Interview: I Retrohandz, profeti jungle terror fuori patria

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Sono una delle realtà italiane che hanno raggiunto maggiore visibilità all’estero in tempi recenti. Si sono inseriti in pianta stabile alla Dim Mak di Steve Aoki (l’ultima uscita è stata il Retrohandz & Friends EP a settembre) e si son fatti apprezzare da diversi produttori fuori confine, in quanto primi attori della nuova scena jungle terror, ossia la nuova onda emersa negli ultimi anni dall’underground dance (chi volesse saperne di più, trova tutto in questo articolo pubblicato di recente). Loro sono i Retrohandz, duo milanese appartenente alla crew Doner Music, e questa è la prima intervista offerta da Aural Crave.

Cosa diciamo ai lettori se ci chiedono “chi sono i Retrohandz”?

Due baffuti mattacchioni nella vita privata, due persone serissime nel campo lavorativo.

L’ultima vostra uscita è Sifaka, in collaborazione con Moska. Prima di questa, il Retrohandz & Friends EP su Dim Mak, più varie release su Buygore e altre label. Sembra che ormai abbiate diversi amici all’estero, che supportano le vostre uscite. Come ci siete arrivati?

Tutto è partito dall’uscita del nostro EP Eurasia su Rimbu (label di Wiwek) a cui Max, il nostro manager, aveva inviato la nostra traccia Stomp That Shit.

La traccia piacque molto a Wiwek che iniziò a suonarla un po’ in giro per il mondo e decise di farla uscire su Rimbu, chiedendoci se avessimo altre tracce pronte per poter creare un EP. Proprio in quel periodo stavamo lavorando su Eurasia e This Is The Worldwide, che guarda caso erano sullo stesso stampo: entrambe furono approvate da Wiwek e Gregor salto e così nacque Eurasia EP, che tra l’altro è uno dei primi EP del genere Jungle Terror.

Da questa uscita iniziarono ad arrivare i primi supporter e così capimmo quale era la strada musicale da seguire. In più, con l’avanzare del tempo siamo diventati sempre più bravi a destreggiarci nel web, sopratutto su Twitter, da cui sono nate molte collaborazioni compresa quella con Dim Mak.

Jungle terror, appunto, forse il sound che vi identifica maggiormente. Cosa avete trovato in questo sound, perché lo avete scelto?

Producevamo questo genere da prima che gli venisse dato un nome. Ciò che caratterizza il nostro sound sono sub, casse giganti, percussioni e suoni organici, tutto ciò che abbiamo voluto inserire nel nostro primo album Primitive che era basato sul mondo dell’istinto e del selvaggio! I prodotti a seguire sono stati solo l’evoluzione di quello che avevamo tentato di fare con il disco e combaciavano perfettamente con questo nuovo movimento che si stava creando, così abbiamo deciso di utilizzare quel tipo di sound per dei banger da dancefloor, accantonando per un po’ la musicalità e le parti cantate… a quanto pare ha funzionato!

È un sound parecchio aggressivo, probabilmente non per tutti. Ha diversi elementi ereditati dall’EDM diffusasi negli ultimi anni, è vero, ma l’approccio è molto più selvaggio, con meno potenzialità popolari. Che tipo di successo vedete in futuro per questo genere e per il vostro sound?

Premessa, non amiamo essere etichettati come appartenenti a un genere ben preciso, essendo producer a 360° gradi, ma come ogni genere e sotto genere può diventare “popolare” aggiungendo dei vocal che lo rendano tale. Prendiamo un esempio mondiale tipo Skrillex, produce un genere di musica che mai e poi mai sarebbe potuto diventare “mainstream” se non avesse voci come quella di Ellie Goulding, Damian Marley etc… tutto dipende dalla composizione finale del pezzo, non dal genere!

Per quanto riguarda noi e il nostro sound, diciamo che stiamo testando roba nuova e che siamo ritornati a lavorare con molti cantanti.

Parentesi: ma è vero che l’EDM è sul punto di farsi da parte? Sta già facendo posto a qualcos’altro? Deep house, UK garage?

Se per EDM vogliamo intendere la “Big Room” in realtà non è stata sostituita da Deep House e UK garage, ma viaggiano in parallelo.

Qual è la vostra esperienza circa la collaborazione con grosse etichette internazionali e con label italiane? Ditemi che differenze avete notato e se c’è qualcosa che vorreste cambiasse in Italia a tal riguardo.

Il punto fondamentale è che in Italia non ci sono label, o se ci sono si possono contare sulle dita di una mano. Il problema principale dell’Italia è che non c’è collaborazione tra gli addetti ai lavori, ognuno fa il suo e in questo modo è impossibile che ci sia una crescita come in altri paesi!

Dicono che una delle strategie per emergere in contesti competitivi è quello di crearsi una nicchia e diventare i migliori in quella. È questo che è successo con voi, la jungle terror e la scena italiana?

Penso che la regola principale sia quella di farsi notare con un sound unico e che sia di qualità. Quando iniziamo a lavorare ad un pezzo la prima domanda che ci poniamo è: “cosa serve ai dj di tutto il mondo in questo momento, che ancora non posseggono?“. Da lì si parte alla ricerca di qualcosa di nuovo!

Penso che con noi sia successo questo, al di là dell’arrivo della Jungle Terror che in ogni caso ci ha aiutati a spiccare ulteriormente essendo stati tra i primi a sperimentarlo. Ovvio che se si cerca di simulare ciò che già va di moda diventa più difficile farsi notare.

Vi sentiti più apprezzati in Italia o all’estero?

Sicuramente all’estero! Lo deduciamo dal semplice fatto che il 90% dei nostri supporter sono americani, questo probabilmente per il genere di musica che produciamo che è più legato a ciò che viene ascoltato e ballato oltre oceano. Però cerchiamo di farci amare anche dall’Italia.

State valutando la possibilità di fare un album? O in altre parole: ritenete che il formato album sia adatto al vostro sound?

Al momento no. Ne abbiamo già prodotti diversi per altre persone più uno nostro, è molto difficoltoso stare dietro ai cantanti e tutte le procedure che si nascondo dietro un album. Ora ci stiamo concentrando sul produrre musica con molta naturalezza e spontaneità senza un concept ben preciso, poi in futuro chi lo sa!

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