John Mayer, l’ultimo Dio della chitarra

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Il 22 giugno del 2014 i Rolling Stones approdavano a Roma, al Circo Massimo, una location di tutto rispetto per una band che ha fatto la storia. Il supporter della band, la spalla scelta dagli Stones, era un certo John Mayer. Classe 1977, dichiarato dalla rivista Rolling Stone come uno dei nuovi tre “guitar gods”, insieme a John Frusciante (ex Red Hot Chili Peppers) e Derek Trucks.

Famoso in tutto il mondo, noto nell’ambiente blues americano grazie ad Eric Clapton (lo definiscono il suo pupillo) e in quello femminile hollywoodiano, americano, inglese, francese, marziano, in cielo e in terra, riesce ad unire Pop, Funk e Blues senza risultare mai banale. Un’altra cosa che ha unito è stato il ppubblico italiano, soprattutto quelli che sono andati al concerto dei Rolling Stones solo perché avevano comprato la maglietta con la “lingua” da Terranova, e che a fine concerto hanno scritto sui Social: “John Mayer chi?” (seguiti – ahimé – anche da alcune testate giornalistiche).

Il suo stile è molto diverso da quello dei Rolling Stones, quindi chi apprezza di più il primo potrebbe pensare che siano state le pietre rotolanti ad aprire il concerto a John. In attività dal 1998, ha pubblicato dieci album, collaborato con i migliori chitarristi blues del mondo, da Eric Clapton a B.B. King. “Jammare” con quest’ultimo era il sogno di una vita.

Figlio di due insegnanti, nasce in una famiglia della medio-alta borghesia statunitense, ciò gli diede molte possibilità. Infatti poco dopo aver intrapreso gli studi, notando la sua passione in ascesa, decise di traferirsi a Boston per intraprendere la carriera musicale e per perfezionarsi. Nonostante abbia abbandonato gli studi poco dopo, per darsi “alla strada” del blues, è sempre stato un chitarrista molto tecnico con il blues “grezzo” nel cuore. l’accoppiata perfetta, come le tigelle e il lambrusco. Dal momento in cui abbandonò gli studi per diventare un musicista, divenne un musicista.

Bene, siccome stiamo parlando del pupillo di Eric Clapton, è inutile fare un’analisi approfondita sulla sua discografia (su Wikipedia è tutto spiegato per benino). Vale la pena però analizzare un esempio specifico, per fare capire davvero perché John Mayer è definito un “guitar god”. Lo faremo attraverso il video in cui suona Sweet Home Chicago con alcune persone conosciute qua e là per il loro talento alla chitarra.

Iniziamo con il dire che ci vuole coraggio. Per quanto un musicista possa essere bravo, determinato, ispirato, non è facile accettare un Jam Session con Eric Clapton, Buddy Guy, Johnny Winter, Robert Cray e co. Non è facile restare “in sensi” dopo il primo lick di Buddy Guy – sta suonando Buddy Guy, oddio come potrebbe essere il mio lick di risposta? – lo stesso che poco dopo lo indicherà dicendo: tocca a te.

Ironia a parte si nota un sound influenzato dallo stile di SRV, suono che scoprì all’età di 13 anni, quando il vicino di casa gli regalò un audio cassetta del bluesman texano. Un uomo in completa estasi musicale, in quel momento non si trova su quel palco, è nella sua cameretta. L’unico posto in cui vorrebbe stare, con la sua fender, le sue audio cassette e le sue blue note.

Si potrebbe parlare della sua strumentazione, delle sue 200 chitarre, della sua Martin bellezza nera. Ma a noi non importa, a noi basta vedere il modo in cui Clapton lo guarda per ottenere un’analisi approfondita su John, basta guardare le sue smorfie per capire le sue emozioni. Quando suona ti fa immedesimare in sé stesso, ti fa chiudere gli occhi e ti fa credere che su quel palco ci sia tu – indipendentemente dal fatto che suoni la chitarra o meno – e questa è la cosa che distingue un chitarrista da un guitar god.

Di solito, quando ero in camera mia a suonare, facevo finta di essere su un palco, di fronte a migliaia di persone. Adesso che sono sul palco faccio finta di essere nella mia camera da letto.

John Mayer

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