Karen Blixen e l’arte del racconto

La scrittrice danese Karen Blixen è nota ai più come autrice del celebre adattamento cinematografico della sua opera omonima La mia Africa, con la regia di Sidney Pollack. Il film, con protagonisti Meryl Streep e Robert Redford, ha conquistato nel 1986 ben 7 premi Oscar, tra cui quello di miglior film, miglior regista e miglior sceneggiatura non originale.

In realtà, proprio il romanzo che l’ha fatta conoscere al mondo ha contribuito in parte ad oscurare il resto della sua opera letteraria. Il centro artistico della Blixen è infatti la novella, o meglio, il racconto. Dopotutto, anche La mia Africa, data la forte componente autobiografica, è difficilmente definibile come un’opera romanzesca; non fa eccezione neanche il suo ultimo romanzo, poco celebre, Ehrengard, che pure assomiglia più a una fiaba, o a una leggenda.

Il suo raro talento narrativo, ormai indiscusso, raccolse gli elogi, tra gli altri, anche di Ernest Hemingway, suo grande ammiratore. Così tanto da arrivare ad affermare, alla sua vittoria del premio Nobel per la letteratura nel 1954, che la stessa Blixen, anche lei tra i favoriti, dovesse meritare il prestigioso riconoscimento al suo posto.

La predilezione di Karen Blixen per la forma narrativa del racconto affonda le radici nella devozione alla tradizione orale dei cantastorie del passato. Nel 1914, dopo il matrimonio con un suo cugino, la coppia si trasferisce vicino Nairobi, per occuparsi della coltivazione di piantagioni di caffè. Vivendo a stretto contatto con le tribù africane del posto, ella vi ritrovò il fascino della consuetudine del racconto orale, ancora profondamente integra in quella popolazione lontana dall’alfabetizzazione. In effetti, la peculiarità della sua scrittura è paragonabile all’arguzia di Sherazade, capace di ammaliare con la sua arte del racconto. Tant’è che come ne Le mille e una notte, spesso l’inizio di una narrazione è solo la cornice per il proseguimento d’una altra. Basti pensare al vecchio arricchito che come ultimo desiderio prima di morire ha quello di fare in modo che si realizzi realmente una risaputa storiella tramandata da marinaio in marinaio, nel racconto La storia immortale; o ancora, la coincidenza tra realtà e teatro, tra vita e letteratura in La tempesta.

Pur viaggiando molto, la scrittrice non abbandona mai la Danimarca. Il suo luogo di nascita è infatti trasfigurato in molti suoi scritti, nei paesaggi quanto in certe caratteristiche tipiche dei suoi abitanti, spesso personaggi solitari, malinconici e dal grande spirito d’avventura.  

Quanto a una definizione di se stessa, la scrittrice rifiutò sempre quella di novellista, e perfino di scrittrice. Non si dedicò a studi letterari e iniziò a pubblicare molto tardi; fu rifiutata dagli editori e scrisse perfino sotto pseudonimo. Eppure la piacevolezza dell’immergersi in una sua storia, è dettata dall’urgenza che ella ha di scrivere, e di raccontare. Tanto da rivendicare, infine, il suo vero mestiere, quello della raccontastorie:

I am not a novelist, really not even a writer; I am a storyteller.”

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