Dentro i fili di una radio: Lucio Dalla, artista inafferrabile

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Non era un semplice cantautore, era un artista. Tra i tanti cantanti che si sono succeduti nella nostra tradizione musicale, forse Lucio Dalla è quello che più si è distinto per originalità, riuscendo anche a incontrare il favore del pubblico, cosa non sempre così scontata a queste latitudini.

Era un fanatico di jazz, adorava Thelonious Monk e sotto sotto credeva di essere semplicemente in prestito alla canzonetta italiana, sicuramente troppo stretta per le aspirazioni del suo clarinetto.

Estroso, generoso, spesso geniale e sempre alla ricerca di qualcosa che lo potesse portare lontano dallo stereotipo tipico del cantautore nostrano e non lo costringesse in gabbie che ne avrebbero limitato lo slancio creativo, Dalla ha attraversato varie fasi nella sua fortunata e lunga carriera.

Dai timidi inizi nei primi anni ’60 con i Flippers, fino alla svolta solista di metà decennio, su sollecitazione di Gino Paoli, che evidentemente intravedeva qualcosa di luminoso in quel gomitolo di peli dagli occhi spiritati mentre si esibiva nei suoi gorgheggi scat e smaniava su un palco.

Il pubblico però non aveva la stessa percezione del giovane Dalla e faceva più fatica nel riconoscergli qualcosa che non fossero tiepidi applausi e lieve indifferenza, se non addirittura ostilità: durante un Cantagiro fu sommerso ad ogni esibizione da ortaggi e pomodori, lanciati dagli spettatori che si divertivano a metterlo in difficoltà.

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Lucio Dalla negli anni ’60

Uno così non poteva piacere, troppo diverso dal contesto dell’epoca: piccolo, brutto, strano (troppo strano), sostanzialmente fuori luogo in un decennio dove a imporsi sono gli urlatori alla Celentano e le belle facce alla Morandi, ma anche troppo lontano dai vecchi leoni come Claudio Villa o Domenico Modugno.

Non lo accetta il pubblico e a volte neanche i proprietari dei locali in cui tenta di esibirsi lo fanno, lamentandosi per la sua eccessiva stravaganza e per la scarsa cura del suo vestiario.

Lucio a quanto sembra non si fa scoraggiare da tanto livore, preferendo una reazione, qualunque essa sia, all’indifferenza. Ecco, forse l’indifferenza era un affronto che uno come lui non poteva tollerare: non piacere alla fine era più accettabile per quel ragazzo partito da Bologna giovanissimo con il sogno di diventare qualcuno.

A fine decennio, comunque, riesce a intraprendere un lento e faticoso percorso che lo porta a farsi perlomeno accettare dal pubblico, senza però ottenerne ancora grandi favori.

La svolta si ha negli anni ’70, con 4/3/1943 (in cui si piega alle pretese censorie della RAI) e una considerazione diversa da parte anche della critica. Il periodo dell’impegno e del boom dei cantautori lo vede poi collaborare assieme al poeta Roberto Roversi, con cui compone tre album d’impronta sperimentale sia dal punto di vista musicale che testuale.

Dalla non subisce il carisma di Roversi, riuscendo a incanalare le canzoni verso la sua idea di musica, costantemente rivolto a un’impronta jazzistica e di ampio respiro. Il sodalizio s’interrompe dopo l’intervento della RCA su un paio di canzoni di Automobili, considerate non convenienti dal punto di vista politico: Dalla si piega, deludendo Roversi che non gradisce e rifiuta persino di apporre la sua firma come autore.

Da quello che poteva essere un disastro nasce invece il periodo più fortunato di Dalla, che si mette a scrivere lui stesso i suoi testi, incidendo nei successivi anni alcune delle più belle canzoni del nostro canzoniere. Nascono Anna e Marco, Come è Profondo il Mare, Cucciolo Alfredo, Stella di Mare, L’ultima Luna, Cara, Futura, L’anno che Verrà, canzoni entrate nell’immaginario collettivo di almeno tre generazioni.

Il boom di vendite lo consacra come assoluto protagonista della scena musicale: finalmente nessuno lo giudica per l’aspetto o il vestiario, ma solamente per la sua arte. E che arte: le sue canzoni riescono a essere “alte” e a conquistare la massa, diventando un pezzo di costume sociale e pop dell’Italia a cavallo degli anni ’70 e ’80.

Senza fermarsi mai, attraversa gli anni ’80, che lo consacrano ulteriormente. Non serve ricordare Caruso, canzone tra le canzoni, pezzo senza tempo e da brividi, ricco di riferimenti e suggestioni che solo uno come lui poteva scrivere. Con Cambio intraprende l’ennesima svolta, stavolta verso il pop, che, almeno fino a Canzoni del 1996, gli permetterà ancora di essere un assoluto protagonista delle classifiche.

Gli ultimi anni sono all’insegna di molti progetti diversi, tra teatro e colonne sonore, in cui si tuffa con la solita curiosità e voglia di giocare, mentre si affievolisce il successo di vendite.

Di Dalla va ricordata anche l’umanità e la generosità: fu lui a convincere Francesco De Gregori a ricominciare a fare concerti e a seguirlo nel tour Banana Republic, dopo il processo subito sul palco dal Principe nel 1976 ad opera di un pubblico militante e inutilmente contestatorio; sempre lui coinvolse Gianni Morandi nel progetto DallaMorandi, che permise al cantante di Monghidoro di tornare definitivamente ai livelli di un tempo dopo anni incerti.

Non dimenticando i difficili inizi, aiutó tanti giovani a imporsi: Luca Carboni, Ron, gli Stadio e Samuele Bersani, se vogliamo limitarci ai più famosi.

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Alla fine questo artista, così poco funzionale alle omologazioni e alle etichette tanto care in Italia, è riuscito per cinquant’anni ad entrare dentro i fili di una radio, come cantava nella stupenda Le rondini, non uscendone neanche dopo il fatale malore di Montreaux.

Lucio Dalla è volato davvero sopra le città e si è mescolato con l’odore dei caffè. E anche un po’ con tutti noi.

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