L’Amazzonia, la più grande foresta pluviale al mondo

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Come è ben noto, l’Amazzonia comprende un’area geografica vastissima dell’America meridionale, che si estende su una superficie di circa sei milioni di chilometri quadrati in ben nove Paesi, anche se la maggior parte, più o meno il 60% si trova in Brasile (gli altri sono: Perù, Colombia, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Guyana Francese e Suriname). L’Amazzonia è costituita in prevalenza da un’enorme foresta pluviale, importantissima per l’ecosistema dell’intero globo

Gli studiosi di geologia sono abbastanza concordi nell’affermare che la foresta amazzonica si sia formata durante l’Eocene, quando le temperature della Terra iniziarono ad abbassarsi, in concomitanza alla definitiva configurazione, in linea generale, dell’Oceano Atlantico, che consentì il crearsi di un clima caldo-umido nell’area geografica trattata. Dopo l’epocale estinzione dei dinosauri nel Cretaceo, il clima, divenuto ancora più umido, avrebbe favorito l’avanzare della foresta tropicale su gran parte del continente sudamericano. Anche durante l’ultima era glaciale, pur ritirandosi verso l’interno, la foresta amazzonica continuò a prosperare, assistendo all’evoluzione di migliaia di specie animali e vegetali. Molto interessanti si sono rivelati i reperti relativi ad un’epoca geologicamente recente: gli scavi archeologici condotti presso la grotta di Pedra Pintada hanno  evidenziato insediamenti umani che risalivano più o meno al 12.500 a.C. A partire, poi, dal 1250 a.C., sono stati individuati insediamenti umani già in grado di apportare modifiche all’insieme del manto forestale, che alcuni hanno voluto considerare come indizi di un’evoluta civiltà scomparsa. Per molto tempo, è prevalsa l’opinione che l’Amazzonia fosse stata, in un  lontano passato, scarsamente popolata, a causa del suolo non adatto all’agricoltura. Le scoperte archeologiche più recenti, invece, hanno messo in luce tracce capaci di indicare una presenza umana decisamente superiore alle aspettative.

Il primo esploratore che avrebbe seguito il percorso del Rio delle Amazzoni, almeno secondo la storiografia tradizionale, fu lo spagnolo Francisco de Orellana. A riportare le cronache del viaggio fu il frate domenicano Gaspar de Carvajal che, allo scopo di legittimare qualsiasi tipo di azione nell’area, enfatizzò la descrizione delle “usanze barbare” delle popolazioni indigene, pur dovendone riconoscere una larga diffusione. Il geografo brasiliano Alceu Ranzi fu il primo a scoprire, almeno ufficialmente, alcuni “geoglifi” risalenti a civiltà precolombiane fiorite nei primi secoli dell’era cristiana. Nei primi anni del ventunesimo secolo, alcuni ricercatori dell’Università della Florida hanno individuato i resti di grandi insediamenti nel bel mezzo della foresta amazzonica, nella zona abitata dalla comunità indigena conosciuta con il nome di Xingu. In maniera quasi sorprendente sono emerse rovine di reti di strade, di ponti e di grande piazze, con la conseguenza di dover riscrivere l’antica storia di quella porzione di mondo.

E’ lecito chiedersi, a questo punto,  a quale ragione etimologica sia legata la denominazione, così evocativa, di “Amazzonia”. Nella relazione redatta dal già citato frate Gaspar de Carvajal nel mese di aprile del 1542, si racconta che le truppe spagnole dovettero affrontare bellicose tribù autoctone, nei cui schieramenti erano presenti anche le donne. A tale proposito, Francisco de Orellana, per questa consuetudine considerata così singolare nel suo tempo, chiamò l’impetuoso fiume della foresta Rio delle Amazzoni, in quanto le donne guerriere rievocavano le figure di classica memoria delle antiche Amazzoni, collocate tra Asia ed Africa, nelle narrazioni di Erodoto e di Diodoro Siculo.

Come abbiamo accennato in apertura, l’Amazzonia è considerata di vitale importanza per il complessivo eco-sistema del nostro pianeta. Non a caso le si attribuisce il prestigioso titolo di “polmone verde della terra”. E’ stato calcolato che la foresta pluviale amazzonica costituisca più della metà delle foreste tropicali ancora presenti, ospitando una percentuale di biodiversità più elevata di qualsiasi altra estensione vegetale tropicale. Ben due aree della foresta amazzonica, il parco nazionale di Jaù e la Serranìa de Chiribirquete, entrambe in territorio brasiliano, sono state dichiarate “patrimonio dell’umanità” da parte dell’UNESCO. A ciò si aggiunge, il riconoscimento del primo posto tra le “nuove sette meraviglie del mondo naturale”, proclamate l’11 novembre del 2011 (le altre sei sono nell’ordine: le cascate dell’Iguazù- Argentina, il monte della Mensola-Repubblica sudafricana, la baia di Ha long-Vietnam, l’isola di Jejudo-Corea del sud, l’isola di Komodo-Indonesia, il fiume sotterraneo di Puerto Princesa-Filippine).

Ogni anno, nella foresta amazzonica, vengono scoperte numerose nuove specie di esseri viventi, tanto da far nascere la credenza della possibile esistenza di creature mitologiche. Soltanto tra il 2014 ed il 2015, gli scienziati hanno contato 381 nuove specie di viventi, tra piante, pesci, mammiferi e rettili. Nello stesso tempo, altrettanto veloce è la scoperta di specie estinte o in via di estinzione, a causa dell’azione distruttiva di disboscamento portata avanti per tanti anni dall’uomo. Più di un quinto della superficie della foresta risulta già completamente distrutto o irrimediabilmente compromesso, mettendo in serio pericolo la sopravvivenza dell’intero ecosistema.  

La deforestazione incontrollata ha avuto inizio negli anni Quaranta del secolo scorso, quando è stata cavalcata l’esigenza dello sfruttamento del legname per favorire l’esportazione, nonché per la lavorazione dei giacimenti minerari e per adattare all’agricoltura territori sempre più vasti, a causa dell’aumento della popolazione. Da tempo gli ambientalisti hanno denunciato le catastrofiche conseguenze a cui potrebbe portare un ulteriore aumento della deforestazione amazzonica.  L’Amazzonia è, infatti, considerata uno dei principali “polmoni verdi” della terra, non per motivazioni di carattere figurativo e poetico, ma per ragioni di natura prettamente scientifica. Se si tiene in debito conto la sua elevatissima densità di vegetazione e la posizione geografica equatoriale, l’Amazzonia consente un enorme irraggiamento del sole, consumando, pertanto, notevolissime quantità di anidride carbonica e producendo altrettante considerevoli quantità di ossigeno. La deforestazione diminuisce questa importante contropartita compensativa, determinando marcate implicazioni nell’effetto serra globale e costituendo uno degli indicatori più significativi per il riscaldamento del pianeta. Alcune contromisure sono state, per fortuna, già attuate: dall’inizio del ventunesimo secolo il processo di deforestazione è diminuito di circa il 70%, grazie ad un programma graduale di riduzione dello sfruttamento delle risorse. Un altro grave problema, tuttavia, è rappresentato dai frequentissimi incendi ai quali è soggetta l’intera area amazzonica. L’Istituto nazionale di ricerche spaziali ha rilevato, negli ultimi anni, un sensibile incremento del numero degli incendi nella foresta pluviale dell’Amazzonia, dovuti sia ad irresponsabili interventi dolosi che all’innalzamento delle temperature.

Le risorse dell’Amazzonia, con il passar del tempo, hanno subìto diversi cambiamenti. In aree sempre più estese si praticano le attività agricole, l’allevamento, l’industria mineraria e l’estrazione di idrocarburi, anche se i maggiori fattori di sopravvivenza per le comunità indigene rimangono il diretto sfruttamento della foresta e dei corsi d’acqua limitrofi.

Tra le scoperte recenti più interessanti avvenute nel cuore della foresta amazzonica, una menzione particolare merita quella che riguarda l’insediamento individuato nella regione boliviana del Llanos de Mojos che si estende per circa 200 chilometri quadrati. Gli archeologi hanno individuato i resti di una vera e propria città, comprendente piramidi, bastioni, parchi, canali, strade rialzate ed edifici ordinati in un modo tale da far supporre una “visione cosmologica” da parte della civiltà che abitava il luogo. L’edificazione della città è stata attribuita alla popolazione Casarabe, che prosperò nell’area amazzonica più o meno dal quinto al quindicesimo secolo dell’era cristiana. Il gruppo scientifico di esplorazione, guidato da Heiko Prumers, dell’Istituto di Archeologia di Berlino, ha adoperato una sofisticata tecnica di rilievo da remoto, conosciuta con l’acronimo LIDAR (Light Detection and Ranging), che ha consentito di far emergere il sito nella sua interezza. I nuovi dati hanno evidenziato una intricata rete di insediamenti, collegati anche da strade sopraelevate, in cui l’acqua veniva gestita mediante un avveniristico sistema di canali e di serbatoi. Tra questi, i due insediamenti più grandi, Cotoca  e Landivar, sono risultati muniti di una struttura di difesa a forma concentrica, composta da mura e da fossati, nonché arricchiti da piramidi e da altri edifici di carattere cerimoniale ed alti anche venti metri.   Gli edifici, inoltre, sono disposti, in maniera uniforme, in direzione nord/nord-ovest, così come la maggior parte dei siti di sepoltura delle comunità della cultura Casarabe.  Ma l’Amazzonia nasconde altri numerosi misteri, come le 450 strutture,  rilevate grazie al sorvolo di droni, nella regione brasiliana di Acre. Al momento, ancora non si conosce con sicurezza quale sia stato l’uso di tali strutture, che appaiono per lo più composte da fossati  e da terrapieni di forma circolare, situate su un territorio di circa 13.000 chilometri quadrati. L’ipotesi più accreditata è che si trattasse di luoghi dove si svolgevano rituali religiosi, con funzione di aggregazione tra comunità che vivevano anche a molti chilometri di distanza.

Per la particolarità del suo territorio, alla foresta amazzonica sono legati numerosi miti e leggende, di cui alcuni affondano radici molto antiche, mentre altri sono nati dopo la conquista da parte degli Europei. El Tunchi, ad esempio, è uno spirito malvagio che infesterebbe la giungla, annunciando la sua presenza con un suono sibilante ed inquietante. Alcune tribù indigene credono che lo spirito si nutra  di tutte le anime che hanno trovato la morte nella foresta pluviale, rappresentando una macabra sintesi di terrore e di superstizione ancestrale. El Tunchi mostrerebbe la propria ostilità a coloro che non rispettano l’ambiente naturale, ergendosi quasi a custode dell’integrità dell’ecosistema tanto aggredito dall’uomo. Altrettanto inquietante è la figura di El lobizon, una creatura molto simile al lupo mannaro, descritto generalmente come metà uomo e metà lupo, con occhi rossi e denti affilatissimi come rasoi. A differenza delle narrazioni sui licantropi diffuse in Europa e nel nord America, non si diventerebbe  lobizon, dopo il classico morso da una creatura simile, ma il destino bestiale sarebbe riservato al settimo figlio consecutivo nella sua famiglia. Nei racconti amazzonici, troviamo poi El Chullachaqui, un contadino nano, guardiano della giungla, che può assumere molte forme, attirando i malcapitati nel cuore della foresta, con l’intento molto spesso di farli perdere. Il nano malefico è raffigurato con una zampa di maiale, o con lo zoccolo di capra, lasciando tracce consapevoli con i suoi piccoli piedi, quasi a prendersi gioco degli esseri umani.     

La leggenda del Bufeo colorado deriva, invece, dalla presenza, nella foresta amazzonica, del delfino rosa di fiume, un animale benefico e di grande fascino.  Il Bufeo avrebbe l’abilità di trasformarsi in un pescatore attraente, in grado di ammaliare le donne per invitarle a fare sesso con lui. La leggenda vuole che il rapporto con la partner occasionale potrebbe provocare il concepimento di un delfino rosa.  Non mancano gli incantesimi d’amore, che gli indigeni dell’Amazzonia  lanciano, adoperando le minuscole ossa del tanrrilla, un piccolo uccello che vive nel nord del Brasile. Gli stregoni credono che, alla causa del sortilegio, sia utile l’osso della gamba destra dell’uccello, da utilizzare come cannocchiale per avvistare in segreto la persona che si desidera ardentemente. Davvero significativo è anche il mito del piracucu, un pesce d’acqua dolce di notevoli dimensioni che può arrivare a tre metri di lunghezza e a pesare circa 485 libbre. Le sue bistecche di pesce sono considerate molto prelibate, mentre le sue scaglie, simili a pezzi di armatura, sono spesso esibite come oggetti da collezione.  Ma vi è di più: i nativi dell’Amazzonia credono che il pesce gigante fosse una volta un guerriero umano della tribù degli Uaias , insediata nell’area geografica sud-orientale, punito dagli dèi per la propria crudeltà e superbia. Anche ad alcuni alberi è riconosciuta la dignità di difensori della giungla. E’ il caso della lupuna, il cosiddetto “albero stregone”, ricco di proprietà magiche, capace di punire coloro che oltraggiano la foresta, facendo loro gonfiare lo stomaco, fino a provocarne la morte mediante la rottura degli intestini. Si dice, comunque, che la stessa linfa dell’albero, se combinata con altre sostanze, può essere adoperata come efficace e pericoloso veleno. Chi si avventura nella foresta, infine, deve stare ben attento a non incontrare il Mapinguari,  una creatura molto simile allo Yeti presente nelle leggende himalayane, un imponente animale bipede, con un grande occhio singolo alla Polifemo, dalla folta pelliccia impenetrabile che diffonde, intorno a sé, odore di morte e di aglio.

Il Rio delle Amazzoni rivaleggia con il Nilo per il titolo di fiume più a lungo al mondo, anche se senza dubbio rappresenta il corso d’acqua con la maggior portata idrica in assoluto. Il gigantesco fiume, che attraversa gran parte del sud America, per una lunghezza di circa 6500 km, nasce nelle Ande Peruviane, fino a sfociare nell’Oceano Atlantico, potendo contare su almeno 12 grandi affluenti, in aggiunta a gregari di minore importanza. Gli studiosi hanno rilevato che il Rio delle Amazzoni ha una portata media di 175.000 metri cubi d’acqua al secondo. Una delle sue più particolari caratteristiche è rappresentata dalle cosiddette “isole flottanti”, che sono larghe anche diverse centinaia di metri, formate per lo più da alberi e da vegetazione acquatica. L’assenza totale di ponti si spiega con la notevole larghezza del suo corso che, in alcuni punti, può raggiungere i 50 chilometri, mentre alla foce atlantica arriva perfino a superare i 100 chilometri. Il Rio delle Amazzoni, ancora oggi, si impone come fondamentale arteria di traffico, soprattutto per quanto riguarda il trasporto delle merci. E’, inoltre, navigabile con navi oceaniche, che possono raggiungere anche la città di Manaus. Perfino alcuni dei grandi affluenti, come il Rio Tapajos o il Rio Nregro  sono navigabili con navi da crociere. Negli ultimi decenni, l’Amazzonia è diventata un’ambita mèta turistica, desiderata non solo da coloro che subiscono il fascino dell’avventura e dell’imprevisto. I turisti, di solito, scelgono come base di partenza una delle due città più grandi dell’area, la già citata Manaus o la coloniale Belem. Non mancano quelli che privilegiano la città di Santarèm, che si trova più o meno a metà strada tra le due metropoli.  La via di comunicazione preferita, come si può intuire dalla precedente breve descrizione sul Rio delle Amazzoni, è quella fluviale, anche se le distanze possono essere molto proibitive. Le visite della giungla, anche se negli ultimi anni sono aumentate sensibilmente per numero e per varietà, sono riservate, per ovvi motivi, a gruppi ristretti e ben equipaggiati. Le difficoltà sono considerate superiori rispetto all’organizzazione di un safari in Africa. Un viaggio nella lussureggiante foresta amazzonica, un territorio così selvaggio e per certi versi ancora inesplorato, rimane di certo un’idea allettante ed un grande sogno da realizzare.