Il cigno nero, la metafora dell’imprevedibile

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L’immagine del cigno nero costituisce un’antica metafora che tende a spiegare quel particolare fenomeno, secondo cui un evento raro, imprevedibile ed inaspettato, sia con conseguenze positive che negative, possa avere un importante impatto sugli avvenimenti storici, rappresentando una sorpresa anche per l’osservatore più esperto in previsioni e nella predisposizione di statistiche. Proprio per la sua “imprevedibilità”, si dice che un evento denominato “cigno nero” possa essere razionalizzato soltanto “a posteriori”.

Se vogliamo fare riferimento alla teoria del filosofo e matematico libanese, Nassimi Nicholas Taleb, nel corso della storia conosciuta si sono susseguiti numerosi “cigni neri” e ciascuno di essi ha presentato, più o meno, le medesime dinamiche di sviluppo nel campo della scienza, come nel campo della tecnologia e del medesimo mercato finanziario, settore in cui attualmente l’espressione riscuote più successo.

Si poteva mai prevedere l’emergenza pandemica da covid-19 e come essa abbia avuto fortissime ripercussioni sull’economia e sui costumi dell’intera popolazione mondiale? Certamente no! Un “cigno nero”, infatti, è impossibile da prevedere e da classificare, seguendo gli schemi comunemente adoperati, appunto per la sua caratteristica principale che comporta una bassissima probabilità di verificarsi. A volte succede che quando arriva un cigno nero neanche viene subito percepito come tale nelle sua essenza, potendo dispiegare i suoi effetti nell’assoluta indifferenza generale. Pur trattandosi di fatti inaspettati, la natura umana guidata, comunque, dalla tendenza generale alla razionalizzazione degli eventi, non rinuncia alla ricerca di qualche spiegazione, cercandone di individuare le cause e gli aspetti principali. Si può dire, a tale proposito, che l’essere umano non si ferma nemmeno davanti all’imponderabile, cercando di formulare teorie in grado di dominare perfino l’incertezza.

Dal punto di vista etimologico, l’espressione “cigno nero” trae origine dalla frase del poeta latino Giovenale: “rara avis in terris nigroque simillima cygno”. Tale espressione era già utilizzata nel corso delle diatribe filosofiche del XVI secolo, quando ci si voleva riferire ad un fatto impossibile oppure altamente improbabile. In pratica, la massima latina si basa sulla presunzione (quasi un pregiudizio, per la verità), secondo cui tutti i cigni dovrebbero nascere bianchi, un’affermazione non provata in natura, ma che avrebbe avuto un senso fino alla scoperta del cigno nero australiano, il “cygnus atratus”. Il precitato esempio serve come sia il ragionamento induttivo che quello deduttivo siano limitati dalle proprie stesse premesse (nel caso specifico, l’assioma secondo cui tutti i cigni sarebbero bianchi). Pertanto, tutte le nostre elucubrazioni ed i nostri percorsi intellettuali sono profondamente influenzati dalla nostra esperienza e dalla corrispondente pre-comprensione culturale, potendo variare al mutare di essa.

Il già citato studioso libanese Taleb, nell’interessante saggio dal titolo “The black swan”, cerca di delineare alcune metodologie per contenere gli effetti negativi dei “cigni neri”, tentando anche di sfruttarne gli aspetti positivi. Secondo Taleb, in particolare nel mondo finanziario, i sistemi per predire determinati eventi non sono affatto adeguati, in quanto troppo dipendenti dal punto di vista dell’osservatore. Il filosofo libanese sottolinea come l’umanità sia cieca davanti alla mera casualità, soprattutto quando gli avvenimenti vivono deviazioni non immaginate, facendo leva su argomentazioni letterarie, speculative e matematiche, non rinunciando nemmeno a delinearne i fondamentali aspetti psicologici e sociali. Molto suggestiva è la definizione attribuita alla storia come “scatola nera”, quando Taleb procede ad evidenziare come sia difficile determinare le cause e gli effetti degli eventi, traendo spunto dalla descrizione del panorama storico-sociale del Medio Oriente, oggigiorno di straordinaria rilevanza geo-strategica. In sintesi, il metodo adoperato da Taleb è molto diverso da quello seguito dai precedenti autori che avevano affrontato la stessa tematica, in quanto cerca di dare al fenomeno del “cigno nero” particolari proprietà empiriche e statistiche, da egli stesso denominate “quarto quadrante”, dove la conoscenza appare incerta e le conseguenze appaiono davvero considerevoli, a causa di due limitazioni principali: quelle filosofiche, dovute alla frammentazione delle informazioni e quelle empiriche, derivanti dai pregiudizi della struttura del pensiero umano individuale. Il saggio di Taleb pone seri dubbi anche sull’autorità e sull’autorevolezza dei cosiddetti “esperti”, considerando le loro metodologie fallaci e molto spesso condizionate dai poteri politici e dall’opinione pubblica.  Queste considerazioni si presentano quali utili spunti di riflessione, soprattutto alla luce della recente pandemia da covid-19, durante la quale abbiamo assistito all’enunciazione di opinioni scientifiche molteplici, diversificate e contrastanti.

I riferimenti al “cigno nero” sono molto numerosi sia in ambito cinematografico che letterario. In particolare segnalo il famoso film americano uscito nel 2010 (in Italia nel 2011), Black swan, che valse l’Oscar all’attrice protagonista Natalie Portman. Tale pellicola include profondi significati psicologici, in particolare trattando dei pericoli della mancata integrazione della propria personalità con ogni aspetto dell’individualità, a causa di una protratta repressione delle aspirazioni del sé più profondo. Nel film, il bravo regista Darren Aronofsky utilizza le immagini contrastanti del cigno bianco e del cigno nero per evidenziare la personalità debole e sofferta della ballerina Nina, dotata di un talento straordinario nell’arte della danza, ma incapace di condurre la propria esistenza in maniera serena, arrivando perfino a compiere pericolosi atti autolesionistici. La trama ci presenta una madre autoritaria che spinge la figlia artista verso una forma di rigido perfezionismo, nascondendo in realtà una sorta di invidia nei confronti delle eccezionali capacità della ragazza. La stessa protagonista, invischiata nella propria sessualità repressa e preoccupata dal continuo paragone con una rivale che potrebbe sostituirla nella prestigiosa esibizione, entra in una spirale di schizofrenia, confondendo sogno e realtà, fino ad arrivare alla scena finale, dove l’ectoplasma del maestoso cigno nero preannuncia la sua ultima e mortale caduta. Ricorrendo ad un linguaggio espressivo di tipo freudiano, si può dire che il cigno nero, sotto il profilo psicologico, rappresenti una sorta di parabola discendente, in cui una personalità complessa e frammentata non riesce a comporre una versione del proprio “io” accettabile, diventando  inevitabilmente vittima di un “super-io” che l’ha imprigionata e di un “es” che, riemergendo a fatica, non può fare a meno di cancellare e di distruggere.

Come fare allora ad affrontare i “cigni neri” nei quali potremmo imbatterci durante la nostra esistenza? Innanzitutto è forse necessario liberare la nostra mente dai vacui pregiudizi, modificando in maniera radicale il nostro modo di pensare. Bisogna anche considerare che i “cigni neri”, pur essendo delle anomalie, sono destinati a ripetersi nel corso della storia e la loro imprevedibilità deve essere, in qualche modo, messa in conto. Questi tipi di eventi, infatti, sono imponderabili per natura, ma è altamente probabile che qualcosa di simile sia già avvenuto in passato, lasciando evidenti tracce nell’immaginario collettivo. Tornando alla grave crisi legata al “coronavirus”, che risponde “in toto” alle caratteristiche del “cigno nero”, è pur vero che non è la prima volta che l’umanità ha dovuto affrontare una pandemia sanitaria globale. La stessa cosa si può dire del conflitto tra Russia e Ucraina che dura ormai da più di due anni.

Analisi più precise, unitamente ad una prevenzione costante ed intelligente, potranno aiutare l’essere umano ad affrontare i “cigni neri” del futuro, di certo non potendone eliminare le conseguenze negative, ma predisponendo utili misure per limitarne il più possibile gli effetti. Ed ecco che l’imponderabile può diventare prevedibile.