Oltre La Collina: lo scandaloso primo album di Mia Martini

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Chi sia stata Mia Martini è ben noto a tutti. Che sia stata un’interprete di spessore anche. Ma il suo valore e la sua unicità non si consumano nel timbro della sua voce, nella sua capacità di padroneggiare il palcoscenico e nemmeno nei brani che ha interpretato e scritto (perché è stata anche autrice delle proprie canzoni, fatto che viene poco ricordato). La storia artistica di Mia Martini è densa e stratificata, tortuosa, imponente e impareggiabile. È quasi un oltraggio volerla raccontare tutta, tentare di riassumerla nella sua morte o semplificarla in pochi eventi sensazionali, come ad esempio la rinascita sul palco di Sanremo, nel 1989, con Almeno tu nell’universo, dopo anni di esilio dovuti a certe maldicenze che hanno segnato la sua vita privata e professionale.

Innanzitutto, per comprendere pienamente quanto Mia Martini sia stata un’artista di rottura rispetto al passato che l’ha preceduta, è necessario tornare agli anni dei suoi esordi, a cavallo tra il Sessanta e il Settanta. Anni importanti, coraggiosi, fondamentali, fatti di esigenze e istinti nuovi: la canzone italiana ha conosciuto i suoi primi cantautori, quelli della cosiddetta Scuola Genovese e quelli del gruppo dei Cantacronache, e le parole – in musica – hanno cominciato ad assumere un ruolo peculiare, imprescindibile. Sul finire degli anni Sessanta, in concomitanza con i movimenti politici e culturali che dal 1968 in poi hanno segnato profondamente il nostro Paese, la canzone ha iniziato a ritagliarsi un ruolo politico e sociale e a farsi portavoce dei malesseri, delle insicurezze, delle paure di una generazione di artisti che ne ha fatto un mezzo attraverso cui esprimere dissenso, senso di precarietà, inquietudine, voglia di ribellione e rabbia.

La canzone, insomma, smette di avere un ruolo accessorio e diventa un modo attraverso cui raccontare un’Italia nuova e una nuova Italia e i differenti modi di prendere confidenza con questo cambiamento epocale. La musica, in questo preciso istante, racconta il lento assestamento dopo la scossa, le conseguenze di una rivoluzione. Ed è proprio in questo contesto che Mia Martini, nel 1971, pubblica il suo disco d’esordio, Oltre la collina. Un album che ha più pregi e che, per questo, è uno dei più importanti nella storia della musica italiana. A renderlo prezioso non è soltanto l’interpretazione di Mia, che – nonostante i suoi ventiquattro anni da poco compiuti – si dimostra già una interprete notevole e una voce senza eguali, ma i suoi contenuti, il fatto di essere un disco scomodo, istintivo, coraggioso, impensabile sino a quel momento, nuovo. Sì, perché Oltre la collina è un concept album.

Mia Martini, Oltre la collina

Un concept album è un disco che ha una forma unitaria, da un punto di vista musicale o tematico, vale a dire un progetto discografico che esprime un solo concetto attraverso i diversi brani che lo compongono. Nel caso di Oltre la collina, il tema che viene approfondito attraverso le sue dodici canzoni è la crisi esistenziale della sua interprete, che diventa generazionale, considerato il periodo in cui vive. Irrequietezza, rabbia, necessità di riflettere su dogmi che faticano a restare verità assolute e imprendibili, quali la fede e il rapporto con Dio, poi frustrazione, senso di soffocamento, fuga dalla realtà. Oltre la collina ha subìto, com’è facile intuire, diverse censure, proprio perché giudicato oltraggioso, disdicevole, persino blasfemo. Parla di sesso, fede, violenza, reclusione, emarginazione, di tanti temi che, a quell’epoca, si credeva che mal si conciliassero con la musica. Specie, poi, se si trattava della musica di una donna, ventiquattrenne, alla sua prima, vera pubblicazione discografica (Mia aveva già pubblicato altri lavori, ma Oltre la collina è il suo primo Lp ed il primo lavoro prodotto col nome d’arte di Mia Martini).

Oltre la collina racconta la disperazione di una generazione che fa i conti con la perdita dei propri valori, ridotta a non avere più punti fermi. Ad aiutare Mia nella realizzazione di questo disco ambizioso e innovativo, c’è la giovanissima penna di Claudio Baglioni, allora appena ventenne, che firma per lei, tra le altre, Gesù è mio fratello. Il brano subisce la censura delle radio per via del titolo, che successivamente viene modificato in Gesù caro fratello. Gesù è mio fratello parla di fede e nel suo testo, ancora profondamente attuale, racconta la necessità di trovare una speranza, una vita di fuga da una realtà che si fa, giorno dopo giorno, sempre più soffocante.

Eri morto, ci dissero i padri
Morto come muore ogni mito sulla terra
Così fu il vuoto intorno a noi e dentro noi
Fu come quando il vento impazzisce e tutto spazza via
Soli restammo chiusi tra la noia e la paura
Aggrappati a paradisi artificiali
trovati in una stanza di luce nera

Struggente è la prima traccia del disco, Tesoro ma è vero, che racconta la vicenda di una donna non vedente che prova a immaginare quello che la circonda attraverso i racconti dell’uomo che ama. Padre davvero, primo brano estratto dal disco, è un pezzo potente, viscerale, giudicato irrispettoso nei confronti della figura sacra del genitore, verso cui c’era una riverenza che Mia lascia cadere, come un teatro che abbatte la quarta parete e trascina il pubblico oltre quello che si vede. Il testo è diretto, carnale, carico di rabbia: il rapporto tra padre e figlia consente una riflessione su due generazioni diverse, in netto contrasto, che non riescono a trovare un punto d’incontro se non nella certezza di essere inconciliabili (Poi sono venuta e non mi volevi / Ero una bocca in più da sfamare / Non sono cresciuta come speravi / E come avevo il dovere di fare / Padre, davvero che cosa mi hai dato? / Ma continuare è fiato sprecato).

Prigioniero, su base di Stop! I don’t wanna hear it anymore di Melanie Safka, vede Mia cimentarsi nel ruolo di autrice, accompagnata da Bruno Lauzi, che co-scrive il testo del brano. Si tratta di un pezzo autobiografico: racconta, infatti, l’esperienza del carcere, che Mia Martini ha vissuto in prima persona in quanto accusata di detenzione di stupefacenti (successivamente scagionata). Un’esperienza segnante, per certi versi invalidante, che ha lasciato un segno perenne nell’animo inquieto di Mia. Nel Rosa è la versione italiana di Into White di Cat Stevens. Il testo, che vede la partecipazione di Bruno Lauzi, nasce esclusivamente dalla penna di Mimì. Segue Ossessioni, uno dei molti brani del disco firmati da Antonello De Sanctis, su base di Taking off di Nina Hart.

Dopo la cover di The lion sleeps tonight, tocca a La vergine e il mare, brano firmato ancora una volta da De Sanctis, che affronta il delicato tema dello stupro. La canzone finisce per subire una nuova e pesante censura, per via di un testo coraggioso, crudo, tagliente. Un testo che, seppur breve, scava nell’intimità della donna abusata e ne rivela la mortificazione, lo smarrimento e un velato e sottile godimento, giudicato perverso, malato, scandaloso, ma in verità ancestrale, animalesco, puro. Ecco uno stralcio del testo:

La veste, ridendo, strappò
Un vergine petto scoprì
E pregando gridavo pietà
Mi prese dai fianchi, piegò la mia schiena
Fu su di me
Dalla nuda parete il quadro dei Santi e Dio, Dio mi maledì
Mi piacque giacere con lui
Il gufo tre volte cantò
Col vento la porta si aprì
Le alghe sui piedi, la schiena possente
Nel mare in tempesta svanì

Mia Martini La vergine e il mare

A Lacrime di marzo tocca il compito di affrontare il tema del suicidio e a Testamento, il pezzo immediatamente successivo, quello di fare da ideale continuazione del primo.

Non tutti i sogni, non tutti i miei baci
Non tutti, ma solo un po’
Questo perché si ricordi che a volte mi ha amato, a volte no
Questo è tutto ciò che lascerò al mio uomo.

Amore.. amore… un corno!, che porta nuovamente la firma di Baglioni (e stavolta anche la voce, nei cori che accompagnano Mia), anticipa di qualche anno Minuetto, ne è il perfetto precursore: parla di un amore totalizzante, soffocante, che rende la protagonista della canzone schiava di un sentimento che non ha vie d’uscita.

A chiudere il disco è la title-track, Oltre la collina, un pezzo che riassume i temi dell’intero progetto e fa da collante a tutti i brani che lo compongono. Oltre la collina, che accarezza anzitempo la tematica della depressione, è una non-canzone, un brano in cui Mia non canta, ma parla e racconta il dolore di una donna che si guarda indietro e fa i conti con quel che ha perso. Commovente, potente, seppur delicatissimo, questo pezzo sintetizza al meglio lo stato d’animo di una persona che affronta lucidamente la propria sofferenza, prendendone le distanze e a volte facendosene scudo. Un brano toccante, che a buon diritto dà il nome all’intero album e ne restituisce il senso di smarrimento, di disperazione, di fragilità. In fondo, Oltre la collina (la canzone come, del resto, l’intero disco) è la tormentata ricerca di una speranza intatta, di un amore (da non considerare soltanto come amore di coppia, quindi carnale, ma verso l’esistenza stessa e i suoi improvvisi mutamenti).

È giusto dire che Mia Martini sia stata una delle più grandi, irripetibili e necessarie interpreti della canzone italiana. La più grande in assoluto, probabilmente. Ancor più corretto, tuttavia, è raccontare la sua storia di artista sensibile, attenta, tormentata, che non si è mai limitata ad assecondare un gusto, ma l’ha creato. Non si è mai accontentata di evidenziare il suo talento vocale, ma ha esibito innanzitutto la sua personalità dirompente e definita. Sin dagli esordi, ha scelto un percorso che la raccontasse fedelmente e che proponesse al pubblico qualcosa di nuovo. Mia è stata una pioniera, capace di dare al ruolo dell’interprete un peso specifico, non (più) decorativo.

Dopo Mia, interprete non è più soltanto colui che esegue una canzone, ma colui che esprime – attraverso la musica e il testo – se stesso. Oltre la collina è la prova di tutto questo: è uno dei primi concept album della musica italiana, proprio perché nasce da un’idea e da una necessità. Un disco che è un pilastro, un faro nel buio, una vetta che – nonostante siano passati quasi cinquant’anni – molti faticano a raggiungere. Un disco che tutti/e gli/le interpreti della canzone italiana dovrebbero ascoltare.

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