I Rotoli del Mar Morto: cosa sono e cosa ci dicono su Gesù

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Negli ultimi anni si è parlato della località di Qumran, divenuta celebre a seguito della scoperta nel 1947 dei cosiddetti “Manoscritti del Mar Morto”, nonché di alcuni resti di una sorta di monastero dove presumibilmente viveva una comunità di Esseni.

Prima di passare alla problematica religiosa, è doveroso fornire alcuni elementi descrittivi del sito, precisando innanzitutto che Qumran sorge sulla riva occidentale del Mar Morto, nell’attuale regione geografica denominata “Cisgiordania”, non lontano dalle rovine di Gerico, considerata una delle città più antiche del mondo, così come storicamente accertato. Gli studi archeologici hanno evidenziato che il sito di Qumran fu costruito tra il 150 ed il 130 a.C., subendo varie occupazioni, fino alla distruzione definitiva avvenuta nell’estate del 68 d.C. per opera di Tito, al comando della “Legio X Fretensis”, in concomitanza al più famoso abbattimento del Tempio di Gerusalemme che provocò immenso dolore al popolo ebraico.

Inizialmente le rovine ritrovate ai piedi del “Wadi Qumran” furono ritenute soltanto appartenenti ad una fortificazione romana e, soltanto in un secondo momento, attirarono l’attenzione degli archeologi come possibile sede di una comunità religiosa, identificata poi negli Esseni che vivevano in una posizione di isolamento e di contestazione nei confronti della religiosità ufficiale. Non tutti gli studiosi, però, concordano col fatto che fossero proprio gli Esseni i residenti di Qumran. Lawrence Schiffman, ad esempio, ipotizza che si trattasse di una comunità di orientamento sadduceo, in considerazione della marcata inclinazione al sacerdozio. Vi sono altri esegeti, invece, che ritengono Qumran prima la sede di una comunità religiosa, poi trasformata in un’elegante residenza familiare o addirittura in un centro di lavorazione della ceramica oppure di altri pregiati manufatti. Ad est rispetto al sito di Qumran, fu ritrovato anche un cimitero dove sono seppelliti più di mille corpi, per la maggior parte di maschi, ma non mancano alcune presenze femminili, forse aggiunte in epoca medioevale.

I rotoli, di cui parleremo in seguito, furono scoperti in un gruppo di dodici caverne sparse nell’intero insediamento. È stato notato che alcune di queste caverne hanno un accesso davvero impervio e possono essere raggiunte soltanto attraversando l’intero comprensorio di Qumran. Per la sistematicità della distribuzione dei rotoli, una parte degli studiosi ha avanzato l’ipotesi che quelle caverne costituissero vere e proprie sedi di biblioteche allestite dalla setta che vi abitava, individuando perfino alcuni reperti di scaffalature, mentre altri credono che l’utilizzo delle caverne fosse quello di rifugio nei casi di pericolo. Non tutti i rotoli ritrovati corrispondono alla fede ed alle pratiche religiose ebraiche come sono state tramandate, lasciando aperta l’interpretazione a culti differenti, o quanto meno espressi soltanto da un gruppo minoritario.

Il ritrovamento dei rotoli

Il ritrovamento dei rotoli avvenne in un modo del tutto casuale, quando un pastore, rincorrendo una delle sue capre, si accorse della presenza di alcune giare contenenti antichi papiri e pergamene ormai in uno stato frammentario, a causa dell’azione impietosamente corruttiva del tempo. Moltissimi di questi frammenti sono stati considerati resti biblici “canonici”, diventando i più antichi documenti esistenti dell’Antico Testamento. Essi, infatti, furono valutati di mille anni più antichi dei documenti “masoretici”, alla base del canone della Bibbia ebraica, che fino ad allora erano stati considerati i documenti più datati in materia.

Il ritrovamento dei rotoli di Qumran ha messo in crisi il sapere biblico tradizionale, costringendo storici ed esegeti ad una nuova rivisitazione delle ipotesi fino a quel momento ritenute attendibili, alla luce del materiale documentale che via via emergeva nel corso degli scavi. Si imponeva il vaglio di nuovi elementi che potessero fare chiarezza sul Cristianesimo primitivo, le sue figure e le sue dottrine, in particolare sui rapporti con l’ambiente giudaico d’origine, sulla base della letteratura denominata con una certa generosità “qumranica”. In precedenza si è accennato alle diverse posizioni degli studiosi, partendo da chi intravedeva nei rotoli di Qumran, con ragionevole certezza, un’impronta dottrinale prettamente essena, fino ad arrivare a coloro che tendevano a metterne in risalto la incompatibilità ideologica dei contenuti con quanto professato dalla stessa setta.

In linea generale, il motivo principale che porta ad identificare i residenti di Qumran con gli Esseni consiste nel fatto che gli usi e le credenze di tale comunità, così come descritta nelle fonti storiche (Giuseppe Flavio, Plinio, Filone ed altri) coincide in gran parte con quanto emerge dai rotoli ritrovati nelle anfore. Uno dei testi più importanti scoperti nelle caverne di Qumran è la Regola della Comunità, che descrive il processo di iniziazione ed il cerimoniale dei novizi, nonché rivela alcune credenze fondamentali della comunità di Qumran e le regole basilari che ne disciplinavano la vita quotidiana ed il funzionamento delle assemblee. Il fondatore era chiamato “maestro di giustizia” e predicava una vita di purezza e di povertà, lontana dal lusso di Gerusalemme. I manoscritti ritrovati risultano redatti in antico ebraico, in aramaico ed in greco antico, come già detto in precedenza, molto più antichi dei testi “masoretici”, contenenti anche passi “deuterocanonici” (inseriti solo nel canone della Bibbia cristiana e non in quella ebraica) e perfino apocrifi.

Ciò che rende ancora più importante la scoperta, è il fatto che alcuni dei manoscritti presentano varianti interpretative più simili alla traduzione dell’Antico Testamento da parte dei LXX (70), alla base della versione biblica cristiana, rispetto ai testi masoretici, evidenziando la preoccupazione dei redattori di rendere il messaggio divino più accessibile a tutti i popoli del Mediterraneo ellenistico ed attribuendo, pertanto, maggiore autorevolezza ai mitici 70 traduttori, riuniti ad Alessandria d’Egitto per compiere una titanica impresa.

Il contenuto dei rotoli

Alcuni testi qumranici attribuiscono una notevole importanza alla dottrina del destino o predeterminismo. Dagli scritti di Giuseppe Flavio si rileva che i tre maggiori partiti giudaici presentavano diversi orientamenti su questo tema. I Farisei affermavano che alcuni eventi derivano dal destino, ma non tutti, perchè alcuni dipendono dalle nostre azioni. Gli Esseni, invece, ritenevano che fosse proprio il destino a determinare tutti gli eventi e che nulla può accadere all’uomo di diverso da quanto già in precedenza tracciato. Il partito dei Sadducei, infine, non ammetteva l’esistenza del destino, affermando che tutte le azioni umane sono originate dalla nostra volontà e dal nostro comportamento, con la conseguenza che noi stessi siamo responsabili di ciò che ci accade e le sventure non sono altro che frutto della nostra stoltezza.

Un altro tema particolarmente caro alla comunità di Qumran è l’esistenza della vita ultraterrena. Su questo argomento l’Antico Testamento dice veramente poco. I farisei credevano che i corpi sarebbero risorti, mentre i Sadducei negavano questa possibilità. Gli Esseni, invece, davano un’interpretazione parzialmente divergente rispetto alla tradizione del mondo ebraico. Essi ritenevano che i corpi fossero corruttibili e che quindi non rientrassero tra gli elementi destinati alla rinascita, mentre le anime avessero natura immortale e quindi destinate a “liberarsi” dopo la morte del corpo. Si nota, in tale credenza, una profonda influenza della filosofia greca ed, in particolare, della visione platonica. Pertanto, gli Esseni, pur condannando apertamente la teologia pagana, mostravano similitudini di pensiero analoghe a correnti ideol+ogiche successive, come quella degli gnostici. È necessario precisare che le fonti sono abbastanza discordi in merito, in quanto Ippolito di Roma, a differenza di Giuseppe Flavio, affermava che anche gli Esseni professavano la risurrezione dei morti, secondo le indicazioni dei Farisei.

È innegabile che i “rotoli” ritrovati nelle caverne della località di Qumran abbiano aumentato in maniera esponenziale le nostre conoscenze sull’ebraismo dell’epoca di Gesù, sulla base di testimonianze autentiche prima di allora del tutto ignorate. Un particolare riferimento merita il corpus degli “Inni dei Salmi”, che costituisce una vera e propria raccolta unitaria di preghiere e che dimostra con più incisiva autorevolezza come la religione ebraica sia stata la base per l’evoluzione del successivo pensiero cristiano, rendendo più marginali le influenze ellenistiche ed orientali. Gli scritti di Qumran, inoltre, sottolineano con incisività l’importanza della vita comunitaria, che è chiamata a lodare Dio insieme agli angeli e agli arcangeli, come recita l’invocazione Santo, Santo, Santo il Signore, dio dell’universo…, entrata poi nel canone liturgico cristiano.

Le teorie sui manoscritti

Numerose teorie si sono succedute su chi abbia potuto scrivere i manoscritti ritrovati a Qumran. Accanto all’ipotesi abbastanza verosimile che le caverne custodi dei rotoli fungessero da locali per la biblioteca della setta degli Esseni, alcuni studiosi hanno ipotizzato che i manoscritti fossero i resti del tesoro del tempio di Gerusalemme, dove, secondo le fonti bibliche sarebbe stata custodita anche l’arca dell’alleanza. Ciò che tuttavia destò più stupore, fin dal momento della scoperta dei rotoli, era l’interrogativo su come fosse stata possibile la sopravvivenza per così tanti secoli di tali manoscritti, seppure accuratamente custoditi in numerose giare. Un recente studio del professor americano Admir Masic, pubblicato sulla rivista Science Advance, avendo utilizzato avveniristiche tecnologie, come la spettroscopia raman, ha evidenziato che il segreto della conservazione dei rotoli del Mar Morto è il sale sparso sulle pergamene che, agendo come una brina, avrebbe rerso i manoscritti brillanti e durevoli nel tempo.

In più sembra che non tutti i rotoli siano stati conservati nello stesso momento. Nel 1956, quindi ben nove anni dopo la scoperta, nella grotta numero undici alcuni beduini ritrovarono un rotolo che presentava alcune caratteristiche diverse dagli altri ritrovati in precedenza. Gli archeologi notarono subito che la pergamena si presentava di colore più chiaro rispetto alle altre e di uno spessore ancora più sottile. Tale valutazione, supportata dalla già citata analisi spettroscopica raman, ha fatto ipotizzare che questo gruppo di scritti, denominati “Rotolo del Tempio”, fosse stati aggiunto nelle caverne in un secondo momento rispetto ad altri manoscritti precedenti. La pergamena è risultata composta da pelli di animali, da cui erano stati rimossi peli e grassi, dopo essere stata immersa in una soluzione di lime. Quando la superficie della pergamena diventava asciutta, si provvedeva poi a sfregarla con alcuni sali, anche se i ricercatori non sono ancora riusciti a comprendere quale fosse l’esatta combinazione dei sali adoperati che, comunque, era in grado di conferire un’eccezionale brillantezza al manoscritto.

La figura di Giovanni Battista

Per quanto riguarda i personaggi delineati nei Vangeli, una delle figure più legate in maniera controversa alla comunità di Qumran è quella di Giovanni Battista. Per alcuni egli fu addirittura un “novizio esseno”, per altri il suo pensiero non fu minimamente influenzato dalla comunità essena. Alcuni autori avrebbero messo in relazione l’informazione presente nel Vangelo di Luca (Lc, 1,80): il fanciullo visse in ragioni deserte fino al giorno della sua manifestazione ad Israele, con il dato fornito da Giuseppe Flavio (Guerra Giudaica, II, 120) sulla comunità essena: disdegnano il matrimonio, ma adottano i figli di altri nell’età in cui lo spirito ancora tenero si lascia penetrare dai loro insegnamenti.

È stato ipotizzato che Giovanni Battista sia stato adottato dagli Esseni, per la morte di Elisabetta e di Zaccaria, suoi anziani genitori, ma che dopo alcuni anni sia stato espulso dalla comunità per la rigidità delle sue vedute. L’ascetismo di Giovanni Battista, infatti, mal si concilierebbe con la vita condotta dai monaci esseni, configurandosi piuttosto come una forma di “segno profetico”, orientato in maniera escatologica all’attesa dei tempi messianici. È probabile che il Battista sia venuto in contatto con la comunità essena, ma ciò non comporta che necessariamente ne sia divenuto membro. Peraltro lo scenario del ministero di Giovanni Battista non corrisponde propriamente al deserto di Giuda, ma alla valle del Giordano. È innegabile, tuttavia, che numerosi argomenti delle sue predicazioni abbiano punti in comune con la dottrina essena, ma, pur rimarcando entrambi l’imminenza del tempo della salvezza, risulta evidente la divergenza tra l’universalismo morale del Battista e l’esclusivismo ritualista e legalista della comunità essena. Giovanni Battista, anticipando in un certo senso Gesù Cristo, si rivolgeva a tutti i ceti sociali, perfino agli emarginati, mentre gli Esseni, ritenendo sé stessi il “residuo del popolo eletto” da Dio, limitavano il proprio messaggio ai membri della comunità.

Anche il battesimo praticato da Giovanni è stato messo a confronto con le purificazioni rituali degli Esseni. In entrambi i casi il rito dell’acqua è apparso collegato alla confessione dei peccati ed alla conversione del cuore, ma nella comunità essena era autoamministrato in piscine, durante il periodo di noviziato, in maniera quasi segreta, mentre Giovanni battezzava pubblicamente con acqua corrente, senza particolari preparazioni o mirate esclusioni. In più, il Battista riteneva il rito del battesimo “unico”, perchè doveva imprimere il carattere di rito di iniziazione alla comunità dei salvati, al fine di renderne uniformi ed esclusive le esigenze morali.

In tale contesto si inserisce il dibattito se Gesù inizialmente sia stato un seguace di Giovanni Battista oppure no. Se intendiamo per seguace colui che ne ricevette il battesimo, allora certamente Gesù lo fu. Dal Vangelo di Luca apprendiamo che chi si recava dal Battista per il battesimo, dopo ritornava alla sua vita quotidiana con una disposizione d’animo diversa, deciso a “compiere opere degna della conversione” (Lc 3,8). Tuttavia, gli studiosi ritengono che una stretta cerchia di persone rimaneva stabilmente intorno a Giovanni Battista, condividendone il pensiero e le esperienze di vita. Secondo una parte degli esegeti anche Gesù per un certo periodo, all’inizio della predicazione del Battista, sarebbe rimasto tra i suoi collaboratori. Una significativa traccia di ciò si troverebbe, secondo alcuni, in un passo del Vangelo di Giovanni (l’evangelista ovviamente, da non confondersi con il Battista): “dopo queste cose Gesù andò con i suoi discepoli nella regione della Giudea; e là si trattenne con loro, e battezzava” (Gv 3,22).

Per altri studiosi, invece, il momento in cui Gesù fu battezzato da Giovanni Battista fu il loro primo incontro, coincidendo con l’accoglimento della missione di predicatore e di iniziatore del regno messianico. Gesù, poi, cominciò un tipo di apostolato del tutto diverso da Giovanni: la sua predicazione era itinerante e battezzava insieme ai suoi discepoli, a differenza del Battista che conduceva la propria esistenza nell’isolamento, seppure temperato dalla presenza di alcuni stretti seguaci. Ad un certo punto, come testimonia il Vangelo di Giovanni (Gv 3, 23-30), diventò impossibile, allo stesso tempo, essere discepoli di Gesù e del Battista, a causa della gelosia che animava i collaboratori di quest’ultimo. Lo stesso Giovanni Battista si rivolse a loro, osservando: egli deve crescere, io invece diminuire (Gv 3, 30).

Per quanto riguarda il legame di parentela che legava i due personaggi, Elisabetta, la madre di Giovanni, viene indicata come “parente” di Maria nel vangelo di Luca. Il termine greco corrispondente può essere tradotto, infatti, in maniera generica e non necessariamente come “cugina”. L’indicazione della parentela doveva servire per legittimare con maggiore autorità l’operato del Battista, anche se non dovette apparire particolarmente significativo agli occhi dei primi Cristiani, visto che Gesù non apprezzava molto i legami di sangue fine a sé stessi, come rimarcato in alcuni passi dei Vangeli.

La comunità degli Esseni

Molti studiosi si sono interrogati sulla possibilità che anche Gesù sia stato un seguace della comunità essenica o che quanto meno, nella sua formazione etica e religiosa, sia venuto in contatto con essa. È noto che Gesù interpretò la Legge ebraica come un “Rabbì” (maestro) del suo tempo ma, come il Battista, la sua dottrina fu molto più innovativa e radicale. È d’obbligo precisare che i rotoli del Mar Morto sono antecedenti ai quattro Vangeli canonici (Marco, Matteo, Luca e Giovanni) e, anche se si possono trovare somiglianze dovute a basi teologiche simili, le differenze sono marcate e profonde. In primo luogo, gli Esseni costituivano un gruppo riservato ai solo Ebrei, mentre il messaggio di Gesù si rivolgeva anche a categorie considerate impure dalla religione giudaica, come i pubblicani, le prostitute, i lebbrosi, fino ad abbracciare l’intero mondo pagano, diventando una proposta di salvezza di carattere universale.

Dal punto di vista storico, tuttavia, gli esegeti non sono del tutto concordi su tale interpretazione. Per alcuni, lo stesso Gesù sarebbe stato un “rabbì” ortodosso, cresciuto in una comunità essenica, il cui messaggio sarebbe stato rivolto soltanto agli Ebrei, seppure abbracciando categorie ritenute impure. L’allargamento della sua dottrina ai “Gentili” sarebbe avvenuto solo in un secondo momento, ad opera di Paolo di Tarso, divenuto famoso come “San Paolo” che non pochi esegeti ritengono il vero fondatore della religione cristiana per come si è diffusa nei primi secoli dell’impero romano.

Paolo di Tarso avrebbe dato un’impronta ellenistico-mediterranea agli insegnamenti di Gesù, rendendoli compatibili con le più evolute culture dell’area geografica del mare nostrum. Al contrario, è stato osservato come il pensiero di Gesù sia stato rivoluzionario, sia in antitesi con l’ambiente sacerdotale ortodosso giudaico, sia con la stessa comunità essenica. In primo luogo non erano i “rabbini” a scegliere i discepoli come invece faceva Gesù che, inoltre, metteva in discussione “leggi e profeti”, per sollecitare una vera e propria “conversione del cuore” e “mutamento dello spirito”. Non bisogna dimenticare che Gesù cominciò il suo apostolato proprio in Galilea, regione disprezzata dagli Ebrei ortodossi e non esitò ad avvicinare la donna proveniente dalla “Samaria”, altra terra verso cui si nutriva un notevole pregiudizio.

Affascinanti ma prive di validi sostegni storiografici, sono le teorie secondo le quali la comunità degli Esseni, il cui nome deriverebbe dal termine aramaico “asiya” (medico), al tempo di Gesù fosse guidata da Giuseppe d’Arimatea. Alcune tradizioni riportano la straordinaria capacità degli Esseni di guarire la mente ed il corpo mediante l’uso di radici, foglie, fiori e rituali alchemici. La regola più importante consisteva nella netta separazione tra i figli della luce ed i figli delle tenebre, rimarcando la contrapposizione tra figure angeliche e demoniache, già tracciate nell’Antico Testamento. Secondo questa debole interpretazione, Gesù avrebbe appreso le grandi capacità di guaritore, scambiate per “miracoli”, da parte della comunità essenica e, deposto dalla croce, sarebbe stato curato da Giuseppe d’Arimatea e da Nicodemo, per poi viaggiare verso l’India, dove avrebbe condotto una vita ascetica fino alla vecchiaia.

E le scoperte sui rotoli del Mar Morto continuano a riservare sorprese, in quanto alcuni frammenti di pergamena non sono risultati di immediata comprensione, ma hanno richiesto anni di studi e di approfondimenti. L’anno scorso, alcuni ricercatori dell’Università di Haifa, in Israele, sono riusciti a decifrare uno degli ultimi manoscritti rimasti ancora da tradurre. Tale rotolo era composto da ben sessanta frammenti, alla cui ricomposizione è stata dedicata un’applicazione costante per più di un anno. La traduzione ha permesso una migliore conoscenza sulla comunità residente a Qumran e sul calendario di 364 giorni che utilizzava. È emersa l’esistenza di alcune festività che celebravano i cambi di stagione, denominate “Tekufah” che in lingua ebraica vuol dire “periodo”. Alcuni misteri relativi ai testi qumranici, al momento, sono destinati a rimanere tali, con la possibilità che in futuro nuove tecnologie possano fare maggiore chiarerzza sull’identità della comunità ivi residente e sulla reale portata dei tantissimi rotoli scoperti.

In sintesi, gli indizi farebbero pensare che a Qumran fosse presente la comunità degli Esseni, che conducevano un’esistenza votata al celibato e all’ascetismo, anche se gli studiosi non sono del tutto concordi. Sta di fatto che la comunità che abitava a Qumran aveva scelto di vivere non solo lontana dagli ambienti pagani e dai circoli culturali ellenisti, ma anche dall’Ebraismo ufficiale di Gerusalemme. Gli scritti delle caverne hanno rivelato che la visione del futuro della comunità era orientata all’attesa di una “guerra”, forse etica, dopo la quale il culto del Tempio sarebbe stato riportato alla sua purezza originaria.

Si discute e si discuterà ancora sui presunti legami della comunità qumranica con il Cristianesimo delle origini, in particolare con la figura di Giovanni Battista e soprattutto con la figura del tanto atteso messia, Gesù Cristo. E mi piace concludere, sottolineando come sia soltanto una leggenda, la credenza secondo la quale chissà quale autorità politica o religiosa avrebbe volutamente occultato alcuni frammenti dei manoscritti, per non rivelarne il contentuto. In realtà tutti i frammenti, perfino quelli più piccoli sono a disposzione di tutti gli studiosi, raccolti in appositi microfilm. Soltanto alcuni frammenti di dimensioni ridottissime non sono stati ancora decifrati, a causa dell’estrema difficoltà di ricompattare il testo. Può darsi che in futuro questi piccoli frammenti ci diano ulteriori importanti informazioni, magari supportate da qualche geniale e repentina intuizione.

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