Le sei affinità che non ti aspetti tra David Bowie e Tom Waits

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È difficile pensare a due artisti più diversi dei quasi coetanei David Bowie (inglese, nato David Robert Jones nel 1947) e Tom Waits (americano, nato Tom Alan Waits nel 1949). Se il primo fa venire in mente il trasformismo, l’ambiguità sessuale, il travestitismo, il glamour, la moda e il megastardom, il secondo rimanda invece al cantastorie dei perdenti, all’ubriacone vagabondo, al poeta beatnik, allo sperimentatore avanguardista, all’autore di colonne sonore e di spettacoli teatrali. Eppure.

Eppure, un’analisi meno superficiale permette di evidenziare una serie di affinità che non ti aspetti. Vediamo allora che dalla lunga gavetta all’infelice scelta dei manager, dai sorprendenti e repentini cambi di rotta musicale allo straordinario eclettismo, dalla protezione degli amici in difficoltà artistica alla passione per Burroughs non sono poche le analogie tra le carriere di due tra i più grandi intrattenitori degli ultimi cinquant’anni.

Gavetta

Entrambi i musicisti hanno dovuto lavorare diversi anni prima di ottenere il riconoscimento del proprio talento. David Bowie ha pubblicato il primo singolo, ‘Liza Jane’, nel 1964, quando aveva diciassette anni e faceva parte di un gruppo chiamato Davie Jones and the King Bees. Il primo album dovrà attendere ancora due anni, durante i quali l’artista inglese cercherà invano il successo con The Manish Boys, come Davy Jones with The Lower Third, come David Bowie with The Buzz, e finalmente come David Bowie, col cui pseudonimo pubblicherà l’album David Bowie il 26 maggio 1967, nello stesso giorno in cui usciva Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. A differenza del capolavoro dei Beatles, il disco di Bowie passò del tutto inosservato e David, nonostante il clamore occasionale del singolo ‘Space Oddity’ di due anni più tardi, dovrà attendere fino al 1972 per raggiungere il successo e la popolarità grazie a The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars.

Tom Waits, dal canto suo, quando intraprende la carriera di musicista pubblicando, a ventiquattro anni, il suo primo disco ‒  Closing Time (1973) ‒ è oramai un decennio che si mantiene lavorando come inserviente nei ristoranti o facendo il lavamacchine, il vigile del fuoco, il camionista, l’addetto alla consegna dei giornali o il barista. A quindici anni scrive parodie di canzoni celebri di cui modifica i testi, mentre si esibisce in diversi club e coffehouse dell’area di San Diego. Quando più tardi sale sul palco di The Heritage per tappare i buchi della programmazione, accompagna col piano o la chitarra cover delle canzoni di Mississippi John Hurt e di Reverend Gary Davis. Spostatosi a Los Angeles, Tom bazzica il Troubadour, dove in una serata riservata ai dilettanti allo sbaraglio viene notato da un rock manager professionista, Herb Cohen, che ne diventa l’agente e gli fa firmare un contratto con la Elektra / Asylum.

Manager

Anche alla voce ‘manager’ si recuperano analogie nella carriera dei due artisti. Se Waits resterà legato contrattualmente a Cohen ben oltre la fine dell’accordo e dovrà accontentarsi per anni delle magre royalties garantitegli dall’impegno con l’agente negli anni in cui incideva per la Elektra / Asylum (1973 – 1980) ‒ e solo nel 2018 la riedizione masterizzata dei suoi primi sette capolavori gli permetterà di negoziare con la nuova casa discografica, la Anti- / Epitaph, condizioni più favorevoli ‒, a Bowie andò se possibile ancora peggio. Raggiunto infatti finalmente il successo nel 1972, David si affida al manager Tom Defries, il quale, grazie alla società MainMan e ad un nuovo contratto con la RCA ne fa una star globale, celandogli però che i termini dell’accordo gli assicurano introiti ben superiori a quelli riservati al cantante, che con la sua quota si ritrova a doversi sobbarcare tutte le spese di allestimento dei concerti. Bowie risolve il contratto nel 1975, non senza essere tuttavia costretto a riconoscere a Defries fino al 1997, quando David diventa proprietario al 100% del copyright dei suoi album, parte delle royalties legate ai diritti di sfruttamento dei dischi.

Changes

Non c’è dubbio che Bowie sia stato nella storia della musica rock l’emblema del trasformismo. Non solo ha impersonato sulle copertine dei dischi, nei videoclip e negli spettacoli numerosi alter-ego, ma ha pure amato sorprendere il pubblico e la critica con cambi di rotta artistica scioccanti. Se gli anni Settanta sono quelli di Ziggy Stardust, di Aladdin Sane, del Thin White Duke e della vistosa teatralità anticonformista, nello stesso decennio la cosiddetta ‘trilogia berlinese’ vira violentemente verso l’avanguardia e le sonorità sintetiche, codificando gli stilemi della new wave anglo-americana. Dopo il delirio mainstream pop degli anni Ottanta, ecco l’esperimento Tin Machine, con Bowie semplice membro di una indie rock band, prima delle prove jungle e drum’n’bass degli anni Novanta e gli ultimi due capolavori degli anni Dieci del XXI secolo, vera summa di tutta la sua estetica.

Se guardiamo alla carriera di Waits, tuttavia, dobbiamo riconoscere che nei suoi cinquant’anni sulle scene non sono mancati cambiamenti così profondi da rappresentare dei veri e propri solchi tra una fase e l’altra della sua parabola artistica. I sette album incisi per l’Asylum ci avevano consegnato il prototipo del cantante al pianoforte, preferibilmente accompagnato da un combo di musicisti pronti a tessere armonie jazzate e produttori inclini ad arrangiamenti ispirati alle orchestrazioni di Cole Porter e  George Gershwin. Le liriche a raccontare storie di amori perduti, di fallimenti e solitudine, di sesso disperato e di stupore alcolico, la voce mano a mano sempre più usurata dal whisky e dal tabacco. Musicalmente accattivante ma certo non un innovatore. Ecco allora che a partire da Swordfishtrombones del 1983, in coincidenza col passaggio alla Island, Tom lascia basito il proprio pubblico ed entusiasma la critica, diventando un musicista completamente diverso, uno sperimentatore di suoni, un cultore dell’avanguardia, un sorprendente interprete di Kabarett à la Brecht. Non contento, esaspera dopo un ulteriore cambio di etichetta la sua ricerca sonora, sfornando per la Anti- / Epitaph degli album estremi e innovativi quando non cacofonici quali Bone Machine e The Black Rider, consolidando lo status di cult artist di massa.

Eclettismo

Entrambi privi di un’educazione formale, sia Waits che Bowie hanno dato prova nelle loro carriere di saper attingere alle grandi tradizioni sonore e letterarie del Novecento. Se parliamo di musica, non possiamo  non citare Erik Satie, il vaudeville, il music hall, Little Richard, Charlie Mingus, Elvis Presley, il Krautrock, la musica folk turca e quella polacca, il pop giapponese, il Philly Soul, la jungle e il free jazz per Bowie; Louis Armstrong, il bebop, Johnny Mercer, Stephen Foster, Hoagy Carmichael, Nat “King” Cole, Cab Calloway, Ray Charles, Randy Newman, Mose Allison, James Brown, Rogers e Hammerstein., Gershwin e Porter per Waits. Più, per entrambi, la musica di Brecht e Weil e il modello di Frank Sinatra. Icona quest’ultimo dell’intrattenitore per eccellenza, capace di portare ai massimi livelli di popolarità le radici profonde del jazz, di farsi icona e paradigma, di raggiungere il vasto pubblico anche grazie alla sua carriera di attore.

Una carriera, quella di attore, frequentata da entrambi i nostri eroi: più sul versante del cameo di lusso per quanto riguarda David, una vera e propria carriera parallela nel caso di Tom. Se infatti nel caso di Bowie non sono mancate prove attoriali convincenti in film diretti da registi quotati ‒ si possono citare, fra gli altri, L’uomo che cadde sulla Terra di Nicolas Roeg, Furyo di Nagisa Oshima e Absolute Beginners di Julien Temple ‒, spesso i suoi ruoli hanno rappresentato un divertissement che ha permesso agli spettatori di ritrovare uno dei volti più celebri dello stardom globale cammuffato in una delle sue innumerevoli trasformazioni (diverso il caso dell’eccellente interpretazione a teatro di Elephant Man).

 Le circostanze hanno invece consentito a Waits di trovarsi coinvolto fin dagli inizi della sua carriera di attore in progetti ambiziosi, diretti da maestri del cinema quali Francis Ford Coppola  (qui ricordiamo Cotton Club e Dracula), Jim Jarmusch (Daunbailò), Hector Babenco (Ironweed), Robert Altman (America oggi), Terry Gilliam (Parnassus) e i fratelli Coen (La ballata di Buster Cruggs). Lungo e produttivo anche il rapporto col teatro, per il quale ha scritto, da solo o con la moglie Kathleen Brennan, parole e musica di Franks Wild Years (in cui ha pure interpretato il ruolo principale) e le canzoni di The Black Rider, Alice e Woyzeck, tutti progetti allestiti dal regista Robert Wilson, laddove Bowie ha costruito l’intero spettacolo Lazarus con canzoni del suo repertorio o scritte per l’occasione, mentre in carriera sia il tour di Diamond Dogs che il Glass Spider Tour erano stati allestiti come dei musical. Entrambi gli artisti hanno infine messo la propria abilità compositiva al servizio della settima arte: Waits ha scritto, tra le altre cose, il completo soundtrack di One from the Heart (Un sogno lungo un giorno) di Coppola e quello di Night on Earth (Taxisti di notte) di Jarmusch. Bowie a sua volta ha composto diverse canzoni che fanno da colonna sonora ad Absolute Beginners di Temple e a Labyrinth di Henson.

Produzione

Un’altra cosa che Tom e David hanno in comune è l’essere andati in soccorso di artisti che ammiravano e che per qualche ragione si trovavano in un impasse artistico o personale che ne metteva a rischio la carriera. Tom lo ha fatto con Chuck E. Weiss, John Hammond e parecchi altri. Chuck era un ottimo amico di Tom e suonava il suo jazz-blues in tutti i club della zona di Los Angeles. Sfortunatamente, però, dopo un unico album uscito nel 1981 senza la sua autorizzazione e subito ritirato dal commercio, non aveva più pubblicato alcunché. A sanare l’ingiustizia ci pensa Tom, che dopo essere riuscito a trascinare in studio il rassegnato Chuck, nel 1998  ne co-produce Extremely Cool, in cui suona pure la chitarra e partecipa alla scrittura e all’interpretazione di due pezzi e grazie al quale riesce a procurare a Weiss un contratto discografico. Da allora la carriera di Chuck E. Weiss riprende quota, tantevvero che nel nuovo millennio inciderà altri tre album. Nel 2001 sarà la volta di un altro vecchio amico e collaboratore, il chitarrista John Hammond, che pubblicherà con la produzione di Tom Wicked Grin, un’antologia di canzoni dello stesso Waits, il quale non si è mai tirato indietro quando gli è stato chiesto di partecipare a progetti discografici di artisti che rispettava (Tin Hat Trio, C-Side, Petit Mal, Ute Lemper e Solomon Burke).

 Lo stesso si può dire di David Bowie, produttore del secondo disco solista del maestro Lou Reed, che terminata l’esperienza Velvet Underground aveva davvero bisogno di un amico che ne supportasse le ambizioni artistiche, ridotto com’era ad una larva a causa di una grave dipendenza dall’eroina e reduce dal flop commerciale del primo album solista, che presentava in modo poco convinto dei pezzi che erano stati scritti per i VU. Fiancheggiato da Mick Ronson, Bowie produsse uno dei dischi seminali della musica rock, Transformer, che tra le tante perle contiene anche l’ormai classica ‘Walk on the Wild Side’, il cui leggendario giro di basso deriva dall’idea di Herbie Flowers di sovraincidere le linee registrate col basso elettrico con un contrabbasso, artifizio che dà alla ritmica portante del brano un suono sensuale e stupefacente. La stessa operazione Bowie la condusse qualche anno dopo con l’amico Iggy Pop, a sua volta reduce dallo scioglimento degli Stooges e in cerca di un suo percorso artistico solista. Bowie gli venne in soccorso dapprima mixando Raw Power degli Stooges e procurando a Iggy un contratto discografico, poi scrivendo con Pop stesso e producendo gli ottimi The Idiot e Lust for Life, infine accompagnandolo nel tour promozionale come tastierista della band. Altri artisti dei cui dischi Bowie curò la produzione o nei cui album contribuì suonando o cantando sono, tra gli altri, Mott The Hopple, Mick Ronson e Dana Gillespie.

Burroughs

Un’ulteriore affinità tra i due artisti è l’ammirazione per una delle icone della beat generation, lo scrittore americano William Burroughs. Bowie era affascinato dalle tecniche del cut-up e del fold-in impiegate da Burroughs per scrivere alcuni romanzi sperimentali ‒ quali la trilogia di Nova Express ‒ o per descrivere, per esempio, stati di dissociazione mentale di alcuni personaggi con disturbi psichici. Il cut-up consisteva nel tagliare pezzi di opere letterarie esistenti, selezionare parole e frasi stilisticamente preganti e quindi incollare le parti scelte per creare nuovi testi. Il fold-in, invece, prevedeva di accostare le pagine di due libri dopo averle piegate a metà per verificare se le nuovi frasi che in tal modo si formavano possedessero una loro sintassi e un valore letterario. Bowie conobbe personalmente Burroughs e decise di adottare tali tecniche avanguardistiche per comporre i testi delle sue canzoni. Frutto di questa scelta sono le liriche di Diamond Dogs (1974), ma David ha continuato a usarla anche nei decenni successivi, per esempio in 1.Outside (1995) e in The Next Day (2013), arrivando ad utilizzare una app inventata dall’informatico Ty Roberts, il Verbasizer.

Tom Waits è un grande fan degli scrittori della beat generation (Jack Kerouac, Allen Ginsberg, William Burroughs) e ha sempre amato le opere poetiche e narrative prodotte da quel gruppo di autori. Quando nel 1988 il regista teatrale Rober Wilson gli propose di curare la parte musicale di una nuova versione dell’operetta ispirata alla leggenda tedesca Gespensterbuch ‒ che diventerà The Black Rider , il cui testo sarebbe stato scritto da uno dei suoi eroi, l’icona William Burroughs, Tom non potè sottrarsi e si trasferì per alcuni mesi col fido Greg Cohen ad Amburgo, dove la pièce avrebbe esordito, prima di proseguire le rappresentazioni a Vienna, Parigi, Barcellona, Genova, Amsterdam e Berlino. Qualche anno più tardi, quando The Black Rider fu messo in scena a Brooklyn, Tom incise un album con le canzoni che aveva scritto per l’operetta e in una delle canzoni ‒ il vecchio standard ‘T’Ain’t No Sin’ ‒ la voce che si sente è dello stesso Burroughs.

Icona dello stile e anticipatore delle mode il primo, personaggio affascinante quanto sorprendente nella sua trasformazione da cantore del sottomondo a cult artist dell’avanguardia il secondo, David Bowie e Tom Waits hanno percorso strade artistiche diverse, anche se l’estetica sviluppata dal Duca Bianco nella trilogia berlinese e in dischi come 1.Outside e l’epilogo Blackstar rappresentano delle innegabili incursioni nella sperimentazione che avvicinano anche negli esiti musicali le parabole di due dei più grandi artisti dell’ultimo mezzo secolo.

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