Quando Umberto Eco elevò il fumetto ad arte

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Secondo Umberto Eco, l’arte popolare sale dal basso. Stando a questa argomentazione, da lui stesso fornita, gli tocca concludere che il fumetto sia tutto meno che arte popolare. Ed effettivamente, continua il filosofo, il fumetto non sale dal basso ma si potrebbe dire che scende dall’alto, essendo in tutto e per tutto una merce generata da quell’industria culturale di massa che vanta tra i propri prodotti anche le canzoni di consumo, i libri gialli e le trasmissioni televisive. Scrive infatti Eco che “il fumetto è un prodotto industriale, commissionato dall’alto” e che “funziona secondo tutte le meccaniche della persuasione occulta”, supponendo nel “fruitore un atteggiamento di evasione che stimola immediatamente le velleità paternalistiche dei committenti”. Insomma, pare che nella maggior parte dei casi il fumetto avrebbe la funzione pedagogica di ribadire i miti e i valori vigenti in un dato sistema sociale.

Scrivendo queste cose nel lontano 1964, all’interno dell’opera Apocalittici e Integrati, l’autore porta come esempio alcuni dei fumetti d’oltreoceano più in voga in quel periodo storico, mostrando al lettore come effettivamente possa essere rinvenuta, all’interno di molti di essi, una sorta di operazione di propaganda di alcuni aspetti del sistema sociale che, a ben vedere, permette e promuove la diffusione di quello stesso prodotto di consumo. “Così Dennis the Menace -scrive Eco- ribadirà l’immagine, in definitiva felice e irresponsabile, di una buona famiglia middle class che abbia fatto del naturalismo deweyano un mito educativo pronto ad essere frainteso per produrre nevrotici a catena; e la Little Orphan Annie diventerà per milioni di lettori la supporter di un meccartismo nazionalistico, di un classismo paleocapitalista, di un filisteismo piccolo borghese pronto a celebrare i fasti della John Birch Society”. Ovviamente, in un orizzonte del genere, anche le critiche rivolte alla società devono essere per forza di cose morbide e piuttosto velate, se vogliono passare la censura a cui ogni prodotto dell’industria culturale viene tassativamente sottoposto. Così il personaggio di Paperon’ de Paperoni, in originale Uncle Scrooge McDuck (ovvio richiamo al celeberrimo personaggio de Il Canto di Natale di Dickens), esprime sì una critica al capitalismo, ma proprio grazie al nome “datato” che gli viene dato, indirizza la polemica più verso il capitalismo ottocentesco che non verso l’attuale (o comunque quello del 1947, anno in cui Carl Barks crea l’intramontabile personaggio). Insomma, si può dire tutto, ma fino a un certo punto. Per dirla con Chomsky, “è necessario creare una cornice che delimiti un pensiero accettabile, racchiuso entro i principi della religione di Stato”.

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Scrooge McDuck

La portata rivoluzionaria del saggio di Eco, intitolato Il mondo di Charlie Brown e contenuto nel già citato Apocalittici e Integrati del 1964, non sta però tanto in questa riflessione che oserei definire politica, ma sta soprattutto nel modo spregiudicato con cui il filosofo definisce il fumetto come arte. Che sia maggiore o minore non importa, è pur sempre e comunque arte. Ecco la frase incriminata: “Ora, anche solo in teoria, potremmo rispondere che da quando mondo è mondo, arti maggiori e arti minori, hanno potuto prosperare quasi sempre solo nell’ambito di un sistema dato che permetteva all’artista un certo margine di autonomia in cambio di una certa percentuale di ossequenza ai valori stabiliti”. Eco sembra quindi qui stabilire che il fumetto possa rientrare a pieno titolo nell’Olimpo delle Arti, affermazione questa che suscitò vibranti reazioni da buona parte dell’intellighenzia italiana di quegli anni. Un nome su tutti, il famoso saggista Pietro Citati, che vide con molto sospetto l’uso degli strumenti della Cultura Alta per spiegare e analizzare la Cultura Bassa (di cui secondo Citati fa parte il fumetto).

“Questo ampliamento di orizzonti -scrive ironicamente Citati nell’ottobre del 1964, in un articolo uscito su Il Giorno e intitolato sarcasticamente La Pavone e Superman a braccetto di Kantrivela un presupposto evidente: tutte le cose sono egualmente degne di considerazione, Platone e Elvis Presley appartengono allo stesso modo alla storia”. Il presupposto evidente, è chiaro anche dal tono, a Citati non piace per nulla.

Rivoluzionario Eco, dunque, se per primo decide di analizzare in modo serio e “accademico” il fumetto, rivestendolo, in un modo o nell’altro, di una qualche dignità artistica. Ovviamente oggi l’andazzo è diverso e quanto Eco dice, forse, non stupisce poi più di tanto; bisogna però pensare al fatto che il fumetto, in quel periodo, non gode certo di un’ottima reputazione, e che se da una parte è derubricato a divertimento per fanciullini, dall’altra viene addirittura demonizzato. Le rivoluzioni, alle volte, non passano dalle piazze ma dai libri stampati. Con Apocalittici e Integrati Eco ha saputo darci una visione oggettiva del fumetto, mostrandoci come un mezzo di comunicazione di massa possa comunque vantare un pedigree artistico.

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I Peanuts

Ampia trattazione all’interno del saggio riserva poi Eco ai Peanuts, e nel parlarne non si esime dall’utilizzare addirittura il termine poesia. Sì, avete capito bene, nei Peanuts c’è della poesia, secondo Eco. “La poesia di questi bambini – scrive – nasce dal fatto che in essi ritroviamo tutti i problemi, tutti i patemi degli adulti che stanno dietro le quinte… questi bambini ci toccano da vicino perché in un certo senso sono dei mostri: sono le mostruose riduzioni infantili di tutte le nevrosi di un moderno cittadino della civiltà industriale”. Ma c’è di più, perché i problemi di cui i piccoli protagonisti dei Peanuts si fanno carico sono sì i problemi degli adulti, ma vissuti attraverso una psicologia infantile, ed è questo aspetto che fa sì che i personaggi di Schulz ci appaiano toccanti e senza speranze, “come se riconoscessimo all’improvviso che i nostri mali hanno inquinato tutto, alla radice”. Ma ancora una volta gli infanti ci vengono in soccorso, perché sono sì portatori delle nevrosi degli adulti, ma posseggono anche le caratteristiche tipiche dei bambini, e cioè quel candore e quella genuinità che riescono a rimettere tutto in discussione, filtrando tutti i detriti e restituendoci un mondo che è “tuttavia sempre gentilissimo e soffice”, un mondo “che sa di latte e pulizia”. Ecco perché i Peanuts piacciono indistintamente a grandi e piccini: esorcizzano il mondo e i problemi degli adulti attraverso l’ingenuo agire dei bambini.

Charlie Brown è il “normale” per eccellenza, secondo Eco. È come tutti, e “per questo marcia sempre sull’orlo del suicidio o quanto meno del collasso”. Cerca la salvezza secondo le formule di comodo propostegli dalla società in cui vive, “ma poiché lo fa con assoluta purezza di cuore e nessuna furbizia, la società è pronta a respingerlo nella persona di Lucy, matriarcale, perfida, sicura di sé, imprenditrice a profitto sicuro, pronta a smerciare una sicumera del tutto fasulla ma di indubbio effetto”. Linus, invece, è per Eco il personaggio che meglio impersonifica tutte le nevrosi della società, l’instabilità emotiva è la sua condizione perpetua, e solo nel dito in bocca e nella coperta (la famigerata blanket) ritrova il suo “sentimento di sicurezza”. È attaccato ai propri simboli di protezione, toglieteglieli e crollerà, ma ha assorbito con l’instabilità anche tutta la sapienza di una società nevrotica: “dove Charlie Brown non riesce a costruire un aquilone che non precipiti tra le fronde di un albero, Linus rivela a tratti abilità scientifiche e maestrie vertiginose”. Snoopy il cane, poi, non si accetta e cerca sempre di essere altro da ciò che è (nell’opulenta società umana, in quanto cane, non ha possibilità di promozione). “Personalità dissociata se mai ve ne furono -scrive Eco di lui- gli piacerebbe essere un alligatore, un canguro, un avvoltoio…tenta tutte le strade della mistificazione, poi si arrende alla realtà, per pigrizia, per fame, per sonno, per timidezza, per claustrofobia, per ignavia”. Vive in un apartheid continuo, ha la psicologia del segregato, “dello zio Tom ha alla fine la devozione… l’ancestrale rispetto per il più forte”.

Ora, si potrebbe chiudere l’articolo con una qualche trovata gagliarda e d’effetto, ma preferiamo lasciare la parola al compianto Umberto Eco, facendogli pronunciare le esatte parole con cui chiude il saggio sui Peanuts, invitando chi di voi volesse alla lettura dello stesso.

“All’improvviso, in questa enciclopedia delle debolezze contemporanee, ci sono, come si è detto, schiarite luminose, variazioni disimpegnate, allegri e rondò dove tutto si pacifica in poche battute agili e sgombre, i mostri ritornano bambini, Schulz diventa solo un poeta dell’infanzia. Noi sappiamo che non è vero e pure facciamo finta di prestarvi fede. Nella striscia che segue, Schulz continuerà a mostrarci nel volto di Charlie Brown con due colpi di matita, la sua versione della condizione umana”.

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