René Magritte: la realtà come illusione, il significato delle sue opere

Per quanto Magritte sia considerato uno dei massimi esponenti del movimento artistico del Surrealismo, ne rappresenta allo stesso tempo un’evidente eccezione.

La ricerca di René Magritte è infatti volta al tentativo di scoprire quello che vi è oltre la realtà, in un’indagine molto simile a quella condotta da De Chirico con la sua Metafisica. Fu proprio il grande artista ferrarese a rappresentare un punto di riferimento per Magritte, che rimase estasiato nell’ammirazione del quadro Le chant d’amour del 1914. In effetti, se la Metafisica di De Chirico aveva l’accezione di “oltre il dato sensibile” e quindi oltre la realtà fisica delle cose, anche l’etimologia di Surrealismo si fa portatrice dello stesso concetto di fondo, pur con le dovute differenze. Il prefisso “sur” sta infatti per sopra; e dunque la ricerca della realtà sopra e oltre la stessa.

Nelle sue opere, spesso portatrici di fini quesiti intellettuali, l’intento di Magritte è quello di esplorare la realtà oltre le convenzioni del linguaggio, del pensiero umano e l’illusione di ciò che si mostra. Nel suo celebre quadro L’uso della parola I, che raffigura una pipa e reca sotto la scritta in corsivo “Questa non è una pipa”, egli intende solo in parte stupire l’osservatore. Il suo intento è infatti quello di condurlo alla riflessione del rapporto tra realtà e rappresentazione, e quello ben più inscindibile, in apparenza, tra linguaggio e rappresentazione.

L’uso della parola I, 1928-1929

Come affermò lo stesso artista: “Chi oserebbe pretendere che l’immagine di una pipa è una pipa? Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro? Nessuno. Quindi, non è una pipa”  Inoltre, l’equivoco è dato dalla coincidenza naturale che la convenzione del linguaggio ci impone tra rappresentazione e parola. Per rafforzare l’idea, egli pone in didascalia una scritta scolastica, esplicitando così la contraddizione in apparenza inspiegabile.

Anche nei dipinti La condizione umana I e La condizione umana II, egli affronta la frattura tra ciò che è reale e ciò che ne è soltanto la sua percezione, attraverso il tema del “quadro nel quadro”. Chi osserva, infatti, è portato a integrare simultaneamente sia la realtà del paesaggio oltre la finestra sia quella “ad incastro” del dipinto che la ritrae. In realtà, immaginando la tela scolorita, non esiste alcun paesaggio.

La condizione umana I (1933) e La condizione umana II (1933)

In La bella prigioniera, Magritte incentra come soggetto del suo “dipinto nel dipinto” il mare e il suo moto ondulato, proprio come se la sua rappresentazione fosse coincidente con la realtà attraverso un vetro.  Eppure, nella volontà di mostrarci ciò che è oltre la tela, allo stesso tempo nasconde, cela, rendendoci impossibile discernere dove finisce la rappresentazione e inizia la realtà.

La chiave dei campi (1936)

Il dipinto-vetro è riproposto anche ne La chiave dei campi, in cui il vetro che ci permette di vedere attraverso una finestra, frantumandosi, ha impresso nei suoi cocci lo stesso paesaggio. La cornice della finestra, tra le due tende rosse, rappresenta dunque la cornice di un quadro dipinto sul vetro? Oppure tutto è soltanto rappresentazione, che suggerisce ma non rimanda al reale?

Qual è dunque la chiave dei campi? Difficile rispondere. Dopotutto, come diceva Magritte “nella vita tutto è mistero”.

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