Sampha: audacia, purezza e amore per la musica

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All’inizio del nuovo corso musicale che il Regno Unito ha visto muoversi intorno al 2010, c’era una scena variegata da artisti abili a condensare tutte le loro influenze garage, club e pop moderno in un’unica direzione idealistica. The xx, SBTRKT, Jessie Ware, FKA Twigs, Jai Paul (di cui ad oggi si sono purtroppo perse le tracce) e la scalata di realtà discografiche come Young Turks, comune denominatore della maggior parte di questi nomi ancora oggi. Ciò che ha reso forti e consapevoli ognuno di loro è stata la costruzione di un’identità ben precisa, riconoscibile, spesso appariscente: la maschera tribale dell’estroso dj/producer SBTRKT, il lato mistico ed emozionale dei The xx, l’enorme creatività da performer fuori dagli schemi di FKA Twigs. In questo spaccato di crescita di idee e personaggi, Sampha Sisay si è mosso con disinvoltura, nelle retrovie, senza mai entrare in quello stesso palcoscenico in cui tutti gli altri attori stavano recitando la loro parte.

Gli inizi, per lui, sono rappresentati da una scalata quasi immediata: un giovane e poliedrico strumentista/produttore e cantante – singer-songwriter come nell’accezione moderna del termine – che realizza nel giro di pochissimo tempo un percorso lucido e razionale, dalle sfumature molto diverse da quelle che tutti percepivano negli altri (pur arrivando, nonostante tutto, proprio nella stessa grande casa madre di pubblicazione: la Young Turks). Ma non gli interessava affatto apparire (del resto non ne era capace, a suo modo di vedere), aveva bisogno di tirare fuori il suo lato migliore solo se fosse veramente stato in grado di accettarlo in prima persona. Chi lo conosce racconta di come, anche nella normalità del quotidiano, la sua voce calma e pacata stimoli quasi un’istantanea empatia, formuli un contatto immediato difficile da mancare. Dev’essere successo lo stesso con la fucina di artisti internazionali che lo hanno voluto con sé, da Kanye West a Frank Ocean, non esattamente gente capitata per caso a bussare alla sua porta. Neanche questo spostò più di tanto la sua attenzione dal vero monito che quei 20 anni (o poco più) nascondevano nel profondo: voleva arrivare alla maturazione completa nei suoi tempi, con la giusta consapevolezza di esserci veramente come voleva.

Nel frattempo ha continuato a collaborare con artisti di ogni tipo, cominciando anche in piccole pillole a costruire un’identità artistica, con EP e singoli di forte riscontro qualitativo, ma ancora troppo estemporanei per diventare riconoscibile all’esigente pubblico moderno e per dare a sé stesso quello stimolo decisivo per affrontare un percorso di maturità. Ha cercato di ricreare quel dialogo con sé stesso, oltre che con la sua musica, per tirare fuori a poco a poco tutte le emozioni che era in grado di trasmettere, sempre badando che fossero realmente quello che sentiva in quel preciso istante. Per questo, arrivati qualche anno dopo nel recente passato, con l’album di debutto Process, ha affermato di quanto fosse importante l’istantaneità di cui è piena la sua prima, vera creatura artistica a tutto tondo. Voleva fortemente che fosse una fotografia di quello che aveva passato nel corso delle sue esperienze più temporalmente vicine, così che catturassero con tutta la forza necessaria la trasparenza delle parole, dei gesti, del modo di porsi alla vita. Di come, a 28 anni, era arrivato fin qui, a mostrarsi finalmente pronto.

C’è molto, moltissimo di tutto questo processo di crescita, del rapporto con la sua famiglia, specie con la madre, malata di un cancro terminale dal 2012, con cui Sampha tornò a vivere, nel sobborgo londinese di Morden, per stargli vicino. La stessa sorte che il caso volle riservare al padre, quando lui aveva solo 3 anni, dopo avergli fatto scoprire il pianoforte e l’importanza delle emozioni (“you would show me I had something some people call a soul” recitano i toccanti di versi di (No One Knows Me) Like The Piano). Tutto il lato più intimo di un già così riservato carattere umano emerge libero, disfacendosi delle barriere causate dal dolore per trasformarle in doti pure e sincere, concedendo al pubblico di entrare a contatto con la sua storia. Anche quel lato così introverso e timido, di cui rivendica senza problemi il forte influsso, ha in fondo avuto il merito di aver plasmato quella sana personalità. La capsula del tempo dove si posano i suoi ricordi prende vita attraverso ognuno dei suoi racconti, che assumono l’immagine concreta di un raccoglitore di foto da sfogliare. Allo stesso tempo, denotano la volontà di dar motivo ad un nuovo inizio, consapevole di dove si è arrivati, a cosa si vuole aspirare, con la stessa audacia che ha reso meno amare le grandi difficoltà del passato. Non a caso, il sentore più comune che Sampha dice di trovare riascoltandosi è quello di un frammento delle sue emozioni, nascosto da qualche parte, custodito gelosamente da quando è stato scritto, pronto a riprendere vita.

La capacità che la sua musica trasmette è quella della sua cosciente volontà di porsi in maniera limpida, senza forzare la mano, senza indossare un travestimento, senza essere un ritratto opaco dei suoi trascorsi, ma aiutato dagli stessi a diventare migliore. Proteggerli per mezzo del suo pianoforte e della sua voce li ha resi unici e sinceri, creando un riflesso della sua stessa anima. L’umiltà, l’onestà di rimanere saldi nelle proprie vesti e di saper creare un racconto di queste dimensioni è probabilmente la più grande forza dell’artista che è in Sampha, ed è il motivo per cui sorprende istintivamente, ascoltandolo, anche come persona. Un esempio di cantautore moderno, artista completo, mosso dall’amore per la musica in forma pura. Neanche un passo indietro, ma uno sguardo sempre avanti, con la naturalezza di chi si è seduto su quello sgabello da piccolo, davanti al pianoforte comprato dal padre, e con la mente ci è rimasto per tutto questo tempo.

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