La Cappella Sistina: un’opera che trascende il tempo dell’uomo

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“Senza aver visto la Cappella Sistina non è possibile formare un’idea apprezzabile di cosa un uomo solo sia in grado di ottenere”

Johann Wolfgang Goethe

Il Sacellum Sixtinum, italianizzato in “Cappella Sistina”, costituisce la principale cappella del Palazzo apostolico, dedicata a Maria Assunta in Cielo, in un’epoca di gran lunga anteriore alla proclamazione del dogma dell’Assunzione, avvenuta solo nel 1950. Dal punto di vista artistico e culturale, si tratta di uno dei tesori più significativi dell’Occidente, attualmente inserita nel tragitto turistico dei Musei Vaticani. La fama della “Cappella Sistina” è soprattutto legata al fatto che in essa si svolgono il “conclave” ed altre cerimonie ufficiali dei papi: in particolare, nei secoli passati, si tenevano le “incoronazioni papali”, quando ancora potere spirituale e potere temporale risultavano indissolubilmente uniti. È il capolavoro che consacra il genio di uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, Michelangelo Buonarroti che, in periodi successivi, come vedremo in seguito, ha affrescato la “volta” e la parete di fondo, quella del Giudizio Universale, oltre a contenere nelle pareti una serie di affreschi dei più importanti pittori della seconda metà del quindicesimo secolo, come Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Pietro Perugino, Pinturicchio, Luca Signorelli etc.).

La Cappella Sistina, tuttavia, non rappresenta soltanto una pregevolissima testimonianza dell’arte e della cultura italiana del Rinascimento, ma si impone anche come una delle più significative opere di “teologia visiva”, della cosiddetta Biblia pauperum (Bibbia dei poveri) che consentiva alla maggior parte della popolazione non alfabetizzata di poter “leggere” attraverso le immagini il progetto di salvezza di Dio nei confronti dell’umanità.

La realizzazione della Cappella Sistina

Già nel 1368 si hanno le prime testimonianze dell’esistenza di una cappella nel Palazzo Apostolico. Occorre, a questo punto, una precisazione: in quell’epoca non esisteva ancora Piazza San Pietro come la conosciamo oggi, in quanto la basilica ed il colonnato ad anfiteatro saranno ultimati nel Seicento, grazie alla collaborazione di importanti architetti come il Bernini, il della Porta ed il Maderno, pur sulla base di un progetto originario e di un primo stadio di lavori a cura dello stesso Michelangelo. 

La cappella papale era stata inizialmente decorata da Giottino e da Giovanni da Milano. Nel quindicesimo secolo, dopo il nefasto periodo del trasferimento della sede papale ad Avignone e al conseguente abbandono dei monumenti cristiani nell’Urbe, i papi, a partire da Martino V, cercarono di far rifiorire i vecchi edifici di culto e di favorire la costruzione di altri nuovi. Sisto IV raccolse l’ambizioso proposito del predecessore e, già qualche anno dopo la sua elezione, si occupò dei monumenti della capitale della cristianità, culminando nella ricostruzione e nella decorazione della cappella palatina del Palazzo Apostolico che, appunto, diventerà celebre portando il suo nome. L’opera fu commissionata a Baccio Pontelli nel 1473, mentre quattro anni dopo furono abbattuti i resti ormai in pessime condizioni dell’edificio preesistente, pur conservando in parte le fondazioni ed i muri sani come base portante per la nuova Cappella.

Sisto IV dispose che le funzioni della Cappella rimanessero immutate rispetto alla precedente e a quella analoga nel Palazzo dei Papi di Avignone, come sede delle più solenni cerimonie del calendario liturgico a cura della corte papale. Per questo utilizzo, era necessario che si scegliesse una cornice artistica particolarmente solenne, che fosse in grado di impressionare i partecipanti ammessi al cerimoniale dell’inequivocabile Maiestatis papalis. Alla corte del pontefice, infatti, non a caso definito da alcuni storici come “il fantasma dell’imperatore romano”, erano ammessi non solo il collegio dei cardinali, i generali degli ordini monastici ed i membri di grado più in alto nella compagine statale pontificia, ma anche i diplomatici ed i principi stranieri. Non bisogna dimenticare che mancano pochi decenni alla Riforma Protestante innescata da Lutero, a completamento di un’epoca particolarmente buia per la Chiesa di Roma, dove il fasto, la corruzione, gli scandali e la simonia dilagavano senza freni.

Questo simbolo impressionante dell’autorità papale fu, comunque, concluso nell’estate del 1481, ma la consacrazione avvenne con la prima Messa del 1483, quando la Cappella fu dedicata all’Assunzione della Vergine Maria. 

La struttura

La visione di insieme della Cappella Sistina

La decorazione pittorica della Cappella fu costituita essenzialmente su tre registri dal basso verso l’alto: il primo formato da finti arazzi, il secondo con scene del Vecchio Testamento, comprendente scene della vita di Mosè e del Nuovo Testamento, con scene della vita di Cristo, ed infine il settore più alto con la raffigurazione dei papi martirizzati.

La parete dietro l’altare fu decorata dal Perugino con un rappresentazione  della Vergine Assunta ma, come vedremo, sarà poi sostituita dal Giudizio Universale di Michelangelo. La volta originaria, anch’essa destinata ad essere sostituita, fu opera di Piermatteo d’Amelia che disegnò un cielo stellato, tradendo un gusto ancora legato ad un gusto medioevale. Nel 1480 entrò in scena Lorenzo dè Medici, la figura politica più importante sullo scacchiere italiano che, per riconciliarsi con il papa che aveva addirittura appoggiato la Congiura dei Pazzi ordita contro di lui, inviò a Roma i più grandi artisti dell’epoca, come Botticelli, Ghirlandaio, Luca Signorelli e Pinturicchio, che completarono il resto del complesso programma iconografico, stabilito in ogni particolare dallo stesso pontefice e dai teologi suoi consiglieri.

Si ritiene che lo spunto principale per l’esecuzione dell’ambizioso programma fu preso da un’opera di Gioacchino da Fiore, autore di una intricata teoria tendente ad armonizzare episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Dal punto di vista tecnico, ciò che più sorprende  della prima versione della Cappella Sistina, nonostante la partecipazione di personalità creative così diverse, è l’impressione di grande armonia e di notevole omogeneità. Un risultato così ragguardevole fu conseguito grazie all’adozione di uno stesso parametro dimensionale per le figure, nonché seguendo simili schemi di impaginazione e di struttura ritmica. Inoltre, particolarmente felice si rivelò il ricorrente utilizzo di rifiniture in oro, in grado di intensificare i colori e che, in quel periodo, dovevano creare effetti ancora più suggestivi, unitamente ai bagliori delle fiaccole e delle candele.

La Cappella Sistina fu oggetto di successivi interventi dei pontefici nei decenni successivi. Nella primavera del 1504 furono sospese tutte le attività della Cappella in via precauzionale, a causa di una minacciosa crepa sul soffitto, dovuta all’inclinamento della parete meridionale. Il papa Giulio II della Rovere volle far restaurare la volta con “catene” e la crepa fu tamponata con l’inserimento di nuovi mattoni, anche se la decorazione elaborata da Piermatteo d’Amelia risultò del tutto danneggiata.

Il contributo di Michelangelo

Come testimonia una lettera del capomastro fiorentino Piero Rosselli, l’idea di affidare il rifacimento della volta a Michelangelo, venne al papa già nella primavera del 1506, ma la sottoscrizione del contratto si realizzò soltanto nel 1508, quando l’artista tornò a Roma, dopo un periodo di litigi con Giulio II, a causa del complesso progetto della tomba dello stesso pontefice. Il lavoro fu completato nel 1512, con molteplici difficoltà, tutte superate in maniera eccellente da Michelangelo e dai suoi collaboratori.

Il Bramante ideò per lui un’avveniristica impalcatura, sospesa in aria per mezzo di funi, ma il Buonarroti ne costruì una in prima persona, costituita da una piattaforma in legno su sostegni ricavati da buchi nel muro, suddivisa in gradoni per consentire un lavoro proficuo in ogni fase della volta. Dopo vari tentativi non andati a buon fine, Michelangelo usò per affrescare una miscela creata da uno dei suoi assistenti, Jacopo l’Indaco che si rivelò non solo resistente alla muffa, ma anche capace di entrare nella storia successiva della pittura italiana.

All’inizio, Giulio II incaricò l’artista di raffigurare sulla volta solo i dodici apostoli, ma alla fine dei lavori si contarono più di trecento figure che davano l’idea più di esser state ”scolpite” che “dipinte”, rivelando l’intima vocazione di Michelangelo più come scultore che come pittore.

La volta della Cappella Sistina

Negli anni successivi, anche Leone X della famiglia fiorentina dei Medici desiderò contribuire all’abbellimento della Cappella, fino ad allora esclusivo appannaggio della famiglia della Rovere. Leone X donò una serie di preziosi arazzi intessuti a Bruxelles nella bottega di Pieter van Aelst, su disegno di Raffaello Sanzio, raffiguranti le gesta dei due principali “architetti della Chiesa”, San Pietro e San Paolo, riaffermando il collegamento con il pontefice regnante loro erede. 

Di seguito, si susseguirono una serie di eventi dannosi, come il crollo dell’architrave del portale il giorno di Natale del 1522 che uccise una guardia svizzera, mentre il papa Adriano VI in quel momento stava entrando nella Cappella o l’apertura di nuove crepe nel 1523 che richiesero l’intervento urgente di Antonio da Sangallo.

L’ultima e più famosa decorazione della Cappella Sistina fu voluta da papa Clemente VII che commissionò all’ormai maturo ed acclamato Michelangelo, l’impressionante affresco del Giudizio Universale, tra il 1536 ed il 1541, in gran parte ultimato sotto il pontificato di Paolo III Farnese.

Il Giudizio Universale

Michelangelo Buonarroti, Giudizio Universale, 1535-1541

L’affresco del Giudizio Universale cambiò totalmente volto alla Cappella che assunse un’impostazione spaziale ed iconografica del tutto diversa rispetto alle precedenti elaborazioni più o meno tra loro coordinate.     Michelangelo, durante l’elaborazione del Giudizio Universale, ebbe una violenta disputa con il cardinale Carafa che lo accusò di immoralità e di intollerabile oscenità, per aver dipinto figure completamente nude, così come voleva la tradizione iconografica classica di origine greco-romana che celebrava la bellezza del corpo maschile: una polemica stridente con l’alto clero rinascimentale che aveva favorito l’ascesa di papi incestuosi, come Alessandro VI Borgia o con un passato del tutto dissoluto, come Innocenzo VIII o lo stesso Giulio II. Il Cardinale Carafa e Monsignor  Sernini, ambasciatore di Mantova, promossero una campagna per rimuovere gli affreschi, avvalendosi anche del maestro di cerimonie del papa, Biagio da Cesena che definì l’opera di Michelangelo più adatta ad un bagno termale che ad un luogo di culto.

Secondo Giorgio Vasari, autore di una biografia sui più importanti artisti tra il Trecento ed il Cinquecento, Michelangelo avrebbe utilizzato i tratti somatici di Biagio da Cesena per raffigurare Minosse, giudice degli inferi e che quando lo stesso maestro di cerimonie si lamentò di ciò con il papa, Paolo III avrebbe salomonicamente risposto che la sua giurisdizione non si applicava all’inferno, consentendo di conseguenza che la raffigurazione rimanesse dov’era. Per altri studiosi, invece, il re degli inferi Minosse sarebbe stato raffigurato con l’immagine caricaturale di Pierluigi Farnese, figlio di Paolo III, conosciuto a Roma per essere un violento sodomita, responsabile anche della morte di un giovane ecclesiastico, dopo averne abusato sessualmente. Dopo la morte di Michelangelo, fu emesso un editto per coprire i genitali delle figure presenti negli affreschi (pictura in Cappella Apostolica coopriantur), affidando il compito a Daniele di Volterra, ex apprendista dello stesso Michelangelo, che dipinse una serie di panneggi e perizomi su tutte le figure. L’ingrato compito, peraltro artisticamente disdicevole, gli valse il soprannome di “Braghettone”.

Significato e simbologia

Cerchiamo ora di dare uno sguardo di insieme al significato ed alla complessa simbologia degli affreschi presenti nella Cappella Sistina. Le scene decorative erano state collocate con una precisa corrispondenza semantica, in modo da sottolineare la continuità tra l’Antica Alleanza degli Ebrei e quella nuova attuata da Gesù Cristo, il passaggio quindi dall’“età della legge” all’ “età della grazia”. Al di là della simbologia religiosa, evidenti sono i richiami agli eventi del quindicesimo secolo ed alle scelte politiche e dottrinali dei papi. In particolare, l’affresco del Botticelli, raffigurante la punizione di Core, Datan e Abram che negarono a Mosè e ad Aronne l’autorità politica e religiosa, si imponeva come un monito nei confronti di coloro che ardivano contrastare il potere dei pontefici, così come la corrispondente immagine neotestamentaria dipinta dal Perugino della Consegna delle chiavi a Pietro, ne voleva precisare la sacralità dell’origine.

Perugino, Consegna delle Chiavi, 1481-82

Nella consegna delle chiavi a Pietro, Cristo pone le chiavi esattamente sull’asse mediano dell’intera raffigurazione, ribadendo la divina investitura di Pietro, primo papa, come guida della Chiesa e la conseguente indiscutibile autorità dei suoi successori. L’evento è ambientato in una vasta piazza, mentre l’edificio ottagonale esprime l’ideale rinascimentale del tempo, nonché richiama l’”ottavo giorno”, il “dies” senza tramonto che appartiene solo alla perfezione di Cristo. Inoltre, l’edificio richiama volutamente l’immagine della cupola del duomo fiorentino, da pochi anni ultimata dal Brunelleschi, a forma ottagonale e simbolo della capacità dell’arte di imitare la creazione divina.

Nella volta della Cappella, si fondono elementi religiosi, filosofici e simbolici che raggiungono una dimensione monumentale, al punto che le rappresentazioni sono così plastiche da sembrare quasi scultoree. Michelangelo ribadisce la continuità, molte volte messa in discussione, tra Ebraismo e Cristianesimo, cominciando dalle storie della Genesi: emblematiche sono le immagini della creazione, con il dito di Dio puntato verso Adamo, la suggestiva separazione della luce dalle tenebre, la drammatica sequenza degli eventi del Diluvio Universale, in cui traspare una conoscenza teologica profonda della storia della salvezza promessa da Dio all’umanità che culminerà nell’incarnazione di Gesù Cristo.

Michelangelo Buonarroti, Creazione di Adamo, 1511

L’ideale dell’Umanesimo e del Primo Rinascimento, con il superamento di alcuni schemi della cultura medioevale, si rivela non solo nelle scelte artistiche, ma anche nell’individuazione dei soggetti, mirando a comprendere il mondo pagano nel processo di perfezionamento spirituale dell’umanità. Infatti, Michelangelo inserì accanto ai profeti, anche le principali sibille del mondo pagano, come messaggio prettamente umanistico sulla fiducia nelle potenzialità umane e sulla visione della centralità antropologica nell’universo. In quest’ottica, si può comprendere la classica celebrazione del corpo umano nudo che avrebbe provocato reazioni scandalizzate nella generazione successiva della Controriforma, preoccupata soprattutto di contrastare lo scisma promosso da Lutero.

Michelangelo, nel corso dei suoi primi interventi nella Cappella Sistina, non poteva sapere che dopo trent’anni avrebbe dipinto sulla parete di fondo il Giudizio Universale, una delle rappresentazioni più commoventi e coinvolgenti della storia dell’arte umana. Tutte le figure si presentano con pose complesse ed illusionistiche, spesso collocate nelle cosiddette posizioni di “contrappunto”. I corpi, cioè, grazie all’intenso gioco creato dal chiaroscuro, sembrano avere una forma tridimensionale, come fossero vere e proprie sculture dipinte e sprigionando una sorta di magica energia.

Gli angeli del Giudizio Universale

Lo straordinario capolavoro di Michelangelo subì immediatamente grandi critiche, in quanto, a differenza delle altre raffigurazioni del Giudizio Universale fino ad allora elaborate, non si limitava soltanto a rappresentare la cerchia dei beati che ascendeva al cielo, includendo anche un gran numero di personaggi impegnati quasi in un combattimento, con l’inferno in basso che cercava di risucchiarli. Non si trattava più di un mondo dove la separazione tra il “bene” ed il “male” era netta, ma si poteva quasi intuire il messaggio che, sino al momento finale, cioè quando sarà Dio a decidere le sorti di ogni anima, nessuno poteva essere sicuro di potersi salvare o meno. Qualche esegeta ha voluto intravedere anche una certa polemica del Buonarroti nei confronti della Chiesa mondana e corrotta che si ergeva a giudice e che praticava la simonia, vendendo le indulgenze e quindi l’ingresso nel Regno dei Cieli a caro prezzo.

Il grande affresco del Giudizio Universale è suddiviso, per convenzione più o meno condivisa, in tre sezioni: gli Angeli di Michelangelo; Cristo giudice e la Vergine nella parte centrale; gli Angeli che annunciano l’Apocalisse, permettendo l’ascesa dei beati e la caduta dei dannati. Nelle due lunette superiori si notano gli angeli che trasportano la Croce ed altri simboli della Passione di Cristo, alludendo al suo sacrificio per la salvezza dell’umanità. Al centro dell’imponente Giudizio Universale, si impone Cristo con sua Madre, circondati da profeti, sibille, apostoli e patriarchi. Tuttavia, ciò che colpisce maggiormente il visitatore è la figura del profeta Giona, collocata proprio dove inizia la volta, al di sopra di Gesù Cristo.  

Il profeta Giona dipinto da Michelangelo

Si tratta di una precisa scelta teologica che ancora una volta sottolinea la prefigurazione del Nuovo Testamento in alcuni episodi dell’Antico: Giona che era stato tre giorni nel ventre del pesce prefigura la resurrezione del Salvatore dopo tre giorni.

Un altro aspetto “rivoluzionario” è costituito dal fatto che Michelangelo non raffigura Gesù su un trono, come era stato fatto fino ad allora, ma lo affresca “mentre sta avanzando”, coperto solo da un velo, come se venisse incontro all’umanità irredenta. In considerazione del fatto che il muro di fondo della Cappella è inclinato in avanti, il visitatore ha l’illusione di vedere Cristo avanzare verso di sé, grazie anche alla mancanza di cornice dell’affresco che rende il contesto più realistico e suggestivo.

Cristo Giudice e la Vergine

Anche la posizione delle braccia di Cristo è altamente significativa: con l’arto sollevato chiamerebbe a sé i beati, mentre con quello abbassato condannerebbe i peccatori. Maria, invece, è seduta al fianco di suo Figlio e contempla i beati, con la consapevolezza di non poter inferire con l’operato del Messia. Intorno a Gesù e alla Vergine, Michelangelo dipinge due anelli di figure, conferendo equilibrio e simmetria alle scene, ma differenziando lo stato d’animo di ciascuno. Nel primo anello spiccano le figure di San Lorenzo, Sant’Andrea, San Giovanni Battista e soprattutto di San Pietro che sta restituendo le chiavi del paradiso al figlio di Dio, perché ormai, giunti al giorno del giudizio, non sono più necessarie. Nel secondo anello di figure, si notano innanzitutto due donne: una con il seno scoperto in primo piano e l’altra che la sta abbracciando. Per alcuni critici si tratterebbe di immagini allegoriche della Chiesa misericordiosa e della Chiesa devota. Inoltre, si notano diversi martiri come San Biagio, Santa Caterina d’Alessandria, San Filippo, i Santi Cosma e Damiano, nonché vari personaggi biblici come Adamo ed Eva, Giobbe e Mosè. 

Nella parte inferiore del Giudizio Universale è dedicato molto spazio alla descrizione della fine dei tempi. Gli angeli con le trombe, ripresi dal libro dell’Apocalisse di Giovanni di Patmos, annunciano l’arrivo della fine dei tempi, mentre il risveglio dei morti e l’ascesa degli eletti si contrappone alla cacciata dei dannati ed alla rappresentazione dell’inferno. Michelangelo non rinuncia alla raffigurazione di Caronte e delle altre creature infernali, traendo spunto dalla Divina Commedia di Dante Alighieri, ma adattando le immagini alla sua libera interpretazione. Nella realizzazione dei gruppi di eletti e di dannati, l’artista dà sfogo alla propria fantasia creativa, affrescando i personaggi nelle posizioni più disperate, ma non lasciando nulla al caso, evidenziando, ad esempio, la disperazione ed il tormento interiore di coloro che sono destinati al mondo infernale. Michelangelo, infatti, pur conoscendo bene la Divina Commedia, sceglie in maniera deliberata di non descrivere i castighi inflitti ai dannati, attribuendo maggiore importanza al terrore ed al rimorso.

La rappresentazione di Caronte

La simbologia nascosta

Vi è anche una simbologia nascosta tra gli affreschi della Cappella Sistina, meno evidente, ma non per questo meno significativa. Si può cominciare dall’inquietante autoritratto dello stesso Michelangelo, celato nella pelle scorticata in mano a San Bartolomeo ai piedi del Cristo, che si può spiegare con la stessa frase pronunciata dal Buonarroti “già mi stanno scorticando vivo”, con riferimento ai severi critici contemporanei del suo capolavoro. Molte tracce sono state lasciate da Pietro Perugino che, nella parte dell’affresco raffigurante il “Viaggio di Mosè in Egitto”, nell’area destra dipinge un uomo con cappuccio e vestito rosso con lo sguardo fisso verso il visitatore, che non è altro che l’accenno ad un suo autoritratto, così come si nota la scritta PS (Peruginus) lungo il bordo del mantello di Cristo nella Consegna delle Chiavi. In tale affresco il Perugino disegna anche Giovanni dè Dolci e Baccio Pontelli, rispettivamente l’impresario e l’architetto della Cappella Sistina, mentre l’autoritratto di Cosimo Rosselli compare nella parte dell’affresco riguardante il Discorso della Montagna.

Tra le “criptomanie” (scritture nascoste) della Cappella non manca la “firma” del Ghirlandaio: un giovane biondo con in testa una corona di ghirlande nell’affresco della “Vocazione dei primi apostoli”. Luca Signorelli lascia due tracce evidenti del suo prezioso contributo, delineando un suo autoritratto nel dipinto “Testamento e morte di Mosè” ed apponendo una misteriosa frase in lingua francese: “Tout a droit” (tutto a destra), forse un motto di buon auspicio per l’opera complessiva o come segno di rispetto nei confronti di Mosè che, pur morendo prima di raggiungere la Terra Promessa, guida il suo popolo nella giusta direzione.

Di grande interesse sono le teorie, secondo le quali Michelangelo avrebbe lasciato nella Cappella Sistina molteplici tracce derivanti dalla Cabala ebraica. Il profilo del Giudizio Universale ricorderebbe quello delle Tavole della Legge, mentre le stesse dimensioni della Cappella Sistina sarebbero identiche a quelle dell’ “Eichal”, il Tempio di Salomone. Ciò che ha maggiormente colpito alcuni studiosi è la presenza nei “Pendenti” che si trovano ai quattro angoli della Volta, di lettere ebraiche formate con gli arti dei personaggi raffigurati, richiamando concetti cabalistici: la “ghimel”   di  “gvurà”(orgoglio) nel pannello di Davide e Golia; la “chet” di “chessed” (pietà) in quella di Giuditta e la sua ancella; le gambe e le dita di Giona formano una “hei”, che corrisponde al numero cinque, quanti sono i più antichi libri dell’Antico Testamento. Giona viene raffigurato in un grande pesce, come indica il Midrash ebraico, e non nel ventre di una balena come, invece, suggerito dalla tradizione cristiana. L’Arca di Noè evoca il Talmud, trattandosi di una grande scatola galleggiante e non di un barcone propriamente detto. Lo stesso discorso vale per Eva che nasce dal “fianco” di Adamo e non dalla “costola”, mentre il frutto della tentazione sull’Albero della Conoscenza nell’Eden non è rappresentato dalla “mela”, come tramandato dalla tradizione cristiana, a sua volta legata ai racconti  mitologici greco-romani, ma dai “fichi”, così come riportato dal “Midrash”. 

Si ipotizza che Michelangelo abbia disseminato di elementi cabalistici il cuore della Chiesa Cattolica, sede anche dell’Inquisizione, dopo aver acquisito una dotta preparazione filosofica ed esoterica nel faro della cultura europea dell’epoca, la Firenze dei Medici. Michelangelo sarebbe stato istruito dal più grande cabbalista contemporaneo, Giovanni Pico della Mirandola e da Marsilio Ficino, il fondatore dell’accademia neoplatonica fiorentina, che si ispirava ai canoni dell’antica Scuola di Atene.

Anche una brevissima rassegna sulla Cappella Sistina è in grado di farci comprendere l’altissimo valore artistico e culturale che rappresenta. Non si tratta soltanto del luogo di culto, simbolo del potere papale, attualmente solo spirituale, nonché sede prestigiosa del Conclave che riunisce i cardinali provenienti da tutto il mondo per l’elezione del nuovo pontefice, ma costituisce un vero e proprio “libro di storia” della visione antropologica rinascimentale, aperto alla comprensione di tutti, che siano credenti o non credenti. Le scelte in un certo senso rivoluzionarie di Michelangelo, come ad esempio la raffigurazione degli angeli antropomorfi ed apteri (senza ali), hanno innalzato il valore del corpo umano, di cui Dio stesso rivestì suo Figlio nell’Incarnazione, per sottolineare l’indissolubile unione tra materia e spirito, contro ogni tentazione di tipo manicheo rivolta a demonizzare la realtà sensibile.

Mi piace concludere con una frase del discorso del papa emerito Benedetto XVI, durante il discorso pronunciato il 21 novembre 2009, nel corso di un incontro, tenutosi proprio nella Cappella Sistina, con centinaia di artisti operanti in diversi campi e provenienti da tutto il mondo:

“Che cosa può ridare entusiasmo e fiducia, che cosa può incoraggiare l’animo umano a ritrovare il cammino, ad alzare lo sguardo sull’orizzonte, a sognare una vita degna della sua vocazione, se non la bellezza?”

Con il Giudizio Universale alle spalle, magnifico, imponente e terribile nella sua semantica escatologica, queste parole assumevano il significato sia di monito che di speranza.

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