La Favorita di Yorgos Lanthimos (2018) è una romanzata pellicola tragicomica che si basa su fatti realmente accaduti nell’Inghilterra di inizio XVIII secolo. Le protagoniste sono tre donne: la regina Anna Stuart (Olivia Colman), Sarah Churchill (Rachel Weisz) e sua cugina Abigail Hill (Emma Stone).
Siamo intorno al 1708 e, nel pieno della guerra di successione spagnola, Anna è segnata da una serie di problemi fisici (soffre di gotta) e psicologici. La regina passa quindi la maggior parte del tempo nella sua stanza con 17 conigli, ciascuno dei quali rappresenta uno dei suoi figli nati morti e governa appoggiandosi completamente alla sua fidata amante Sarah, tuttavia, le cose a corte sono destinate a cambiare nel momento in cui Abigail arriverà a palazzo alla ricerca di un impiego.
Il regista del film, Yorgos Lanthimos, ha dichiarato in più interviste che l’obiettivo di questa pellicola era quello di realizzare un film in costume diverso e innovativo rispetto a quelli a cui siamo abituati.
Nel girare La Favorita Yorgos si è così ispirato a film quali Amadeus (Milos Forman, 1984), The Draughtsman’s Contract (Peter Greenaway, 1982) e ha inoltre omaggiato Barry Lyndon di Kubrick adottando esclusivamente luce naturale (sole o candele) e riprese di tipo grandangolare.
Lanthimos non vuole quindi fornire una rappresentazione storica dell’Inghilterra nel periodo della guerra di successione spagnola ma è intenzionato piuttosto a confondere, con ogni mezzo possibile, lo spettatore.
Tutto il film è giocato su un piano metaforico, nulla è lasciato al caso, con lo scopo di trasmettere un senso di claustrofobia e tensione allo spettatore, sentimenti che raggiungeranno un punto apicale nella scena finale della pellicola.
Nella costruzione di questa tensione claustrofobica il regista usa sistematicamente riprese di tipo Fish Eye che contorcono lo spazio, queste riprese sono accostate a una realtà molto intima fatta di volti in primi e primissimi piani. Tramite questi contrasti Lanthimos amplifica la solitudine delle poche persone che abitavano la corte reale e che, con le loro scelte, erano in grado di influenzare la vita di milioni di inglesi ed europei.
Sempre con l’obbiettivo di confondere lo spettatore, Yorgos, accosta alle ambientazioni settecentesche molti elementi contemporanei quali: i costumi, che sono fatti di jeans; il linguaggio, che non è affatto filologico; il ballo, che è spesso comico, buffo e completamente anacronistico; la colonna sonora, che è composta da un mix di repertori (barocco, romantico e contemporaneo).
Il soundtrack del film ha un ruolo primario nella costruzione della tensione desiderata da Lanthimos, ci sorprendono e stupiscono in più occasioni utilizzi del repertorio classico contemporaneo come nel caso del brano Didascalies for Viola di Luc Ferrari dove il Sol di una viola è ripetuto per più di 5 minuti (in ben due scene del film).
La musica è in questo caso ossessiva, atonale, priva di armonia e melodia ed è quindi l’opposto di quello che ci si aspetterebbe di sentire nel 1700.
Lo spettatore rimane confuso e angosciato, la colonna sonora anticipa così gli sviluppi della trama che degenererà fino al punto in cui Abigail avvelenerà sua cugina per diventare la favorita della regina.
Anche le scene di ballo giocano nella stessa direzione e sono fortemente contemporanee e confondenti, emblematica è a tal proposito la coreografia studiata da Costanza Macras, coreografa argentina, per la prima scena di ballo del film in cui tutta la corte danza riunita. Assistiamo in questa scena a una serie di passi assurdi, buffi e quasi comici che stridono fortemente con la musica barocca che viene suonata in modo diegetico in sottofondo. Anna giace su una carrozzina con aria triste, la gotta le sta divorando le gambe e non è più in grado di camminare.
Il contrasto tra ballo e musica assume senso quando la telecamera si stringe su un primissimo piano del volto della regina, lo spettatore capisce in questo momento che Anna si sente impotente, non può partecipare alle gioie della vita di corte e il dolore che appesantisce la sua vita si fa d’un tratto troppo pesante e la regina inizia a gridare e ordina di farsi riportare in camera.
Anche quando la colonna sonora è coerente con il periodo storico in cui la pellicola è ambientata, quindi, il regista riesce a farne un utilizzo non scontato che amplifica la portata interpretativa delle immagini, come nel caso appena descritto.
Un altro esempio di questo tipo è quello della scena della corsa delle oche, in questa sequenza di immagini vediamo la corte riunita per assistere a una corsa di velocità tra questi volatili.
La scena è assolutamente comica, i cortigiani gridano ed esultano in slow motion e il tutto è in forte contrasto con il brano barocco ed elegante che commenta le immagini: il concerto per clavicembalo in La minore F. 45, terzo movimento, Allegro Ma Non Tanto di Wilhelm Friedemann Bach.
Il contrasto tra musica e immagini rende ancora più buffa la corsa delle oche a cui stiamo assistendo, come già accennato nulla è lasciato al caso e il regista ci fa così riflettere sulla superficialità della vita di corte.
È quindi oramai chiaro come la musica, in La favorita, a prescindere dal repertorio utilizzato non assume mai un ruolo secondario da “carta da parati” ma ha sempre un ruolo primario nel guidare lo sviluppo narrativo del film amplificando la portata interpretativa delle immagini.
Non fa eccezione la scena che lo sceneggiatore del film, Tony McNamacara, ha definito come il momento più drammatico della pellicola. In questa sequenza di immagini vediamo la regina Anna in uno stato di confusione mentale che vaga gridando per il palazzo, ecco che la scelta musicale in questo punto è fortemente in contrasto con le immagini.
Il brano che sentiamo è il concerto viola d’amore in La minore RV 397, movimento Largo di Antonio Vivaldi, la melodia è molto romantica e malinconica e accende un contrasto mozzafiato con la brutalità delle immagini che stiamo vedendo; la musica ci porta a entrare in empatia con Anna e con il suo dolore.
Nell’arco del film, tuttavia, l’empatia con la regina non è mai completa perché Anna è spesso rappresentata in modo grottesco, disgustoso o infantile e quindi lo spettatore non trova un vero fulcro empatico in questo personaggio.
Ad ogni modo, l’apice tensivo del film viene raggiunto solo nella scena finale della pellicola, dopo che Abigail è riuscita a sbarazzarsi definitivamente di Sarah, ora bandita dall’Inghilterra.
Nella scena finale Anna si accorge che Abigail, con la punta della scarpa, si diverte a schiacciare uno dei suoi 17 conigli, animali che rappresentano per la regina i suoi 17 figli nati morti.
Questo è il preciso istante in cui tutte le convinzioni di Anna si sgretolano ed essa si rende conto che Abigail non è affatto la dolce e ingenua ragazza che pensava, la regina la vede finalmente per quello che è davvero: una perfida scalatrice sociale che l’ha manipolata per elevarsi a un rango sociale superiore.
Anna chiama quindi al suo cospetto Abigail e la costringe a massaggiarle la gamba tenendola per i capelli; il massaggio, che era sempre stato un momento romantico tra le due protagoniste, diventa così un momento di raccapricciante sottomissione.
La musica, ancora una volta, commenta le immagini amplificandone l’interpretazione, viene in questo caso utilizzata la sonata di Schubert No. 21 in Si be molle maggiore, D. 960, secondo movimento: Andante. Su questa sonata sono aggiunti gradualmente dei PAD dissonanti, il soundtrack si fa ancora una volta claustrofobico, ci confonde ed esaspera la tensione che vediamo sullo schermo.
La scena finale è ricca di significati, il dolore della regina viene unito a quello di Abigail la quale realizza che, per quanto sia riuscita ad acquistare uno status sociale elevato, si trova in realtà in una gabbia d’oro.
La sua vita è infatti direttamente collegata alla volontà di una regina che ora la disprezza e di conseguenza la sua è una vittoria pirrica, in questa lotta per essere la favorita della regina tutti perdono e nessuno vince. Anna è, tra le tre protagoniste, quella che soffre maggiormente e l’ultima inquadratura lo sottolinea per l’ultima volta riprendendo i conigli di Anna, la rappresentazione vivente del suo dolore.
Anche i titoli di coda del film rimandano alle sofferenze della regina, sentiamo nello specifico il brano Skyline Pigeon di Elton Jhon, nella versione per clavicembalo e organo. La scelta di questa canzone non è casuale, il testo allude a un piccione che vuole volare lontano verso l’orizzonte e sentirsi libero di nuovo per viaggiare verso sogni abbandonati.
L’immagine del piccione ingabbiato contiene un duplice parallelismo con le due protagoniste rimaste sullo schermo, Abigail e Anna si accorgono entrambe nella scena finale di essere intrappolate e rimpiangono le loro scelte che ora le legano indissolubilmente insieme.
Il soundtrack, tuttavia, non ha ancora finito di trasmettere messaggi allo spettatore, aspettando fino al termine dei titoli di coda è possibile sentire i suoni di una natura incontaminata, gli stessi che avevamo sentito all’inizio del film; sembra così che la cornice del film sia quella di una natura incontaminata, caratterizzata dall’assenza di umanità.
Questo tema è stato infatti centrale nello sviluppo della pellicola in cui abbiamo assistito a inquadrature distorte, musica altamente tensiva, scene disgustose e brutali, volgarità di ogni tipo, il tentato avvelenamento di Abigail nei confronti di sua cugina e la lotta tra le due protagoniste per diventare la favorita della regina.
Il messaggio che vuole trasmettere Lanthimos, però, va ben oltre lo sviluppo della trama del film e si riferisce a qualcosa di più ampio: la piccolezza dell’essere umano.
A prescindere dagli tutti gli eventi e le vicissitudini a cui gli esseri umani possono andare incontro, alla fine, non siamo altro se non un qualcosa di minuscolo rispetto all’enormità dell’universo.
Quella che abbiamo visto nel film è stata una storia che sembrava enorme per i protagonisti ma com’è arrivata, se n’è andata e questo è confortante.
La natura ignora la complessità e la brutalità delle vite umane e semplicemente va avanti seguendo il suo corso, come se nulla fosse successo.
Con questo ritorno alla pace e alla tranquillità il regista mette in luce l’assurdità della tensione, della confusione e della claustrofobia che hanno segnato tutta l’esperienza di visione del film.
Articolo tratto dalla Tesi di laurea di Mattia De Molli “Musica e Cinema, la musica nel racconto filmico dell’epoca dei lumi”