Montedidio di Erri De Luca: un romanzo sulla maturazione dell’uomo

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Si potrebbe considerare Montedidio un romanzo di formazione. Un romanzo di formazione un po’ particolare in quanto il protagonista, un ragazzino tredicenne, diventa “uomo” dall’oggi al domani e in maniera totalmente inconsapevole. La sua evoluzione, non solo fisica ma soprattutto psicologica, va di pari passo con la scrittura di un diario, che prende vita dal momento in cui gli viene regalato un avanzo di bobina, da parte di un tipografo. Su di esso può annotare “i fatti del giorno riposati dal chiasso napoletano”. Lo spartiacque tra l’età infantile e l’età adulta è segnato dall’ingresso del ragazzo nel mondo del lavoro. L’autore, difatti, ci offre uno spaccato storico sociale della realtà napoletana, contraddistinta dal lavoro minorile e dall’analfabetismo. Egli comincia a prestare servizio presso una bottega di un falegname mast’Errico, personaggio eclettico, a tratti burbero, molto dedito al lavoro. Il libro è cosparso da una folla brulicante di personaggi, collocati a metà tra realtà e fantasia. Questa dicotomia è insita nella natura del protagonista:

L’occhio destro è scarso, vede però il cielo meglio di quello buono, che serve per la strada, per guardare in faccia, per fare il mestiere a bottega. L’occhio sinistro è dritto, svelto, capisce al volo, è napoletano. Il destro è lento, non mette a fuoco niente. Invece di nuvole vede i fiocchi sparsi dal materassaio…

La fantasia permette al protagonista di rendere la realtà che vive un po’ meno pesante e di spiccare il volo insieme al suo boomerang. La centralità della narrazione è occupata dalla realtà napoletana in tutta la sua bellezza, ancestrale e brutale al contempo stesso. La scrittura di De Luca coinvolge tutti i sensi, sembra di poter percepire l’intensità del blu del mare napoletano, si può vedere il movimento lento e cadenzato dei panni stesi, si può sentire l’odore della marina, si possono udire le urla delle massaie e dei venditori ambulanti. La città di Napoli non fa solo da semplice sfondo alle vicende narrate ma è di fatto la protagonista del romanzo. Questa città sembra fuori dalla storia e fuori dal cosmo. Il tempo segue un proprio ritmo, le giornate scorrono fini a sé stesse, l’esistenza dei personaggi si basa su una compagine di credenze, convinzioni, detti, abitudini che nessuno osa contraddire e lo stesso protagonista è stato educato a non fare troppe domande e a tenersi la curiosità. All’inizio del romanzo egli è un semplice spettatore della sua vita, si accorge a malapena di esistere:

Maria dice che io ci sto e così ecco qua me n’accorgo pur’io che ci sto. Mi chiedo da solo: non me ne potevo accorgere per conto mio di esserci? Pare di no. Pare che ci vuole un’altra persona che avvisa.

Maria, sua coetanea e vicinata, concorre e motiva il processo di formazione identitaria del protagonista. È lei la prima ad accorgersi dei cambiamenti fisici del ragazzo, facendoglieli notare e dandogli una spiegazione che lui stesso non sa dare. Maria, difatti, apre le porte della realtà al protagonista che fino ad allora aveva vissuto in una dimensione fiabesca, idilliaca, senza mostri, rassicurato dall’affetto materno e protetto nel nido familiare. Al disgregarsi di quest’ultimo il ragazzo prende come punto di riferimento Maria. Nonostante i suoi 14 anni è già donna, non ha avuto un’infanzia consueta, è dovuta crescere in fretta per prendersi cura dei suoi genitori che hanno speso tutti i loro risparmi nel gioco d’azzardo. Dal momento in cui si lega al protagonista decide di liberarsi dalle grinfie del padrone di casa, che per anni aveva abusato di lei. Maria è il mezzo conoscitivo con la quale il protagonista viene a contatto con la realtà, una realtà degradata, dolorosa e iniqua. I connotati primitivi e istintivi del protagonista erompono con veemenza una sera – quando per la prima volta- difende Maria dal padrone di casa aggredendolo. Questo evento fa prendere coscienza al protagonista della sua brutalità e forza, una forza amara che non credeva di possedere.  Maria, inoltre, fa scoprire al ragazzo la sessualità. Dapprima, egli la vive in maniera molto ingenua e infantile, non riuscendo a capirla fino in fondo, ma poi ne scoprirà i piaceri e il fatto che essa è un modo speciale per saldare maggiormente il suo legame con Maria. La tematica amorosa percorre come un fil rouge tutta la narrazione. Il protagonista si rapporta con l’amore dapprima in maniera distaccata, non sa dargli una spiegazione, ma poi lo vivrà in maniera molto viscerale e sensuale. Questo sentimento, insieme agli elementi sopra accennati, concorre all’evoluzione del protagonista. Se da un lato Maria fa entrare a piede teso il protagonista nella realtà, Rafaniello compie un processo di astrazione coinvolgendo anche il ragazzo. Egli è una sorta di creatura magica, dalla saggezza antica, dalla bontà disinteressata. Proviene da un paese lontano, è un rabbi ebreo, sfuggito dalla guerra. Ha una propria filosofia di vita e vede la bellezza in ogni cosa, sebbene viva in un contesto di grande povertà.

Dove sta lui di casa, una camera che era un ripostiglio, non c’è luce elettrica. La sera accende una candela. La poggia su una sedia, dice che deve stare bassa perché la luce vuole salire. Dice pure che la candela illumina il buio, non lo scaccia.

Fisicamente viene paragonato ad un uccello, ha una grande gobba sotto alla quale si nascondono, a detta del protagonista, delle lunghe ali che gli serviranno a spiccare il volo la notte di Capodanno.

La scrittura di De Luca è semplice, scorrevole, senza grandi amplificazioni retoriche, a metà tra prosa e poesia. Essa è modulata sul protagonista, sulla sua visione del mondo, sul sistema di valori e convinzioni che provengono dalla famiglia e dalla realtà circostante in cui è immerso. Si insinua nella profondità dei fatti e dei sentimenti che vengono descritti a tutto tondo. Il momento di maggiore intensità, si ha quando si descrive la morte della madre del protagonista. Sicuramente molto efficaci, sono le metafore che l’autore utilizza per descrivere il paesaggio napoletano, fatti e personaggi; esse aumentano il processo di immedesimazione del lettore. In queste pagine si disvela il confronto tra l’italiano e il napoletano, confronto molto sentito non solo dal protagonista ma anche da suo padre. L’italiano, per il ragazzo, è piano, è zitto, se ne sta buono dentro i libri, per certi versi quando lo utilizza si sente un traditore, e per questo preferisce scriverlo invece che parlarlo. Anche se volesse parlarlo verrebbe soppiantato dal napoletano, rapido, veemente, pratico che si adatta meglio alla quotidianità e alla istintività.