Il valore dell’immagine e l’atto creativo: riflessioni sul caso Banksy

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“La voglia di distruggere è anche un desiderio creativo”, diceva Pablo Picasso, e questo Banksy lo sa bene. Lo street artist inglese ha colpito ancora e stavolta in grande stile, di recente, provocando la spaghettificazione della celebre tela “la ragazza col palloncino”, al termine della vendita all’asta della stessa. L’happening messo in scena dall’artista ha avuto una risonanza mediatica notevole e un costo, tradotto in un danno per l’acquirente, che si aggirerebbe intorno al milione di sterline. Ma adesso, secondo molti critici, il valore dell’opera sarebbe addirittura aumentato. La quotazione dello stencil distrutto sarebbe schizzata alle stelle.

Ma come è possibile? L’opera può considerarsi realmente distrutta? Perché il suo valore pecunario è aumentato così vorticosamente? Cos’ha probabilmente voluto dimostrare Bansky attraverso questa apparente follia iconoclasta?

Procediamo con ordine, cercando di comprendere quanto è accaduto. Useremo un metodo di analisi ben preciso, per una corretta esegesi della performance artistica messa in scena, desunto dal pensiero dello storico dell’arte Hans Belting, proposto qui come baricentro interpretativo da tenere in stretta considerazione.

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In Antropologia delle immagini lo storico tedesco matura e sviluppa un cambio di prospettiva radicale rispetto agli scritti precedenti. L’opera d’arte, concepita in precedenza come qualcosa di unico e di irripetibile, è qui intesa e declassata come una delle possibili configurazioni dell’immagine. Non vi è però propriamente alcuna immagine senza un atto di animazione portato avanti dal fruitore. Quest’ultimo comprendendo l’opera, rende possibile quello che Belting definisce “scambio simbolico”.

La costituzione ontologica dell’immagine soggiace infatti su di un enigma: l’immagine rende presente qualcosa che allo stato attuale risulta essere assente ed è proprio questo scambio simbolico, che si instaura tra l’osservatore e il mezzo trasmissivo, il principio fondante di un’immagine. Una fotografia, una maschera funeraria, perfino una sinfonia costituiscono degli esempi di immagine in virtù del processo che li va a costituire e che lega insieme l’immagine, il mezzo trasmissivo e il fruitore. Anche un’immagine sintetica, creata al computer, costituisce un valido esempio di immagine per Belting. Una fotografia di un automobile posseduta in passato per esempio, rende presente qualcosa che evidentemente, allo stato attuale, risulta assente.

L’immagine non ha quindi, di per sé, una natura sostanziale, storicamente connotata, visto che può sopravvivere anche al di fuori del mezzo entro il quale va ad incarnarsi di volta in volta, rimanendo impressa nella memoria di ciascuno. Lo sviluppo della moderne tecnologie, insieme all’utilizzo sempre più frequente e smodato di smartphone e di strumenti affini, ha messo sempre più in luce il carattere intermediale e multimediale dell’immagine.

La trasmigrazione dell’immagine da un mezzo all’altro comporta inevitabilmente un’alterazione nella percezione della stessa. Per questa ragione l’immagine continua sì a sopravvivere indipendente dal mezzo, ma quest’ultimo gioca un ruolo chiave nel rapporto con il fruitore. L’immagine della Monnalisa sulla tela originale è ben diversa dall’immagine della Monnalisa osservata attraverso dei visori per la realtà virtuale, pur rimanendo la medesima.

Per queste ragioni l’immagine della bambina col palloncino non è stata propriamente distrutta da Banksy. È andato perduto in realtà unicamente il suo supporto mediale, la tela. L’immagine della bambina con il suo palloncino continua a sopravvivere nei nostri archivi mnemonico-figurativi e in quelli di milioni di server informatici.

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L’atto ordito ingegnosamente da Bansky non può essere quindi considerato un atto distruttivo e iconoclasta. Semmai quello messo in scena presso la Sotheby’s di Londra deve essere inteso come un atto creativo dirompente, come un’icogenia pubblica e documentata che modificherà, di qui in avanti, il rapporto tra quell’opera e il pubblico. Sfruttando le piattaforme informatiche e gli strumenti di condivisione sui social media, Banksy in effetti ha dato origine e forma ad una nuova immagine, la quale porta con sé tutta una serie di significati diversi e peculiari.

La distruzione dello stencil ha fatto esplodere, in molti ambienti e a diversi livelli, la discussione riguardante l’interpretazione costitutiva da attribuire all’happening artistico, comportando, conseguentemente, un aumento del valore monetario della tela fatta a brandelli. Il gesto provocatorio dell’artista ci spinge ad interrogarci sulla natura e sul significato dell’arte, in un’epoca in cui il rapporto con il reale è sempre più mediato da immagini di ogni sorta. Decostruendo pubblicamente un proprio lavoro, Banksy ci ha fornito la chiave per comprendere il meccanismo sotteso ad ogni immagine.

Ciò che ha sempre contraddistinto Banksy, a Londra come in qualsiasi altro teatro pubblico, è la sua ineffabilità. Agendo nell’ombra della sua popolarità, nella totale assenza di una tangibilità fisica, Bansky ha sempre lanciato forti messaggi ad un presente bisognoso di simboli a cui aggrapparsi, di vessilli da sbandierare, di icone attraverso le quali innescare un cambiamento, riuscendo a porsi a metà di quello scambio simbolico, tra una presenza immaginifica e un’assenza corporea.

Questo è il lascito più importante di Banksy, questo il suo modus operandi. L’essere presente sempre, dovunque, ma non essere mai da nessuna parte. L’essere eterno, sempre attuale in una società in continua evoluzione. Che cos’è in fondo Banksy se non una potente e ben riuscita immagine di se stesso?

Gianmarco Girolami

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(Articolo pubblicato originariamente su Spirito Blog e gentilmente concesso ad Auralcrave per la ripubblicazione)

 

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