René Magritte, La Chiaroveggenza e la fissazione psicologica

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René François Ghislain Magritte (Lessines, 21 novembre 1898 – Bruxelles, 15 agosto 1967) è stato un pittore belga. Insieme a Paul Delvaux è considerato il maggior pittore del surrealismo in Belgio. Dopo iniziali vicinanze al cubismo e al futurismo, il suo stile s’incentrò su una tecnica raffigurativa accuratissima basata sul trompe l’oeil, alla pari di Salvador Dalí e di Delvaux, ma senza il ricorso alla simbologia di tipo paranoide del primo o di tipo erotico-anticheggiante del secondo.

Ma René Magritte, detto anche le saboteur tranquille, cioè il disturbatore silenzioso, per la sua capacità d’insinuare dubbi sul reale attraverso la rappresentazione del reale stesso, non avvicina il reale per interpretarlo, né per ritrarlo, ma per mostrarne il mistero indefinibile. Intenzione del suo lavoro è alludere al tutto come mistero e non definirlo.

Ed è il caso dell’uovo del dipinto La Chiaroveggenza eseguito nel 1936, un autoritratto. Un quadro dentro un quadro, quasi a spingere l’immaginazione dell’osservatore a intravedervi successivi quadri di un oltre. Ma Magritte non è un chiaroveggente tuttavia immagina di esserlo attraverso il rapporto dell’uovo con l’uccello che sta dipingendo sulla tavolozza. Una chiaroveggenza nei due sensi, l’uovo da cui nasce l’uccello e l’uccello che genera l’uovo. Questo al punto di trasformare il mistero riposto nella pretesa chiaroveggenza nel “movimento”, nell'”azione” e smuovere la staticità dell’immagine apparentemente immobile. Di qui, ecco che il mistero rivela in tal modo l’essenza della vita contro la morte che è statiticità.

Ma c’è molto di più nel dipinto di Renè Magritte che rimarca il riscontrato “movimento”, tale da mettere in relazione gli oggetti che vi sono rappresentati, oltre a quello principale uovo-uccello. Apparentemente sono staccati fra loro, come il pennello e l’uovo, invece è nella meccanica invisibile della chiaroveggenza che si rivela in modo straordinario. Persino l’interiore del dipinto, cioè tutto ciò che vi è rappresentato con l’esteriore, di qui la prova di infiniti dipinti oltre il “quadro dentro in quadro” intravisto in precedenza.

L’idea del “movimento” col biliardo matematico

René Magritte, La Chiaroveggenza, 1936. Biliardo matematico. I due casi: A è la punta della stecca e B la bilia; B è la punta della stecca e A la bilia.In  entrambi i casi la bilia va in buca.

E qui si entra nel gioco di una geometria che è posta in atto col noto gioco del biliardo, e nel nostro caso diventa matematico con la fig. 2. E tutto ha inizio da quell’andar-divieni nella traiettoria dell’attento occhio di Magritte sull’uovo in magica sintonia col pennello nella sua mano destra. Non si sa quale sia il pallino da mettere in buca, se l’uovo o l’occhio (immaginandone uno solo di Magritte, come fanno i cacciatori che lo chiudono). Di qui l’idea del “movimento”, dell'”azione” se si correla al gioco del biliardo.

Ed ecco la prova della fuoruscita della bilia dalle due buche per dimostrare l’idea di successivi quadri di un “oltre” immaginario.

Ed è il campo di azione della chiaroveggenza in dimensioni ultratemporali, cioè  che è fuori del tempo, che è puro presente, senza passato né futuro. Ora con la fig. 3, lo stesso concetto del biliardo matematico, si applica al pennello in mano a Renè Magritte con la sua direzione, i cui capi sono la sua mano e la dipintura del pennelo sulla tavolozza. Stesso ragionamente fatto per il caso precedente per concepire i due casi della bilia che finisce in due buche.

René Magritte, La Chiaroveggenza, 1936. Biliardo matematico. I due casi: C è la punta della stecca e D la bilia; D è la punta della stecca e C la bilia. In entrambi i casi la bilia va in buca.

La sincronicità junghiana nel rapporto uovo-occhio di Magritte e mano di Magritte-pennello

A questo punto sorge il dilemma della unicità del rapporto uovo-occhio di Magritte con il rapporto mano di Magritte-pennello, poichè sono legati l’uno all’altro. Tuttavia materialmente non lo sono, nondimento è come comunicassero l’uno con l’altro da far supporre una perfetta sincronicità di movimenti. Ma è così per tutto il resto degli elementi del quadro in studio come se fossero persone in una stanza, la mano sinistra di Magritte con la tavolozza, il tavolo dell’uovo e così via.

Tutto ciò si può spiegare col concetto della «sincronicità» introdotto dallo psicoanalista Carl Gustav Jung nel 1950, definito come «un principio di nessi acausali» che consiste in un legame tra due eventi che avvengono in contemporanea, connessi tra loro. Ma non in maniera causale, cioè non in modo tale che l’uno influisca materialmente sull’altro; essi apparterrebbero piuttosto a un medesimo contesto o contenuto significativo, come due orologi che siano stati sincronizzati su una stessa ora.

La parola sincronicità deriva dalle radici greche syn (“con”, che segna l’idea di riunione) e khronos (“tempo”): riunione nel tempo, simultaneità.

Jung in particolare definisce la sincronicità in questo modo:

«Gli eventi sincronici si basano sulla simultaneità di due diversi stati mentali

«Ecco quindi il concetto generale di sincronicità nel senso speciale di coincidenza temporale di due o più eventi senza nesso di causalità tra di loro e con lo stesso o simile significato. Il termine si oppone al ‘sincronismo’, che denota la semplice simultaneità di due eventi. La sincronicità significa quindi anzitutto la simultaneità di un certo stato psichico con uno o più eventi collaterali significanti in relazione allo stato personale del momento, e – eventualmente – viceversa».

L’intuizione che la vita di ciascuno di noi sia costellata di eventi che hanno un profondo collegamento con il nostro inconscio, venne a Jung a seguito di un episodio “illuminante”.

Una sua paziente gli stava raccontando un sogno, nel quale era presente uno scarabeo dorato. Proprio durante la seduta, Jung sentì “qualcosa” sbattere contro il vetro della finestra attirando la sua attenzione. E quale sorpresa quando, andando a controllare, vide che si trattava nientemeno che di una cetonia, un insetto simile allo scarabeo di un bel verde dorato!

René Magritte, le saboteur tranquille. La fissazione psicologica

Ma ci si è dimenticati della fissazione psicologica di René Magritte, la saboteur tranquille, perché con questa sua opera, La chiaroveggenza, egli la mette in opera in modo stupendo.

La fissazione psicologica: cos’è?

Che sia un pensiero o un gesto ricorrente, la fissazione psicologica rappresenta un ostacolo per il pieno sviluppo e la realizzazione di sé.

Quando si parla di fissazione psicologica, si parla di quello che può essere definito un pensiero ossessivo, una serie di pensieri ricorrenti oppure o, più in generale, una serie di gesti che vengono messi in atto dal soggetto, senza che questi se ne renda conto. Ma nel nostro caso Magritte non si pone la questione psicologica da risolvere che è un problena da psicologo. L’artista l’ha innesca come inciampo per chi si è disposto come me a sviluppare una serie di considerazioni che mi hanno portato a tirare in ballo uno psicanalista, Carl Gustav Jung, con la sua Sincronicità: È stato inutile e dispersivo?

In verità non lo è stato perché proprio per merito del principio junghiano della sincronicità c’è stato il contatto di due psicologhi per richiamare la fissazione psicologica cui è stato preso l’osservatore del quadro di Renè Magritte che a causa di ciò non poteva vedere tutto lo scenario dell’uovo e dell’uccello. Non poteva assolutamente ed è magistrale come ci sia riuscito l’artista del sabotaggio.

Tutto è predisposto attraverso la configurazione della tavolozza su cui è dipinto l’uccello. Se la si guarda bene ci si rende conto che è a forma trapezia, cioè i due lati quasi in verticale sono paralleli e il lato superiore è ortogonale a questi, mentre l’altro inferiore è inclinato verso sinistra.

Cosa comporta questa forma? Una sola condizione della visione dell’osservatore, cioè che il suo sguardo sia diretto alla linea superiore della tavolozza, cosa che comporta la non visione della parte inferiore, cioè dello scenario dell’uccello. Di qui la causa della sua fissazione indefinita.

Capito l’inganno? Ma c’è dell’oltre che si ravvisa nell’opera in osservazione che è lo scopo surreale del quadro di Magritte, cioè quello di obbligare l’inconscio a impantanarsi nella dimensione offerta dalla rappresentazione che lo fissa come in croce a vedere una certa linea, il limite superiore della tavolozza. Una fissazione perpetua che lo fa impazzire, come dire “chiodo scaccia chiodo”, liberando l’osservatore da un parassita che certamente alberga in lui. Ed ecco che la vera chiaroveggenza si delinea felicemente senza gli ostacoli del demonio volto a deviarlo dalla verità.