Calati juncu ca passa la china: cercasi disperatamente dissenso

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In un mondo trapassato dalle lame dell’ingiustizia, da una non-prospettiva futura per la generazione di giovani che si issa a classe dirigente, la cosa migliore che ti consigliano di fare è quella di salvare il salvabile. Nell’attuale situazione di crisi economica globale, incentivata dalla guerra in corso e dalla stantia classe politica dirigente che fa da capofila all’oramai fallimentare sistema neo-liberale in cui viviamo, si cade nella psicosi e nella paura.

Non intendo dire che questo quadro sia rassicurante, ma nemmeno che si debba tacere innanzi alla sequela di ingiustizie sociali che attraversano i tempi e i continenti. Ci sentiamo talmente immersi in uno strato di mer*a fino al collo che l’unica soluzione possibile è quella di racimolare in vista dell’inverno, come le formiche. Eppure, noi esseri umani raziocinanti, non solo non diciamo una parola, ma facciamo anche di peggio: riusciamo a trascurare l’imminente irreparabile disastro, voltandoci dall’altra parte, in favore dell’individuazione di un nemico a cui addossare tutta la colpa.

La cara vecchia e sempreverde dialettica dell’individuazione di un nemico. Tutte le guerre, tutti i totalitarismi, tutte le dittature offrono un nemico da combattere: gli ebrei, i palestinesi, i neri, i cinesi, i russi, gli atlantisti. Questa dialettica permette alle masse di schierarsi, perché è così che si creano le fazioni, i gruppi che si scontreranno. E non solo nei periodi di guerra o nelle dittature, ma anche nelle democrazie. Ci sono sempre riusciti: hanno piegato le nostre coscienze al flusso strabordante di informazioni, orientando l’opinione pubblica su fatti particolari poco rilevanti e addirittura distorti affinché si sopiscano le coscienze. Chi? Sarebbe facile rispondere “i poteri forti” individuando una sorta di collegio super-partes che decida del destino del mondo, ma sarebbe più opportuno ragionare di una serie di fenomeni contorti e legati tra loro che fanno capo all’invenzione per eccellenza: il denaro come regolatore su tutti i livelli. Innanzitutto, ha letteralmente asfaltato il dissenso, riuscendo a far cadere i più ferrei ideali, offrendo quella quantità di soldi necessaria a comprarsi la macchina nuova, la casa, saldare il mutuo, affittare l’appartamento, andare a mangiare la pizza. La critica più lucida dei movimenti sessantottini fu quella riguardante la dittatura del benessere il quale, stupendoci con effetti speciali, è riuscito a garantirci un apparente welfare-state capace di farci dimenticare di tutto il resto.

Oggi manca soprattutto la classe intellettuale, quella che ha mosso le lotte sociali del passato, quella che si ergeva a mediatrice tra Stato e popolo, quella che riusciva a rendere reali i problemi e a porli in sede di discussione. La classe intellettuale, la più grande ricercata dell’ultimo decennio, scompare inesorabile a suon di voglia di sopravvivere: si morirà un giorno, tanto vale vivere al meglio, a costo di accettare le regole del gioco universalmente conosciuto come fotti-compagno. Ciò implica che ad ogni apparentemente piccola rinuncia di giustizia si ottiene, così come il Butterfly effect, una grande baraonda capace di mettere in dubbio gli ordinamenti amministrativi e politici più solidi; ciò implica, inoltre, che ad una serie di illecite ricchezze equivalgano una serie di tristi povertà, di cui nessuno si occupa per non rovinarsi la giornata, la felicità.

Essa, bene prezioso della vita di ogni uomo, nonché fine ultimo dell’esistenza, è considerata raggiungibile, in maniera totale, solo col denaro.

Dov’è finito il dissenso? Dov’è finito l’ideale? Dov’è la pace? Tutto pare subordinato alla vendita, all’audience, alla vetrina, al denaro. Tutto pare fumoso, apparente, estemporaneo, frivolo. È così che va il mondo amico mio, che vuoi farci, vuoi cambiarlo tu davvero? Calati juncu ca passa la china.