Senza più magia: icone di ieri e di oggi

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Diciamocelo. Abbiamo perso molta magia.

Sappiamo tutto di tutti e questo ha fatto cadere quel velo di mistero che in passato avvolgeva gli artisti. Uno svilimento del magnetismo delle celebrità che si avverte in tutti i campi ma nella musica è ancor più evidente.

Era proprio quel velo di mistero, ormai dissolto, che ha permesso a molte icone di farsi miti immortali.

Nessuno ha mai conosciuto i dettagli della vita di Robert Plant o di Grace Slick. C’era una ricerca spasmodica ad accaparrarsi le poche foto circolanti della loro vita privata e su quelle si fantasticava e si costruivano castelli. Si andava ai concerti con il registratore nascosto in tasca per crearsi magari un bootleg, un ricordo unico, memorabile, che sarebbe passato ai posteri o da consegnare al mondo. Oggi gli artisti mettono musica su tutti i loro account social e durante un concerto la gran parte delle persone nemmeno più ascolta, tutti intenti a riprendere in diretta l’evento con il proprio telefonino per sorprendere amici e parenti sui social o per sottolineare quanto si è dinamici culturalmente e viveur. Così il web è talmente saturo di materiale e condiviso con il mondo, che risulta un’impresa scovare una sfumatura intima da conservare per sé stessi. Oggi di Fedez, così come di altri artisti di primissimo piano, sappiamo ogni cosa e senza grossa fatica. Sono loro, per primi, a fornirci il materiale di cui abbiamo bisogno. Sappiamo quante volte vanno in bagno o danno la pappina ai figli, se hanno un’unghia scheggiata o se preferiscono il sushi a una pizza o ancora se hanno passato un week end romantico su una casa sull’albero.

Non ci sono più segreti e così il loro aspetto, la loro aura e la loro musica hanno perso fascino e non sono diventate altro che dozzinale nutrimento di massa che ci viene dato in pasto, affamati come siamo di voyeurismo ed emozioni “usa e getta”.

Basta vederli in certe pose… certo, anche Robert Plant, negli anni migliori, era umano ed avrà avuto i suoi momenti di intimità casalinga. Oggi posso anche immaginarmelo in ciabatte o con un plaid sulle gambe ma lui non ce l’ha mai fatto vedere a tutti i costi. Per questo tale pensiero non è maturato in nessuna mente che seguiva la sua musica negli anni d’oro della sua carriera. Anzi, questi artisti hanno sempre giocato con il mistero, hanno alimentato dicerie (basti pensare all’esoterismo di Jimmy Page o all’inclinazione diabolica con la quale ha sempre flirtato Paganini). Tutto per sembrare ancor più affascinanti e misteriosi. Tutto per sembrare unici. Oggi invece la corsa è a chi si somiglia di più. Basti vedere anche come gli interventi di chirurgia estetica facciano apparire i volti tutti uguali.

Se poi parliamo di musica, a prescindere dai gusti, oggi una canzone difficilmente può farci scendere una lacrima, a parte casi eccezionali legati magari ad esperienze o ricordi personali. Diciamocelo francamente, a volte sentendo la radio si fatica a riconoscere un timbro vocale dall’altro, un gruppo dall’altro. Potrebbe essere chiunque. Prima bastava l’attacco di due note per capire chi stava cantando o un semplice accordo per essere certi dell’artista che impugnava la chitarra. Colpa delle produzioni che fanno suonare tutto uguale, con le stesse durate, con le stesse strutture e le stesse piatte dinamiche, scelte in base alla moda del momento. Una moda effimera, dalla vita molto breve. I suoni stessi si somigliano, così come i ritmi senza contare che anche gli effetti strumentali e vocali (su tutti vocoder e autotune che ormai si usano in ogni genere) passano di mano in mano, di studio in studio senza la capacità e la voglia di rompere gli schemi, di sorprendere e sperimentare. Penso alla ricerca sonora di Dark Side of the Moon o a quella del Live At Pompei sempre dei Pink Floyd. Una ricerca che investiva tutti i settori coinvolgendo finanche i grafici per copertine, non a caso, passate alla storia. Se poi passiamo ai testi… ci fate più caso? Certo, magari qualche ritornello si canticchia ma se per questo anche delle sillabe si potrebbero canticchiare. Prima i testi erano delle vere poesie, c’erano delle storie, c’erano i concept album, una sorta di romanzi in musica che oggi non solo sono fuori moda ma vengono visti, da musicisti, cantautori e produttori, come l’aglio da un vampiro.

Prima era tutto diverso. Si teneva tra le braccia un vinile per intere settimane, leggendo ogni riga, ogni parola. Si immaginava la storia che aveva portato a realizzare la copertina, si analizzavano i crediti e si gustavano le immagini inserite. Si sognavano ad occhi chiusi i momenti in cui certe strofe erano state scritte, suonate e prodotte. Era sogno, era arte, era magia.

Abbiamo perso tutto questo. La cosa più terribile è che siamo in pochi a riconoscerlo e siamo ancora meno, quelli che non si rassegnano nell’accettarlo.