La Favorita, Lanthimos e l’eredità di Barry Lyndon

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Gran parte dell’opera cinematografica del regista greco Yorgos Lanthimos si contraddistingue per la sua disposizione a quella che potremmo definire una tetra ed ostica bizzarria: adolescenti tenuti sotto reclusione dai genitori; single obbligati a trovare un partner o trasformati in animali; un chirurgo che è chiamato a scegliere se sacrificare uno dei suoi cari oppure perderli tutti.

Qualcuno lo definisce un visionario, non tanto in senso letterale – sebbene l’aspetto puramente estetico del suo cinema sia certamente delizioso ed allusivo – quanto piuttosto in senso lato: vi è una ricerca nell’ampliare ed approfondire il rapporto dialettico tra arte visiva ed arte narrativa, ovvero tra gli aspetti estetico-compositivi e quelli tematico-narrativi. Tale orientamento verso il medium sembra avvicinare di parecchio Lanthimos a Stanley Kubrick, il regista visionario per eccellenza, colui che, più di chiunque altro, ha saputo servirsi della sua visione per supportare le idee centrali dei suoi film ed aggiungere complessi livelli di significazione.

Dopo la realizzazione dello splendido Barry Lyndon nel 1975 – l’opera più completa, profonda e storicamente accurata di Kubrick – ogni regista che si avvicina al genere in costume, si sa, dovrà farvi i conti, come ha affermato lo stesso Lanthimos in diverse interviste: “Abbiamo fatto il possibile per non ripetere un film come Barry Lyndon, pur essendo ben consapevoli di non poterlo evitare completamente. Ci abbiamo provato”. Le affinità tra il film di Lanthimos e quello di Kubrick sono molteplici, molte delle quali immediatamente tangibili (l’utilizzo della luce naturale, le title cards, il tema dell’aristocrazia inglese, tanto per cominciare), e con La Favorita il regista greco fa uno splendido lavoro nello sfruttare quello che è il retaggio cinematografico lasciatoci da Kubrick con il suo capolavoro, regalandoci una pellicola degna di un grande maestro del cinema.

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Qui, Lanthimos si allontana notevolmente dallo stile cupo e dispotico a cui ci ha abituati, andando ad alleggerirne i toni, pur mantenendo la curiosa bislaccheria dei suoi personaggi e farne così il suo film più godibile ed accessibile. In questo film i protagonisti e le loro stravaganze allietano lo spettatore anziché spiazzarlo, fungendo da importante contrappunto ironico.

Analogamente a Barry Lyndon, La Favorita prende vita da una riflessione sulla dinamica di potere e sull’illusione di controllo. La narrazione si svolge presso la corte della Regina Anna d’Inghilterra (Olivia Coleman), negli anni della Guerra di Successione Spagnola. La Regina, eccessivamente ingenua ed inadatta a svolgere gli incarichi ed impegni di stato in autonomia, è assistita da Sarah Churchill Duchessa di Marlborough (Rachel Weisz), sua migliore amica, Mistress of the Robes e Keeper of the Privy Purse, ovvero Dama di compagnia di alto rango, braccio destro della Regina ed effettiva responsabile degli affari politici e finanziari del Regno. L’incidente scatenante corrisponde all’arrivo in corte di Abigail Hill (Emma Stone), una cugina di Lady Marlborough caduta in disgrazia a causa del padre, che l’ha venduta per saldare i suoi debiti di gioco.

Qui troviamo la prima analogia narrativa tra i due film: Redmond Barry (Ryan O’Neal), giovane dalle origini modeste, perse il padre in duello e subito dopo ricevette una delusione d’amore che lo costrinse a fuggire verso Dublino in cerca di una sorte meno avversa. In entrambi i casi, la figura paterna si configura come il nucleo del conflitto che determinerà i desideri e bisogni di questi personaggi. Inoltre, l’indole di Barry e di Abigail è affine nella loro natura opportunistica di arrampicatori sociali, decisi a rifarsi delle loro umiliazioni e sventure.

Abigail viene accolta a corte come sguattera, ma ben presto comincia a farsi notare da Lady Marlborough, poi dalla stessa Regina: la aiuta ad alleviare il dolore di un attacco di gotta con delle erbe che ha raccolto rubando un cavallo dalle scuderie e fuggendo nel bosco. Il preparato naturale funziona, e Lady Marlborough la premia assegnandole una stanza tutta sua. In breve tempo la giovane entra nelle grazie della Regina, diventando Lady of the Bedchamber, ovvero sua cameriera di fiducia. A questo punto comincia la vera e propria rivalità tra le due cugine per contendersi il monopolio delle attenzioni della Regina, e così la veste di Favorita.

Comprendiamo presto i fondamenti che spingono le ragazze ad assicurarsi un ruolo nel cuore (e nel letto) della Regina Anna: l’amore di Lady Marlborough per Sua Maestà è motivato dal suo amore ancor più grande per la Patria, e nutre il suo ideale sacrificio per sacrificio (si dà il caso che suo marito sia il Generale John Churchill, Duca di Marlborough, comandante al fronte delle battaglie del Regno Unito contro la Francia). La Regina si sente trascurata dall’impegno politico di Lady Marlborough  – “È il mio paese. Sono io l’affare di stato” – e trova conforto nella compagnia di Abigail, la quale è mossa unicamente dal desiderio di aggiudicarsi uno status signorile che potrà vincere soltanto giocando sporco.

Anche in questo frangente, le vicissitudini di Abigail ricordano quelle Barry, ora un soldato semplice in conflitto contro Francia nella Guerra dei Sette Anni. Egli diserta l’esercito, poi ruba i documenti, la divisa ed il cavallo di un ufficiale inglese. Si muove sotto falsa identità ma viene smascherato da un ufficiale Prussiano. Barry si trova così costretto ad arruolarsi di nuovo, e in battaglia salva la vita ad un capitano durante uno scontro a fuoco. Il gesto gli vale una ricompensa e soprattutto una promozione: viene assegnato al dipartimento di polizia, con il compito di sorvegliare una sospetta spia: lo Chevalier de Balibari. Tuttavia Barry e lo Chevalier diventano complici e scappano intraprendendo la carriera di giocatori d’azzardo. Abigail gioca la sua carta migliore avvelenando Lady Marlborough, e mentre questa è KO, guadagna l’approvazione e l’appoggio della Regina per sposare il Barone Masham ed ottenere così il titolo di Lady. In Kubrick, Barry provoca Sir Charles Lyndon a tal punto che gli provoca un infarto, ottenendo il via libera a sposare Lady Lyndon ed acquisendone non soltanto il nome, ma anche lo stile di vita.

Con La Favorita, Lanthimos riprende la struttura bipartita di ascesa e declino che caratterizza Barry Lyndon, seppur in modalità meno enfatizzare rispetto alle rigidità dell’opera di Kubrick. L’apice del (presunto) successo di Abigail corrisponde con l’avvio del suo declino: Lady Marlborough sopravvive all’avvelenamento ma viene bandita dalla Regina, che affida proprio ad Abigail il ruolo che spettava alla cugina. Tuttavia questa vittoria si rivelerà fallace, come ci suggerisce Lanthimos nel finale del film. Abigail paga un caro prezzo per la sua affermazione, tanto che dovrà sacrificare la sua libertà, perdendo l’illusorio controllo sulla propria vita, e diventando così una vittima delle proprie cieche ambizioni.

La Favorita possiede un dialogo dal vigore pungente ed arguto, eppure Lanthimos chiude il film con una lunga inquadratura che racconta moltissimo senza aggiungere una parola. Si tratta di una tripla sovraimpressione che sovrappone in dissolvenza il primo piano di Abigail, della Regina, e dei conigli di quest’ultima, ponendoli sullo stesso piano di miseria e vacuità. La Regina capisce di avere sacrificato la relazione più importante ed autentica della sua vita per il falso affetto di Abigail. Nella stessa misura in cui i conigli rappresentano i surrogati dei figli che la Regina ha perduto, Abigail è il rimpiazzo di Lady Marlborough, e la sua funzione non è tanto diversa dall’essere uno dei tanti animali da compagnia di Sua Maestà. Sarà infatti Lady Marlborough a vincere, proprio perché libera dalle prigioni dell’alta società.

Un’infelice sorte spetta anche a Barry Lyndon, il quale fa pure dell’amore un mezzo per la conquista di un’elevata posizione sociale. Alla fine del racconto, perso il duello contro il suo figliastro Lord Bullingdon, Barry perde anche la sua posizione nella società, perde una gamba, perde la moglie, i figli e viene esiliato, ritrovandosi solo e privo di pregi economici e sociali. Come Abigail, diviene una vittima della società aristocratica alla quale aspirava con tanta passione, e della sua visione limitata riguardo alla propria situazione. La title card dell’epilogo di Barry Lyndon sembra riassumere anche la risoluzione de La Favorita.

“Fu durante il regno di Giorgio III che i suddetti personaggi vissero e disputarono. Buoni o cattivi, belli o brutti, ricchi o poveri, ora sono tutti uguali”

Le attinenze tra il film di Lanthimos e quello di Kubrick si riconfermano negli aspetti compositivi del sistema visivo de La Favorita. Il regista greco pone l’accento sulla condizione di solitudine ed isolamento di questi personaggi attraverso la ricorrenza di campi molto lunghi, nei quali percepiamo – talvolta a fatica – le figure negli immensi ed opulenti ambienti che esse abitano. Molte di queste inquadrature si definisco chiuse, ovvero abbracciano tutto lo spazio necessario per trasmettere il loro significato narrativo – in altre parole, tutte le informazioni essenziali a comprendere il significato della scena sono racchiuse nei limiti dell’inquadratura – trasmettendo un senso quasi claustrofobico, marcato ulteriormente dall’uso di una lente fisheye da 6mm. Come Kubrick, Lanthimos ci distanzia da questi personaggi e dalle loro folli circostanze, concedendo esclusivamente allo spettatore il privilegio di abbracciare una prospettiva d’insieme che permetta di comprendere appieno la loro situazione.

Nel cinema di Lanthimos troviamo una raffinata ricerca di strutturazione dello spazio cinematografico. La Favorita racchiude un sistema visivo che prevede inoltre l’uso di fluidi movimenti di camera, a seguire le movenze dei personaggi, Abigail specialmente. Al suo arrivo a corte questa è speranzosa ed affascinata dalla vita di palazzo e dalle sue incantevoli promesse, e la cinepresa la segue con naturalezza mentre sogna ad occhi aperti. Tuttavia queste riprese risultano sempre meno frequenti man mano che Abigail conquista la posizione nobiliare, per lasciare il posto ad una raffigurazione più statica, immobile, invariata, a simboleggiare la rovinosa prigione che si è creata con le sue stesse mani.

Per rafforzare tale concetto, Lanthimos si serve della prospettiva centrale, tecnica compositiva che prevede la convergenza di linee compositive verso un punto di fuga centrale, resa celebre proprio da Kubrick grazie a film quali 2001: Odissea nello Spazio, Full Metal Jacket e The Shining. Tale razionalizzazione dello spazio filmico raffigura i personaggi in uno schema predefinito che riflette la struttura paralizzante in cui si trovano. Barry Lyndon e La Favorita riducono i loro protagonisti a pedine, rinchiuse nelle formalità che caratterizzano la loro società.

Benché il tono complessivo dei due film sia molto differente – la pellicola di Lanthimos gode di un tocco di umorismo caustico, talvolta grottesco, a stemperare il dramma, ma soprattutto ribalta i ruoli di genere, riducendo gli uomini a ridicoli pavoni, e facendo leva non sull’individuo quanto sulla dinamica di potere – è chiaro quanto La Favorita condivida il senso di fatalità, solitudine ed illusione di controllo dell’opera di Kubrick, riducendo la nobiltà a una squallida caricatura di sé stessa e l’Uomo ad una mera vittima delle proprie circostanze, raccogliendo dal patrimonio cinematografico di Barry Lyndon e del cinema del suo autore. Si ha l’impressione che Lanthimos sia un autore che di certo ha appena cominciato a far parlare di sé.

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