Nove omicidi irrisolti: la storia del Mostro di Modena

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Assassini seriali. In Italia abbiamo avuto alcuni esempi di questo fenomeno e sappiamo bene come abbia segnato la cronaca del nostro paese. Alcuni dei soggetti che si sono resi protagonisti di queste terribili azioni sono stati identificati e condannati, come Donato Bilancia e Maurizio Minghella. Su altri invece permane ancora un alone di mistero, come nei casi del Mostro di Firenze e del Mostro di Udine.

Esiste anche un’altra vicenda che ha attraversato buona parte degli anni ‘80 e ‘90 sullo sfondo della zona Modenese. La storia di nove donne uccise che non hanno mai trovato giustizia. Una serie di delitti su cui forse è possibile intravedere l’ombra di un serial killer.

Un incubo lungo 12 anni

15 Novembre 1983. Vicino al quartiere “Sacca” un netturbino fa una scoperta agghiacciante. Accovacciato contro un muro giace il corpo di una donna. Si tratta di Filomena Gnasso, 43 anni. È stata uccisa da tre coltellate, sferrate probabilmente con la mano sinistra. Al momento del ritrovamento del cadavere i suoi documenti sembrano essere spariti. Filomena aveva un passato da prostituta e da qualche mese aveva aperto una lavanderia insieme al marito. Aveva ricominciato a prostituirsi da tre giorni quando incontrò la morte. Gli inquirenti tentarono di risalire al colpevole ma l’inchiesta si arenò e sulla vicenda si stese una coltre di nebbia.

21 Agosto 1985. A Baggiovara, a pochi chilometri da Modena, viene rinvenuto il cadavere di una giovane donna. Si trova sul terreno nelle vicinanze di una fornace in disuso, sotto a una siepe. È in stato avanzato di decomposizione, sul luogo non si trova nessuna borsa e nessun documento che possa far accertare la sua identità. Accanto al corpo sono presenti alcuni indumenti e una siringa rotta. Viene disposta l’autopsia, grazie alla quale si scopre che la ragazza ha subito uno strangolamento ed è stata uccisa con una pietra che le è stata abbattuta sulla testa.

Dopo due giorni di indagini la vittima viene identificata: si chiama Giovanna Marchetti, aveva compiuto 18 anni da poco più di un mese. Volto aggraziato, capelli e occhi scuri. Giovanna aveva una dipendenza dall’eroina e per procurarsi i soldi necessari per le dosi si prostituiva.

L’indagine viene avviata, dopo alcuni accertamenti si arriva all’arresto di un agricoltore della zona di Reggio Emilia. L’uomo trascorre cinque mesi in carcere, fino a quando da verifiche più approfondite emerge la sua totale estraneità al delitto e viene liberato. Gli agenti si concentrano a questo punto sul fidanzato della vittima, ma anche su di lui non c’è nessun elemento di colpevolezza. Dopo un anno l’inchiesta viene archiviata.

12 Settembre 1987. Nelle vicinanze di una cava situata a San Damaso, viene scoperto il corpo senza vita di una ragazza. Si chiama Donatella Guerra, 22 anni. Ha la maglietta strappata e i pantaloni abbassati. Due coltellate, una al cuore e una alla gola che hanno posto fine alla sua esistenza. La direzione dei colpi fa presupporre che l’assassino sia mancino, come nel caso di Filomena Gnasso. Le analisi sul luogo evidenziano la presenza di tracce di pneumatici riconducibili a una Fiat 131 e un’impronta di scarpa.

Anche Donatella si prostituiva ed era tossicodipendente. Le indagini si concludono in un nulla di fatto e pure questa morte resta senza un colpevole.

Dopo nemmeno due mesi, il 1 Novembre 1987 viene uccisa un’altra ragazza. Marina Balboni, 21 anni. Ragazza dall’aspetto pulito, era uscita di casa la sera prima alle 20:30 e non vi aveva più fatto ritorno. Marina, come le due precedenti vittime, aveva una dipendenza dalla droga che la costringeva a vendere il suo corpo. Il suo cadavere viene rinvenuto in un fossato, era stata strozzata con la sua stessa sciarpa.

La Polizia avvia le indagini. Attraverso gli scritti del suo diario e le dichiarazioni dei genitori emerge qualcosa di importante. Sembra che la vittima, per la sera della scomparsa, avesse in programma un appuntamento fissato a Modena a cui non poteva assolutamente rinunciare. Forse era questa la traccia per arrivare all’assassino? Purtroppo non ci fu modo di saperlo e alla fine anche l’omicidio di Marina Balboni finisce nel buio.

Alcune similitudini tra i delitti non sfuggono agli occhi dei cronisti. Il giornalista Pierluigi Salinaro della Gazzetta di Modena è il primo a ipotizzare la presenza di un serial killer nel territorio, che soprannominerà come Il Mostro di Modena. C’è forse un maniaco che ha preso di mira le prostitute tossicodipendenti?

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30 Maggio 1989. È mattina quando un uomo in bicicletta scorge una figura a lato della strada, in un fossato. Avvicinandosi capisce di trovarsi davanti a una scena terribile: quella sagoma è in realtà un cadavere femminile. Le autorità arrivano sul posto. Il corpo esanime è quello di Claudia Santachiara, 24 anni. È stata strangolata con una corda.

Claudia era una ragazza particolarmente bella, un volto da cinema. Viveva con la famiglia a Savignano sul Panaro. Anche lei era finita nel tunnel della droga e del lavoro di strada.

Durante le indagini si fa avanti una persona. Si presenta in Procura e alle redazioni dei giornali, dimostrando di essere al corrente di alcuni particolari della vita della vittima. Uomo colto e intelligente, questo soggetto non è nuovo alle conoscenze degli inquirenti, per due motivi. Quando succede un fatto delittuoso riconducibile alla catena di omicidi del modenese si fa spesso avanti sostenendo di avere informazioni importanti. C’è poi una storia torbida nel suo passato, essendosi reso protagonista di una serie di sadiche azioni. Il soggetto faceva recapitare alle giovani di Modena dei contenitori di vetro con all’interno occhi di gatti.

Una figura che destò qualche sospetto per i suoi trascorsi e per la voglia di inserirsi nelle indagini, ma pare che sul suo conto non emersero prove di un coinvolgimento nei delitti. Nel frattempo l’omicidio di Chiara finisce inesorabilmente tra gli irrisolti, insieme a quello delle altre ragazze uccise in quegli anni.

L’8 Marzo 1990 Fabiana Zuccarini, 21 anni, viene trovata senza vita in un campo. È stata strangolata. Fabiana era una brava ragazza, sensibile e con uno spiccato senso dell’altruismo. Due anni prima aveva cercato di aiutare il fidanzato a disintossicarsi dalla droga ma era finita risucchiata lei stessa nel mondo delle sostanze stupefacenti. Il giorno della sua morte era uscita di casa verso le 14 per recarsi a Modena in autostop. Sul suo diario aveva scritto che doveva incontrare “lo zio ricco”.

Gli investigatori riuscirono a rintracciare un uomo che quel pomeriggio aveva dato un passaggio alla vittima. L’individuo venne interrogato, dichiarò di aver accompagnato la ragazza per un breve tratto di strada, durante il tragitto tentò un avance o fece qualche battuta e la giovane chiese di scendere dal veicolo. L’uomo la fece uscire dalla macchina e si allontanò. Un racconto che cattura l’interesse degli inquirenti. Iniziano a indagare sulla sua figura ma poco dopo il soggetto muore a seguito di un incidente stradale, motivo per cui non sarà possibile continuare con gli accertamenti.

L’inchiesta proseguì in tutte le direzioni ma alla fine non emerse niente di significativo e l’identità dell’assassino di Fabiana rimase ignota.

4 Febbraio 1992. A San Prospero, in una strada di campagna, un agricoltore sta passando con il suo trattore quando improvvisamente vede qualcosa che lo lascia senza parole: in un fossato è presente il corpo senza vita di una donna.

È stata trafitta da sei coltellate: cinque sull’addome e una sul fianco. Sul posto non sono presenti né la borsa né i documenti. La Polizia nei giorni successivi riesce comunque a identificarla: la vittima si chiama Anna Abruzzese, aveva 33 anni e anche lei si prostituiva per droga. Una vita difficile, un passato senza fissa dimora e ultimamente viveva insieme al suo ragazzo in un auto. Le indagini su questo delitto raggiunsero presto un punto morto, arrivando all’archiviazione.

Il 26 Gennaio 1994 la zona del modenese si tinge ancora di rosso quando viene scoperto il cadavere di Anna Maria Palermo, 21 anni. Giace sull’argine del canale Corlo, colpita da 7 stilettate inflitte con un arma molto sottile.

Anna Maria conduceva uno stile di vita simile a quello delle altre ragazze uccise: manteneva la sua dipendenza dalla droga con il lavoro di strada. Gli inquirenti arrivano a individuare un sospettato: si tratta di un ex ciclista legato al mondo della tossicodipendenza. Secondo una testimonianza la vittima sarebbe stata vista salire a bordo della sua auto poco prima dell’omicidio.

L’uomo viene portato a processo, dove sarà assolto per mancanza di elementi concreti nei suoi confronti. Una volta caduta questa pista, l’inchiesta subisce un brusco rallentamento e il delitto di Anna Maria Palermo resta irrisolto.

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3 Gennaio 1995. In un appartamento in via di Rua Freda viene trovata morta Monica Abate, 32 anni. Lunghi capelli ricci e uno sguardo intenso, era finita nell’abisso delle sostanze stupefacenti e per questo faceva la prostituta.

Giace distesa sul pavimento della camera da letto con una siringa piantata nel braccio. Nei primi momenti si pensa a un overdose, ma l’autopsia svela una realtà diversa. Monica è stata strangolata. Il suo assassino ha tentato di mettere in scena una morte per abuso di droga.

Vengono ripercorsi gli ultimi spostamenti della vittima: la notte dell’omicidio si trovava in strada per prostituirsi, ci era rimasta fino alle 4, quando un amico l’aveva riaccompagnata dinanzi al portone di casa. Da quel momento in poi nessuno aveva avuto più notizie di lei fino al rinvenimento del suo cadavere.

Davanti alla porta dell’abitazione dove si era consumato il delitto vengono rilevate delle macchie di sangue che si scopriranno appartenere alla coinquilina di Monica. La donna viene portata a processo con l’accusa di essere l’assassina, accusa che crollerà durante il procedimento. L’imputata fornisce un alibi e attribuisce quelle tracce ematiche a una proiezione di sangue avvenuta a seguito dell’iniezione di una dose che si era fatta mentre si trovava davanti alla porta aspettando che Monica aprisse. Viene così prosciolta.

L’indagine si sposta su un’altra pista: viene ipotizzato il coinvolgimento nell’omicidio di alcuni rappresentanti delle forze dell’ordine. In particolare le attenzioni si rivolgono su due poliziotti che pare avessero contatti con la vittima. Tuttavia vengono entrambi scagionati dal test del DNA.

Alla fine il caso subisce la stessa sorte dei precedenti: il colpevole resta sconosciuto.

Dopo il delitto di Monica Abate non vennero più registrati nella zona omicidi con queste caratteristiche. L’assassino seriale, se mai fosse esistito, si fermò qui.

Il Mostro di Modena esiste davvero?

Queste 9 morti verificatesi tra il 1983 e il 1995 potevano essere state causate dalla stessa mano?

Ancora oggi non è chiaro. Il modus operandi non è lo stesso per tutti i delitti, questo potrebbe indicare che gli omicidi fossero stati compiuti da persone diverse ma è possibile anche si trattasse di un solo assassino che cambiava modo di uccidere in base alle circostanze.

Per quanto riguarda le vittime invece sono tutte accomunate da diversi elementi: sono inserite in certi tipi di ambienti, donne di strada o dipendenti dalle sostanze stupefacenti, in molti casi entrambe le cose. È probabile che chi aveva deciso di ucciderle abbia fatto leva proprio su queste fragilità per guadagnarsi la loro fiducia e irretirle. Spesso i loro documenti ed effetti personali non gli vennero ritrovati addosso, con ogni probabilità venivano portati via dall’aggressore. Un altro elemento da evidenziare è la notevole somiglianza tra i lineamenti del viso della maggior parte delle vittime. Scorrendo le foto la cosa non può lasciare indifferenti. Questo potrebbe far pensare a un predatore che predilige un certo tipo di donne.

Una serie di fattori che denotano come la tesi del serial killer non sia da scartare. Ovviamente siamo nel campo delle ipotesi e la verità è ancora da scrivere. Una verità che ci auguriamo possa arrivare presto. Sicuramente lascia uno spiraglio di speranza la riapertura delle indagini avvenuta nel 2019, grazie anche al documentario chiamato Il Mostro di Modena, diretto da Gabriele Veronesi, il quale ha riacceso i riflettori su una storia ingiustamente dimenticata. Non ci resta che aspettare e vedere se ci saranno sviluppi su questi tragici delitti irrisolti.

Fonti:

Il Mostro di Modena – Documentario di Gabriele Veronesi

poliziapenitenziaria.it – I nove omicidi di Modena rimasti senza un colpevole

misterilucca.it – Serial Killer attivi in Italia: Il Mostro di Modena