Il Treno del Cielo: la spettacolare ferrovia Pechino – Lhasa

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Il treno del cielo è la denominazione “poetica” con cui è conosciuta la linea ferroviaria Pechino-Lhasa, nota anche con il nome di linea “Qinghai-Tibet”, oppure semplicemente come “Tibet express”. Questa linea ferroviaria unisce Xining, capitale della provincia cinese dello Qinghai, con Lhasa, capitale del Tibet, attraversando ben 44 stazioni e consentendo di raggiungere il Tibet da Pechino in circa 48 ore.

Il progetto per la costruzione di una ferrovia, che fosse in grado di collegare direttamente la Cina con il lontano Tibet, era stato già portato avanti negli anni Cinquanta del secolo scorso, quando vigeva il repressivo regime politico di Mao Zedong, ma l’idea fu accantonata a causa degli enormi costi da sostenere e delle difficoltà tecniche che comportava la realizzazione dei trafori sull’impervio suolo delle montagne della catena hymalaiana. Tuttavia, nel 1984 fu completata la tratta dalla regione dello Xining fino a Golmud, per un percorso complessivo di circa 815 chilometri.  La realizzazione della tratta successiva, quella che presentava maggiori problematiche di carattere tecnico, di circa 1.140 chilometri, ha avuto inizio nel 2001, per terminare soltanto cinque anni dopo, rappresentando il primo collegamento diretto tra il pittoresco ed affascinante Tibet con il territorio cinese, nonché accelerandone in maniera esponenziale il processo di “sinizzazione”.

La tratta ferroviaria Golmud-Lhasa  ha un primato invidiabile e di certo considerato quasi irraggiungibile, almeno fino a qualche decennio fa: essa è la strada ferrata più alta del mondo, raggiungendo il livello record di 5.072 metri sul livello del mare, precisamente presso il “Passo di Tanggula”, dove sorge l’omonima stazione, la più alta del nostro pianeta. Il record di altitudine, in precedenza, era detenuto dalla ferrovia andina che collega la capitale del Perù Lima alla città di Huancayo che, da alcuni anni, non risulta più attiva. In linea generale, il percorso Golmud-Lhasa si allunga su un’altitudine che, in maniera costante, supera i 4000 metri sul livello del mare. Lo spettacolo che si può ammirare dalle vetrate panoramiche dei vagoni dei convogli, destinati ai turisti, è davvero unico, come se si trattasse di un paesaggio alieno: alcuni lunghi tratti si estendono su “permafrost”, ovvero su porzioni di terreno sempre ghiacciato, le cui temperature raggiungono valori anche di -45°C. Per questi motivi, sono stati progettati e realizzati treni con caratteristiche speciali, con vagoni totalmente pressurizzati a similitudine degli aeroplani, dotati di bombole d’ossigeno e di dispositivi che proteggano dalle radiazioni dei raggi UV, in ragione dell’elevatissima altitudine del tragitto. I treni impiegati, forniti da aziende statunitensi e canadesi, sono dotati di un motore diesel, in quanto l’elettrificazione di un territorio così impervio avrebbe presentato costi e difficoltà insormontabili.  

È forse superfluo precisare che non si tratta di treni ad “alta velocità”, proprio per la particolarità del percorso da coprire, ma che si limitano a viaggiare ad una velocità massima che oscilla tra i 100 ed i 120 km orari. A bordo sono ammessi soltanto passeggeri che siano in grado di esibire un certificato medico di “buona salute”, anche se risulta che, soprattutto nei primi mesi di attivazione del servizio, un buon numero di passeggeri ha accusato diversi malori. E’stato, inoltre, necessario prevedere, per la parte inferiore del convoglio, un efficace sistema di carenaggio, allo scopo di respingere le infiltrazioni di neve e di sedimenti terrosi, come alcuni inconvenienti hanno dimostrato durante le prime corse. 

La costruzione

Come abbiamo accennato in precedenza, la realizzazione del “treno del cielo” aveva presentato difficoltà tecniche e di costo considerevoli, richiedendo particolari accorgimenti di protezione anche dal punto di vista infrastrutturale. Poiché più della metà dell’ultima tratta fino a Lhasa poggia su terreno sempre ghiacciato, è stato necessario sopraelevare le rotaie ed inserire nel terreno tubi contenenti azoto liquido, in quanto nel periodo estivo il “permafrost” si ammorbidisce e può causare danni alla stabilità dei binari. Le soluzioni attuali non sono ritenute pienamente soddisfacenti e gli ingegneri cinesi stanno studiando sistemi alternativi per garantire la sicurezza del transito dei convogli in una parte della terra del tutto inospitale per l’uomo, a condizioni normali. Inoltre, nonostante siano stati collocati numerosi sottopassi al di sotto della linea delle rotaie, per consentire il transito degli animali selvatici, spesso capita che i convogli debbano fermarsi alcune ore in attesa del disordinato passaggio di alcune mandrie, in particolare delle simpatiche antilopi tibetane, il cui rischio di estinzione sembrerebbe aumentato, secondo il parere degli ambientalisti, dopo la costruzione della ferrovia. A ciò si aggiunge un’altra notevole difficoltà: l’intero percorso attraversa un territorio a forte sensibilità sismica, in particolare nella zona di “Kunlun”. Gli ideatori dell’avveniristica railway hanno cercato di ovviare a tale problema, facendo posizionare una rete di centraline che siano capaci di fermare il passaggio dei convogli, qualora si verifichino scosse significative. Ma il sistema, di carattere sperimentale, non può garantire un’assoluta protezione dei viaggiatori, in caso di terremoti di grande intensità.

La costruzione della ferrovia più alta del mondo, celebrata come “un trionfo senza precedenti” dal presidente pro-tempore Hu Jintao, che fu proprio il segretario del partito comunista in Tibet durante le rivolte anti-cinesi dei primi anni Ottanta, non ha soltanto riscosso acclamazioni e successo, ma anche feroci critiche da parte delle comunità di ambientalisti ed, in particolar modo, in seno ai gruppi indipendentisti tibetani. Si stima, in linea generale, che il “treno del cielo”, solo in piccola parte riservato a scopi turistici, abbia avuto il merito di abbattere di circa il 75% i costi di trasporto dei prodotti industriali dalla capitale Pechino, fino al lontano territorio tibetano, rappresentando un inequivocabile esempio del colossale sviluppo dell’economia cinese. I convogli, negli ultimi anni, hanno trasportato numerosissimi migranti, soprattutto del ceppo etnico dominante in Cina, gli Han, occupando i posti di lavoro più redditizi e le cariche di governo locale più ragguardevoli, a scapito dei Tibetani che stanno progressivamente diventando una minoranza nella propria terra. La comunità internazionale riconosce al popolo tibetano un’identità culturale millenaria, formata da un proprio alfabeto, una propria lingua e che ha prodotto meravigliose opere artistiche in tutti i campi, dall’architettura alla scultura, dalla pittura alla musica. Ma ciò che contraddistingue maggiormente l’identità del popolo tibetano è la peculiare forma di religiosità, quel modo unico ed originale di vivere la fede buddista, capace di sopravvivere perfino agli scempi della cosiddetta “rivoluzione culturale” imposta dalla Cina, quando le Guardie rosse inviate da Mao Zedong distrussero i luoghi di culto ed arrestarono i monaci, relegandoli nei cosiddetti “campi di rieducazione” e sottoponendoli a violenti, quanto inutili, lavaggi del cervello. La stessa capitale del Tibet, Lhasa, situata così in alto, da meritare il suggestivo titolo di “città degli dèi”, è stata sottoposta, nell’ultimo ventennio, ad un’inesorabile opera di urbanizzazione e di cementificazione, in modo da poter assomigliare sempre di più a tutte le altre metropoli cinesi.

Il territorio

Lhasa, il capolinea del “treno del cielo”, che conta circa 900.000 abitanti, è situata a ben 3.650 metri di altezza sul livello del mare, dominando la pittoresca valle del “Kyi Chu”. Seguendo l’etimologia tibetana del termine che designa  Lhasa, il nome della città significa letteralmente “trono di Dio”. Dal punto di vista amministrativo, si tratta di un centro di fondamentale importanza, in quanto si impone come capitale della “Regione autonoma del Tibet”, territorio controllato direttamente dalla Repubblica popolare cinese. Ma il ruolo di Lhasa è ancora più significativo sotto il profilo mistico-religioso, ospitando la residenza tradizionale del Dalai Lama. L’autorevolezza religiosa di Lhasa si comprende quando si incontra il “Palazzo del Potala”, una massiccia fortezza che domina il centro della città e l’intera valle circostante. L’antica residenza del Dalai Lama  racchiude  più di mille stanze, distribuite su un totale di tredici piani, mentre innumerevoli sono le colonne che reggono i soffitti. Si tratta di un vero e proprio gioiello di architettura, al cui interno vi sono pregevoli sale da cerimonia riccamente decorate, cappelle ed enormi statue di Buddha, nonché eleganti sepolcri dove sono sepolte le supreme guide spirituali della religione buddista. Dopo l’esilio del governo tibetano, a seguito dell’occupazione cinese, il Dalai Lama si trasferì nell’India settentrionale, nei pressi della città di Dharamsala, nello stato dell’Himachal Pradesh.

Il “treno del cielo”, come abbiamo sinteticamente illustrato fino a questo punto, nonostante abbia suscitato vivacissime e non immotivate critiche, ha il pregio di rendere più accessibili ai visitatori stranieri le straordinarie bellezze paesaggistiche ed artistiche del Tibet che, proprio per la sua elevatissima altitudine media, viene chiamato “terzo polo” o “tetto del mondo”. Le origini del popolo tibetano sono legate ad antiche tradizioni e leggende. Secondo un racconto mitologico, i remoti antenati degli abitanti di quel vasto territorio sarebbero stati uno scimmione, considerato come un’incarnazione della divinità Chenrezig ed una specie di orchessa che costituiva un nume tutelare della montagna. La loro unione avrebbe dato vita ad una strana progenie di esseri, per metà uomini e per metà scimmie che, dopo molte generazioni, avrebbe determinato l’etnia tibetana. Risulta chiaro che si tratta di una modalità  ancestrale, creata dagli antichi abitanti del luogo, per tentare di spiegare il corso dell’evoluzione umana. A parte le bizzarre, ma significative, indicazioni mitologiche, l’antropologia moderna ritiene che il popolo tibetano debba essere ricompreso nell’ampia famiglia etnica, conosciuta con la denominazione di “ceppo mongolide”, come del resto gran parte delle popolazioni che sono insediate nell’area centro-asiatica. Molto suggestiva è anche l’antica narrazione che parla di una remotissima età dell’oro in cui governava una dinastia di “re celesti”. Questi sovrani di giorno vivevano nel mondo degli uomini e di notte salivano per magia in cielo, attraverso una corda colorata che viene descritta come una sorta di arcobaleno.

La storia

La storia del Tibet si perde nella notte dei tempi, anche se quella documentata da atti ufficiali emerge nella prima parte del VII secolo d.C., quando il cosiddetto “impero celeste” iniziò ad espandersi verso Oriente e ad inglobare vasti territori compresi nell’attuale Cina. Dal tredicesimo secolo fino alla seconda metà del quattordicesimo, l’indomito Tibet dovette arrendersi davanti all’avanzata della feroce armata proveniente dalle steppe centro-asiatiche, divenendo stato vassallo dell’impero mongolo, pur conservando una certa autonomia istituzionale. Nei secoli successivi, invece, l’intera area tibetana fu annessa al vasto territorio governato prima dalla dinastia cinese Ming e poi da quella Qing, fino all’effimera dichiarazione di indipendenza proclamata nel 1911, poi  repressa, in maniera sanguinosa, dalla Repubblica Popolare Cinese tra il 1949 ed il 1950. Non tutta la regione tibetana appartiene alla Cina: vi è una piccola parte nel settore sud-occidentale , il Ladakh che fa parte dello stato indiano. La cima più alta del Tibet è l’Everest che, raggiungendo gli 8.848 metri di altezza, è la vetta più imponente del nostro pianeta. Come è ben noto, l’Everest è parte integrante dell’Himalaya che si estende, per la maggior parte, in territorio tibetano.

Al di là di qualsiasi considerazione ecologista o politica sull’arrembante invadenza cinese sul territorio tibetano, percorrere il tragitto della ferrovia più alta del mondo senza dubbio rappresenta un’esperienza unica nel suo genere. Il paesaggio da ammirare è di straordinaria suggestione, offrendo un ininterrotto spettacolo di laghi alpini cristallini, montagne innevate, altipiani sterminati, precipizi a strapiombo e gole profonde. Attraverso le ampie vetrate panoramiche, scorrono le impareggiabili immagini di praterie ancora solcate da mandrie di animali selvatici, come le già citate antilopi e gli yak neri ed, in lontananza, si scorgono le banderuole colorate che indicano i luoghi di preghiera dei templi buddisti, su cui svettano le inconfondibili cime dorate. La scaltra Amministrazione cinese, allo scopo di fornire ai passeggeri migliori possibilità per godere della visione della bellezza paesaggistica dei luoghi attraversati dal “treno del cielo”, ha installato in 9 delle 44 stazioni del tragitto, piattaforme panoramiche, prevedendo una sosta di 15 minuti per ognuna di esse. 

Tra i tanti punti spettacolari del tragitto, si può menzionare il passaggio in prossimità del lago Qinghai, che offre un quadro pittoresco di contrasto di colori tra l’azzurro intenso dell’acqua ed il bianco scintillante della neve compatta sparsa intorno, oppure l’onirico ponte di sale Qarhan, che sembra uscito da una favola, così come la zona presso il lago Namtso, ricca di leggende legate all’antica mitologia tibetana. Il “treno del cielo”, miracolo della moderna ingegneria, affascina e stimola l’immaginario collettivo, ma può anche spaventare ed incutere timore, in considerazione delle numerose precauzioni cautelative che sono necessarie per prevenire e fronteggiare eventuali malori causati dalla rarefazione dell’ossigeno, data l’elevatissima altitudine. Così sospeso, tra passato e futuro, tra la straripante potenza economica cinese e la mistica religiosità tibetana, la ferrovia sul “tetto del mondo” diventa un po’ la metafora delle contraddizioni della nostra epoca, dove spesso ad uno sviluppo di carattere tecnologico e materialista non corrisponde un’evoluzione spirituale.