La figura della donna in Blade Runner 2049

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Il futuro è donna nel nuovo film di Denis Villenueve Blade Runner 2049. Una dispotica Los Angeles che, coperta da una fitta neve, si macchia del sangue di umani e replicanti, entrambi appartenenti a specie distinte non tanto a prevalere l’una sull’altra, bensì bramanti alla stessa maniera di afferrare quella certezza primordiale che possa dare loro la conferma di riuscire a sopravvivere. Come appena nati, costretti a muovere i loro passi su strade buie, inquinate dalle nubi di fumo che li avvolgono stroncando in gola il fiato, gli abitanti del 2049 possono soltanto affidarsi ad una donna per andare avanti, una madre che possa proteggere il dono della vita.

E numerose sono le donne che la sceneggiatura scritta da Hampton Fancher e Michael Green mette in scena con una forza generatrice insormontabile, personaggi che agiscono per salvaguardare le loro creature, i loro figli, in quell’universo che ha plasmato l’incontrollata paura di non riuscire ad arrivare al domani. Prime tra tutte Robin Wright nella divisa del Tenente Joshi e Sylvia Hoeks nei panni della segretaria Luv, madri agli opposti, umana e androide, che nell’assoluzione dei propri danni a discapito delle reciproche razze, tentano con diverso scopo, ma ricercando lo stesso obiettivo, di conquistare la più importante fonte di cambiamento per il tempo che davanti a loro si sta velocemente aprendo. La ricerca di un pericoloso miracolo che potrebbe ribaltare un’esistenza costantemente precaria, squilibrando la bilancia della supremazia verso il popolo abietto, schiavizzato, mescolando non solo le carte della storia, ma il divenire dei destini di qualsiasi persona sulla terra.

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Perché è la guerra che bussa alle porte di un universo già profondamente sanguinante, che arranca per trascinarsi ogni giorno in un posto sicuro, in una realtà la quale è solo finzione, ologramma, ma che può dare sicurezza, come solo una madre sa dare. Subentra perciò l’illusione interpretata dalla bellissima Ana de Armas: tecnologia, pura invenzione per soddisfare il desiderio di qualsiasi compratore. Ed è il calore che il replicante Ryan Gosling cerca, l’agente K e la sua incolmabile solitudine riscaldati da una carezza intangibile, da un abbraccio spezzato. Una semplice rappresentazione vuota, ma poiché nelle veci di una qualsivoglia donna, in grado di dare un’identità all’anonimo K, desideroso di avere un’anima e per questo denominato dal prodotto menzognero con un nome, come si farebbe con un figlio.

Sarà però soltanto con il supporto di un corpo fatto di carne e di sangue che il personaggio di Ryan Gosling saprà entrare in contatto prima con la parte fisica del nuovo sé stesso, poi con il suo vero, indesiderato essere, a ribadire la combinazione tra realtà umana e simulazione, tra ciò che può dare la vita e ciò che è invece soltanto un’invenzione. Una prostituta, una donna che sopravvive portando la propria figura su quelle illuminate strade al neon, condurrà il protagonista al mistero – anche questo della vita – che l’agente K stava perseguendo, una rivoluzione che parte da una donna, viene condotta da una donna e innalza a proprio modello di speranza ancora un’altra donna.

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Un futuro che Denis Villenueve fa entrare perfettamente in contrasto attraverso la creazione di perfette immagini, esplicative, comunicanti. L’appagamento voyeuristico dello spettatore, catturato dalle sinuose curve delle pubblicità o delle enormi statue femminili, contrasta sensibilmente con la sottolineata importanza che il femminile ha all’interno di Blade Runner 2049, a dichiararne il primitivo binomio che si muove tra piacere fisico e protezione dell’uomo, un voler entrare nella donna sia per possederla che per potersene dichiarare figlio.

Se già la Rachel di Sean Young nel caposaldo di Ridley Scott Blade Runner veniva investita da tanto spessore umano – pur sempre nella sua inumanità da androide – in Blade Runner 2049 la sua immagine si moltiplica, si amplia, mantenendo però salda la sua (non)persona come punto di partenza, come principio di tutto, come donna fondamentale. Una Eva del mondo dei replicanti che non saprà mai se i suoi figli androidi potranno raggiungere l’Eden.

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