Hackney Diamonds: il gradito ritorno dei Rolling Stones

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Se Dean Moriarty di Sulla Strada di Jack Kerouac fosse vivo, riguardo l’ultimo album dei Rolling Stones -“Hackney Diamonds”-il primo album d’inediti dopo un’assenza di diciotto anni: “A Bigger Bang”- avrebbe detto che è un disco da “andare”.  Ed in effetti il 24esimo album in studio dei Glimmer Twins (Jagger & Richards) e Ronnie Wood – i tre membri ufficiali degli Stones- suona fresco, guarda al presente e quanto basta al passato. “1,2,3” scandisce Jagger prima di intonare “Angry” che con il riff primitivo di Keith “Keef” Richards è già un Instant classic, ma senza suonare per nulla datato. Certo, sono gli Stones, ma la cura Andrew Watt, che di recente ha rivitalizzato settuagenari del calibro di Ozzy Osbourne ed Iggy Pop, ha dato i suoi frutti. In Hackney Diamonds c’è un gruppo vitale che suona coeso, entusiasta con tutti i suoi tratti distintivi: i dirty blues, come la conclusiva “Rolling Stone Blues”, la gioiosa Get Close con quel sapore funky soul che ci riporta dalle parti di “Tattoo You”, – pregevole il sax di James King che manda “un bacio” a Sonny Rollins e Bobby Keys- il rock al fulmicotone di Bite My  Head Off con il basso distorto del fresco ottuagenario Sir Paul McCartney “C’mon Paul let’s hear something” dice Mick. 

La vibra country di “Dreamy Skies”, con l’armonica di Mick in evidenza però, è solo un preludio al dittico seguente che vede alla batteria il compianto Charlie Watts. “Mess It Up” ci fa muovere come Mick Jagger ma nel dubbio facciamolo fare a lui. Probabilmente è uno dei migliori pezzi del lotto e sicuramente uno dei più radiofonici grazie a quel mood -con le dovute differenze- Miss You 2.0 ed una ritmica molto alla Nile Rodgers. In Live By The Sword, abbiamo la sezione ritmica degli Stones con Bill Wyman e Watts sugli scudi, per una canzone il cui piano honky tonky di Sir Elton John ci da una bella dose d’adrenalina. Ma non è ancora finita.  Prima però voglio menzionare il grande contributo dato da Steve Jordan alla batteria, il valore aggiunto del disco grazie al suo drumming impeccabile, la sua profondità sonora e il suo essersi messo al servizio dell’amico Keith (con cui suona dal 1988, anno di “Talk is Cheap” l’esordio di Keef) e delle restanti pietre rotolanti.

The Rolling Stones - Angry (Official Music Video)

Per il gran finale gli Stones seguono quel fiume a cui devono tutto, il fiume del Blues che da quel Crossroad di Clarksdale è giunto fino a quei ragazzi che il 17 ottobre 1961 si incontrarono al binario 2 della stazione di Dartford: Keith & Mick. Sweet Sound of Heaven. Come altro definire questo brano che già dal sound del piano di Stevie Wonder ci catapulta nell’America del Blues, del gospel, già, quel gospel che con il suo botta e risposta ha interpellato Lady Gaga che ha risposto con una prova eccellente e un duetto con Mick stupendo. Un brano che a dispetto dei suoi sette minuti vorremmo che non finisse mai. Forse il loro miglior brano da almeno trent’anni, quel colpo di coda che non ci aspettavamo, eppure eccolo qua. Rolling Stone Blues è la versione della quasi omonima canzone di Muddy Waters che ispirò Brian Jones nella scelta del gruppo. Puro blues con Jagger all’armonica che evoca i diavoli in blue ed una prestazione vocale la cui registrazione ci rimanda ai tempi della Chess Records. Detto questo, quale migliore occasione per chiudere la carriera con questo lavoro che è semplicemente onesto e stonesiano al midollo? Beh, se i risultati sono questi lasciamoli suonare, ché non è solo It’s Only Rock and Roll, è attitudine, è vita.

– “Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati.
– Dove andiamo?
– Non lo so, ma dobbiamo andare”.

Jack Kerouac – “Sulla Strada”