. Così era giunto alla coorte di Little Richard, il performer dichiarò al suo biografo Charles White di aver trovato Jimi piuttosto al verde in un modesto albergo. Decise di prenderlo in formazione nonostante considerasse il chitarrista più un bluesman alla B.B King e non esattamente uno da Rock and Roll, perché il suo entusiasmo lo aveva comunque conquistato e dimostrava di essersi studiato abbastanza bene gli show di Richard, persino suo padre (interpellato a livello contrattuale) confermò la devozione del chitarrista mancino alla musica. Con il nome d’arte di Maurice James venne letteralmente caricato sul tour bus assieme alla sua chitarra, che al momento disponeva solo di cinque corde ed era riposta in un sacco di patate che fungeva da custodia.

In quel momento storico, Little Richard stava riprovando a conquistare quell’America che solo in parte era riuscito a contagiare con la sua musica adrenalinica e presenza scenica straordinaria. Nei suoi primi anni di carriera (51-57) andò a sbattere spesso contro il muro del segregazionismo, soprattutto nel sud del paese. Perché ai tempi suonare il Rock and Roll poteva essere già di per sé un fattore di potenziale scandalo, essere anche di colore, con dell’impeccabile trucco sul volto e movenze androgine costituiva di certo un’aggravante per un’opinione pubblica ancora a digiuno di un bel po’ di rivoluzioni culturali e non che sarebbero arrivate successivamente. Al punto che, stufo di tutto, l’artista mollò quasi per tutto lo showbiz per un lustro intero, convertendosi al Cristianesimo e cercando di intraprendere la carriera del predicatore.

Dal 1962 quindi, fu impegnato a riprendere, e in certi versi superare, i passati successi. Creando quindi un certo attrito tra il suo ego e quello del giovane Hendrix. Due punte di diamante in un modulo che poteva prevedere ahimè un solo centravanti. Little Richard voleva i suoi Upstetters come una docile backing band dietro i suoi funambolismi di un piede messo in spaccata sul pianoforte mentre riusciva a continuare a suonare con nonchalance, mentre Jimi mostrava insofferenza verso quel ruolo da compitino diligente e coreografico che gli era stato assegnato, seppur con qualche licenza solistica. In fondo, per due così, quanti riflettori sarebbero stati necessari? Forse nemmeno un centinaio di fari abbaglianti li avrebbe resi satolli, perché non sarebbe esistito un palco abbastanza grande per far respirare tutto quel talento che avrebbe in futuro ispirato così tanta musica.

A questo punto, solitamente, la storia si fa un po’ opaca. Non di rado online c’è chi asserisce che sia stato Jimi Hendrix ad essere stato licenziato da Little Richard, nello specifico da uno dei suoi fratelli, Robert. Quest’ultimo avrebbe convinto gli altri, puntando il dito sulla scarsa professionalità del chitarrista, sempre dietro alle donne e in ritardo negli spostamenti tra i concerti. Dalla parte del musicista invece, c’è una sua lettera mandata al padre, in cui spiegava di non essere pagato da circa cinque settimane e mezzo e che non poteva andare avanti così, “quindi do un taglio a tutta questa faccenda” nella primavera dello stesso anno a New York.

La verità è che Jimi aveva già mollato tutto una prima volta e senza dare il preavviso alla band dopo solo qualche settimana, quando il complesso era a Los Angeles e lui non ne poteva più del rigido schematismo comportamentale del performer. I due si, avevano poi lavorato assieme per una decina di show successivi e un altro paio di tracce, tra cui il singolo I Don’t Know What You’ve Got (But It’s Got Me), ma fu Little Richard a richiamarlo. Perché da lui voleva un sound alla Curtis Mayfield che pochi altri avrebbero potuto offrirgli. Tali dettagli sono rilevati in Foschia Rosso Porpora, forse la biografia più dettagliata mai realizzata sul chitarrista statunitense e a opera dei giornalisti Harry Shapiro e Caesar Glabbeek, questi ultimi nell’appendice cronologica del tomo, non fanno altro che sottolineare nuovamente la loro marcata convinzione che fosse stata una scelta più di Hendrix che di Richard.

Del resto, intorno al sodalizio professionale tra i due musicisti, si è sempre abbattuta una specie di coltre di confusione. Al punto che nel 1972 venne stampato un bootleg ai limiti della frode discografica dal titolo Friends from the Beginning – Little Richard and Jimi Hendrix, nonostante in realtà non ci sia traccia della chitarra del secondo e, su qualche brano, si nutrono profondi dubbi persino sulla presenza del primo. Sintomo di una storia del Rock spesso distorta, in bilico tra voli pindarici di appassionati completisti che ancora sospirano “What if?” e sciacalli senza scrupoli nascosti in moltitudini di release postume.

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